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Come un paio di scarpe da calcio ha cambiato l'estetica di adidas

E di come a trent'anni di distanza sono tornate protagoniste sui campi da calcio

Come un paio di scarpe da calcio ha cambiato l'estetica di adidas  E di come a trent'anni di distanza sono tornate protagoniste sui campi da calcio

La palla gira veloce sfidando le leggi della fisica, ruotando su se stessa per rimanere all'altezza giusta senza perdere tensione e per finire nell'angolo sotto i pali a destra. Una traiettoria curva, quasi golfistica, disegnata dal piede destro di Trent Alexander-Arnold al minuto 19 della sfida tra Liverpool e Fulham, come se fosse stato avvolto in un foulard prima di calciare. E la grana setosa del destro a giro di TAA non è dovuta solamente alle fenomenali doti di calcio dell'esterno di Jurgen Klopp, ma anche di uno scarpino nato quasi trent'anni fa legando con un elastico alla tomaia la gomma di una racchetta da ping pong. L'invenzione di bricolage di un ex calciatore australiano diventò leggenda di stile, rivoluzione tecnica e, infine, modello che cambiò definitivamente l'estetica di adidas salvandola dalla bancarotta. E che ora, a quasi tre decenni di distanza, tornano protagoniste sui campi di calcio calzate dai talenti più brillanti del momento senza aver perso neanche un giorno.

La storia delle adidas Predator

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Le adidas Predator infatti non rappresentano solamente un glorioso capitolo nella storia della calzatura sportiva, ma con il loro avvento e conseguenti mutazioni hanno segnato un confine tra cosa i calciatori hanno cominciato ad usare in campo. La storia romantica vuole che l'ex centrocampista del Liverpool Craig Johnston abbia avuto l'illuminazione del design mentre allenava una squadra di ragazzini che si lamentavano di non avere abbastanza controllo sul pallone sotto la pioggia. La realtà è che sia adidas, come Nike e PUMA, inizialmente aveva rifiutato la proposta reputandola troppo lontana dagli standard delle scarpe da calcio che andavano in quel periodo e che non avevano mai ricevuto cambiamenti radicali negli ultimi decenni. La differenza tra una scarpa da calcio usata nel Mondiale 1970 e una invece calzata solamente qualche anno prima a Italia90 era impercettibile, legata alla qualità della pelle utilizzata e alla forma dei tacchetti. Sia Pelè che Maradona, ad esempio, usavano praticamente lo stesso scarpino nonostante le loro carriere abbiano coperto quasi tre diverse generazioni. 

Le adidas Predator invece proponevano una rivoluzione copernicana, trasformando la scarpa da calcio in uno strumento tecnico, futuristico e camaleontico. Non più artigianato quindi ma industria, ricerca e sviluppo. E poi i colori. Quelli che sembravano esser stati banditi per decenni dai piedi dei giocatori, forse per paura che potessero sporcarsi nei campi di terra e fango. Ma ad inizio anni '90 il technicolor aveva bisogno di nuovi stimoli, e il prato finalmente curato rendeva più semplice il compito per calciatori tecnici e creativi. Così quando nel 1994 debuttò la prima di una lunga serie di scarpe rivoluzionarie, adidas cominciò a inserire dettagli rossi sul tallone e nella midsole, per poi renderli ancora più protagonisti nella versione Rapier del 1995, lanciata da una campagna con Paul Gascoigne, e quella dell'anno successivo, le adidas Predator Touch, disponibili anche in una inedita - almeno all'epoca - colorway bianco-rossa. 

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Intanto come le evoluzioni della sua controparte cinematografica, quel Predator che andava a caccia inseguito da Arnold Schwarzenegger o Danny Glover, anche la versione di adidas si allungava e mostrificava negli anni, inserendo una linguetta sempre più vistosa da ripiegare sopra l'allacciatura, per andare a caccia delle difese avversarie. Nel 2000 uscirono le Precision, con i tacchetti sostituibili, ma il grande successo doveva ancora arrivare e si materializzò in quello che fu uno dei momenti seminali per l'estetica calcistica, il Mondiale 2002 in Giappone e Corea del Sud, quando adidas lanciò forse il suo modello più riconoscibile. L'iconica silhouette delle Predator Mania, levigata e affusolata come gli artigli di un Velociraptor, era disponibile in colori di pura aggressività. Un attitude che conquistò immediatamente i calciatori più spavaldi e spettacolari dell'epoca, che diventarono i perfetti testimonial per delle scarpe da calcio che puntavano direttamente verso il futuro. 

I testimonial di adidas

Beckham segnò il goal che lo rese immediatamente famoso, scavalcando con un pallonetto da centrocampo il portiere del Wimbledon a Selhurst Park, indossando un paio di adidas Predator Touch realizzate inizialmente per Charlie Miller, centrocampista scozzese dei Glasgow Rangers. Ma dopo quella partita Becks divenne il nuovo volto del calcio inglese e di adidas, seguito a stretto giro da Steven Gerrard, Zinedine Zidane, Micheal Ballack, Kakà e molti altri che resero un modello di scarpa il sinonimo di uno sport moderno, rapido, intenso e stiloso, in piena rottura con il passato. Certo, la linea Predator ha continuato ad evolversi negli anni, abbandonando in parte l'iniziale invenzione di Craig Johnston e della sua racchetta da ping pong avventurandosi tra laceless, knit e modelli sempre più leggeri e simili agli altri. L'esempio di adidas infatti ha innescato il rapidissimo sviluppo delle scarpe da calcio, dando vita ad un caleidoscopio di forme, colori e modelli, pensati per elevare la prestazione dell'atleta e il suo stile in campo. 

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Ed a quasi trent'anni di distanza da quel primo modello adidas ha deciso di tornare al passato, invertendo di fatto la parabola che aveva contraddistinto fin qui il modello Predator, e di lanciare una nuova versione: le Predator 30. Unendo dettagli e suggestioni raccolte attraverso l'intero archivio adidas, le Predator 30, raccontano una storia che è diventata già leggenda e ispirazione per una nuova generazione di calciatori. I testimonial scelti infatti dalle Three Stripes per indossare in campo l'ultimo modello non erano ancora nati quando adidas lanciò sul mercato la prima edizione. Trent-Alexander Arnold e Jude Bellingham non solo talentuosi e già fortissimi, ma soprattutto consapevoli dell'heritage delle scarpe che indossano e di come abbia plasmato la passione per il pallone fin dai loro primi passi. 

Una completa immersione nella nostalgia, una decisa novità rispetto alla filosofia del modello che ha sempre avuto il futuro come orizzonte. È però una scelta perfettamente in linea con il panorama odierno delle scarpe da calcio, che sembra aver perso quella spinta verso l'innovazione e il cambiamento, per invece rifugiarsi nel familiare. Ovviamente la Predator 30 possiede tutte le qualità e caratteristiche pensate per la performance su un campo di gioco, dalla tecnologia Strikeskin per migliorare la presa e il controllo sulla palla, alla tomaia Hybrid Touch presa in prestito dalla versione Accuracy per una maggior stabilità sul terreno, ma quella linguetta sulle stringhe, la fascia elastica che inizialmente doveva reggere la gomma e il collo del piede completamente libero raccontano di un preciso momento, quando tutti volevano far curvare il pallone come Beckham o colpirlo al volo come Zidane. Disponibili per ora solo in 1994 esemplari, anno della prima release, le Predator 30 sono tornate per farci vivere ancora una volta quell'emozione.