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Come la Premier League ha costruito il suo impero

Non è solo merito dei soldi degli sceicchi

Come la Premier League ha costruito il suo impero  Non è solo merito dei soldi degli sceicchi

A trent’anni di distanza dalla sua fondazione la Premier League si conferma la lega di calcio più potente e la più conosciuta al mondo, aumentando il proprio distacco rispetto agli altri campionati europei. Durante l’estate ha fatto notizia l’enorme disparità delle risorse economiche impiegate dai club inglesi rispetto ai loro contendenti continentali, una discrepanza che sta in parte pregiudicando l’equilibrio del calcio europeo, con trasferimenti sempre più costosi e stipendi lievitati a dismisura. Un vantaggio competitivo che sembra al momento inscalfibile ma che è stato costruito in modo intelligente e fortunato, sfruttando con sapienza i punti di forza che contraddistinguono il calcio inglese. 

In un articolo per ESPN.com Gabriele Marcotti prova a spiegare le cause che hanno portato a tale risultato, proponendo risposte meno banali si possa immaginare a primo sguardo. Innanzitutto la questione trasferimenti, che nonostante gli ingaggi faraonici e finestre di mercato fornitissime non ha mai coinciso con l’acquisizione dei più importanti calciatori al mondo. Può sembrare un controsenso visto che quest'estate ha fatto rumore il dato secondo il quale sono stati spesi sul mercato quasi due miliardi di euro dalle squadre di Premier League, più di quanto fatto dai club de LaLiga, la Bundesliga e Ligue 1 insieme ma paradossalmente non sono mai quelli che poi finiscono nelle prime posizioni dei premi annuali, ad esempio il Pallone d’Oro.

Se consideriamo i primi cinque classificati per il premio assegnato da France Football dal 2000 ad oggi, solamente 17 dei 100 giocavano in quel momento in Premier League, guidati dalle due volte Cristiano Ronaldo e dalle tre Thierry Henry. Ovviamente i giocatori che arrivano ogni anno in Premier League sono sempre fortissimi - ultimo Erling Haaland al Manchester City - ma paradossalmente non quelli più famosi di questa generazione. Alla Premier mancano i Mbappé, Neymar, Benzema, Lewandowski o Messi, icone globali oltre che fenomeni con il pallone tra i piedi. La mancanza del cosiddetto star-system così importante per l’economia delle leghe statunitensi, modello sul quale la Premier League invece ha strutturato gran parte del proprio business.

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Nel caso della Premier League lo star system, oltre ai calciatori, appartiene ai club stessi, alla loro storia, la loro tradizione e i loro tifosi. L’importanza dell’heritage, il fatto che il calcio - almeno quello professionistico - sia stato inventato proprio in Inghilterra, rappresentano ancora oggi un valore inestimabile sia per chi segue da anni il calcio che per chi ci si avvicina per la prima volta. Non è certo un segreto come gli stadi e le curve inglesi sono da sempre una fascinazione irresistibile per gli appassionati di pallone, travolti dalle tribune basse che danno direttamente sul campo di gioco e dalle birre che scorrono a fiumi tra le sedute. L’esperienza stadio è qualcosa che si vive anche a chilometri di distanza attraverso uno schermo e consente alla Premier League di avere un branding così riconoscibile e spendibile.  

Altro asset importante nel rendere la Premier League il campionato di calcio più seguito al mondo è la competitività media delle stagioni, che risulta più alta rispetto a quella degli altri campionati. È vero che solitamente la vittoria è contesa dalle celebri Big Six, ma ben cinque squadre negli ultimi dieci anni hanno vinto il campionato contro le sole tre in Serie A, La Liga e Ligue 1 e una della Bundesliga. Anche la ormai fossilizzata divisione in tier della Premier non minaccia il suo spettacolo, con tanti club di metà classifica che riescono a proporre un gioco e delle star appetibili al loro pubblico di riferimento. Certo, dal 2005 l’unica squadra non tra le Big Six ad arrivare nei primi quattro posti è stato nel 2015/16 il Leicester City di Ranieri, la Cenerentola per eccellenza, numero nettamente inferiore rispetto agli altri campionati. Ma tale divisione garantisce ad ogni fascia i propri obiettivi, permettendo di avere una posta in gioco a ogni partita. 

Arriviamo così al punto forse più importante che rende la Premier League una de facto Superlega: la sua appetibilità commerciale. Dovuta non solamente al talento in campo, come abbiamo visto, né alla rutilante competitività o continui upsets, ma alla somma di tutto ciò infiocchettata in un’eccellente packaging. Sia l’esperienza stadio, grazie a strutture avveniristiche di proprietà dei club, sia l’esperienza televisiva, con campi sempre perfetti, una saturazione che rende il colore vivo sullo schermo, le tifoserie compatte sugli spalti e i cori che entrano negli altoparlanti rendono, come specifica Marcotti, ogni partita un appuntamento imperdibile.

Questa patina che ricopre le partite della Premier League è il vero valore aggiunto che la distingue da tutti gli altri campionati, un mix di identità, innovazione e talento che conquista anche chi il calcio non lo segue. Certo la lingua inglese, che rende accessibile anche oltreoceano il prodotto, il continuo afflusso di capitali da fondi internazionali e la conseguente concentrazione di talento, sono stati fondamentali per trasformare la Premier nel campionato che oggi è, anche a livello di introiti commerciali. Non dimentichiamoci però la competenza, la programmazione e il rispetto verso la propria tradizione che gli ha permesso di diventare una lega capace di fatturare solo nella stagione 2021/22 oltre sette miliardi di dollari.