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Un piccolo assaggio di magia: Nike presenta team USA

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Un piccolo assaggio di magia: Nike presenta team USA  New Sport Side

Il 23 marzo del 1992, Drederich ed Elizabeth ricevono (per la seconda volta) la gioia più grande che la vita possa regalare, la nascita di un figlio. Quando nasce il maschietto i due si trovano in Australia, dove Drederich giochicchia per i Bulleen Boomers di Melbourne. Ed è quindi nella terra dei canguri che il prossimo leader della nazionale americana di basket nasce e trascorre i primi due anni di vita.

Kyrie Irving è definitivamente diventato grande domenica scorsa, quando dopo uno dei suoi surreali crossover ha segnato, in faccia all’MVP della Lega Steph Curry, il canestro che è valso il primo storico titolo ai Cleveland Cavaliers. Nonostante i natali aussie, Kyrie ha il doppio passaporto e – anche a causa delle numerose defezioni, da Chris Paul a LeBron James, passando per Curry e Kobe Bryant – sarà proprio lui a guidare, insieme a Kevin Durant, la selezione americana alla caccia all’oro olimpico. Intuito, coincidenze e oculate gestioni manageriali vogliono che proprio loro due rappresentino due degli atleti su cui la Nike ha puntato di più negli ultimi anni. Nike che si appresta a firmare anche le divise di tutta la selezione (oltre che quelle NBA dal 2017/18). Le signature di Irving, le Kyrie, partecipano alla colorazione “americana” – prevista da Nike già per le KD e le LeBron – dove il candido bianco sarà intervallato dallo strap blu e dalla linguetta e baffo rossi.

Al di la delle diverse signature (con il parco atleti Nike diventa sempre più importante) il 2016 è stato per la compagnia di Palo Alto l’anno dell’evoluzione della rivoluzione chiamata Hyperdunk. Partita nel 2008, la filosofia hyperdunk è stata forse il più grande strappo col passato dai tempi della Air, grazie alla tecnologia flykit – quella che permette al corpo di muoversi in perfetta sintonia con la gamba – vero e proprio marchio di fabbrica del prodotto. Da un’Olimpiade (quella di Pechino del 2008) ad un’altra, la Hyperdunk raggiunge il suo apice nel nuovo modello disegnato da Leo Chang. « L’Hyperdunk è una affermazione del futuro», ha detto lo stesso Chang, continuando poi affermando: « la chiamiamo “Nike Basketball Signature Shoe” perché questo è davvero il punto in cui possiamo mostrare l’innovazione». L’idea con la quale questa versione delle Hyperdunk è stata concepita è disruptive soprattutto dal punto di vista del design. La nuova sneaker ha infatti il compito primario di garantire unicità alle uniformi, una sensazione di completezza che si riesce ad avere integrando il calzino, lacci e scarpa in un unico corpo. È anche un richiamo culturale alla origini del basket, quando le sneaker trapassavano il confine del campo per diventare veri e propri simboli di appartenenza, fatto di cui la celebre scena di Do The Right Thing è diventato icona.

Ma quello appena passato è stato anche il giorno in cui la nazionale americana si è presentata al mondo, in tutta la sua incredibile forza e sfruttando l’infinito immaginario di cui può disporre. Non ci sarà LeBron James, e neanche Steph Curry. Wade ha detto stop da qualche tempo, mentre erano in tanti a sperare che Kobe Bryant ci ripensasse e si rendesse eleggibile per quest’ultimo ballo. Invece no, mancheranno, e con loro quel piccolo tocco di magia che contraddistingueva, ad esempio, il Dream Team del 1992. Da allora, da quando gli americani decisero di far sul serio per davvero, il talento in squadra è stato sempre più di quanto qualunque selezione extra-USA potesse mettere in campo. Ci sono ottime ragioni di credere che Durant, George, Jordan, Cousins, Antonhy & Co. basteranno ad assicurarsi il terzo oro di fila, pur senza potersi definire un Dream Team.

Cambiano anche le divise rispetto al Dream Team. Via le stelle, sia laterali che frontali, nessuno spazio per un qualsiasi adornamento ridondante. La nuova jersey scelta da Nike sarà completamente bianca, alternata solo dal lettering rosso e dai numeri in blu royal. L’innovazione arriverà fin qui, con la tecnologia Aeroswift che le rende anche esteticamente riconoscibili. È il trionfo del minimalismo, del dritto al risultato, di un team che lontano dal potersi definire operaio, si nasconde dai lustrini per puntare all’oro. Tutto riflesso anche dal lancio delle divise da parte di Nike, una lunga gif su sfondo nero dove sono sfilate le divise con i numeri di tutti i 12 selezionati, che contemporaneamente su Twitter svelavano il numero scelto.

Ancora una volta favoriti, ma con una fame tutta nuova, quella di chi (esclusi Antonhy e pochissimi altri) un oro olimpico non l’ha mai vinto. Di chi non si è ancora (forse) guadagnato il diritto di sedersi a tavola con il Dream Team – vero e proprio metro di paragone americano – ma che vuole provarci. E riuscirci. Con l’innovazione e lo spirito si può, ovviamente, fare.