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Ci siamo stancati dei documentari sportivi?

Mentre escono sempre più prodotti audiovisivi legati al mondo dello sport, l'interesse del pubblico sembra diminuire

Ci siamo stancati dei documentari sportivi? Mentre escono sempre più prodotti audiovisivi legati al mondo dello sport, l'interesse del pubblico sembra diminuire

Provate a scrivere documentari sportivi su Google. I risultati, a decine, indicano lo stesso tipo di articoli e ricerche. “I dieci migliori documentari sul calcio”, “Le migliori docu serie sullo sport”, “Tre serie da guardare sul basket” e via dicendo. Sia Netflix sia Prime video, due piattaforme streaming che lavorano molto sui documentari, sono sempre più ricche di contenuti su sport, calciatori, allenatori, squadre e stagioni da ricordare e il pericolo è che si possa presto arrivare ad un livello di saturazione. Dopo il boom del biennio 2019-2020, con la produzione dei grandi successi All or Nothing - Manchester City e The Last Dance, siamo invasi da ogni tipo di narrazione sportiva. Un momento di sovrapproduzione in cui il contenuto ha perso la centralità in favore della quantità, diluendo nell'offerta anche i prodotti che richiedevano maggior attenzione. 

E’ come se in molti ambiti sportivi avessimo già detto tutto e non ci stupisce più niente delle storie raccontate. Oggi l’ennesimo documentario su una squadra di calcio non ha più la stessa magia che aveva vedere gli allenamenti di Guardiola o Mourinho nella serie All or Nothing. I dettagli come il centro sportivo, le vicende personali e la collezione di sneakers di questo o quel playmaker fanno la differenza per gli appassionato o i tifosi, ma il contenuto complessivo è diventato ripetitivo e stanco. Anche se la quantità di materiali video raccolti in questi anni ha reso il documentario sportivo un must nei generi di contenuti streaming, qualcosa nello spettatore si è rotto. 

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Per questo si arriva a parlare di prodotti poco curati e, di conseguenza, di flop prevedibili. Come il documentario Pogmentary su Paul Pogba, disponibile su Prime Video, che ha raccolto una stella su cinque di valutazione e verso il quale i commenti sui social sono stati altrettanto sprezzanti. Il problema nello specifico riguarda il mondo del calcio, che in Europa è estremamente e forse eccessivamente analizzato e raccontato, tanto che dei documentari su Griezmann o sul Borussia Dortmund difficilmente possono dare notizie o dirci qualcosa di nuovo a riguardo. Molto più apprezzati, invece, i contenuti di approfondimento non calcistici come  Icarus (ciclismo), Villas (tennis) e la serie sulla Formula 1 Drive to Survive (Formula 1). Originali, per niente scontati, approfonditi ma non troppo. Storie note per pochi, sconosciute e passionali per tanti. 

Questo è il risvolto positivo dell’aumento dei contenuti sportivi. Se il calcio ne può soffrire a causa della sovrapproduzione, gli altri sport ne giovano. La Formula 1 ha raccolto molti più followers e appassionati dopo gli insights offerti da Drive to Survive di Netflix, arrivando a conquistare mercati storicamente meno interessati al circuito automobilistico. I racconti dei piloti e di cosa c’è dietro una gara - e soprattutto dei soldi che ci girano dietro - hanno affascinato nuove fasce demografiche, soprattutto la Gen Z che vive su Netflix, rilanciando uno sport che solamente qualche stagione fa era in forte declino. Destino uguale per il ciclismo, che con i documentari sulla Vuelta e su alcune squadre professionistiche sul modello di All or Nothing ha riconquistato interesse e seguito, anche grazie ai tanti nuovi campioni arrivati sulle strade negli ultimi anni. Ma anche il tennis sta vivendo lo stesso momento di grazia attraverso la stessa ricetta di nuovi talenti e grandi storie da trasformare in prodotti audiovisivi, vedi il riuscitissimo documentario "Una squadra" dedicato alla spedizione italiana alla Coppa Davis del 1976. In entrambi i casi, che il contenuto riesca o meno, i documentari di nuova generazione o si concentrano su una sola vicenda - come è stato La K di Benzema su Netflix - o rischiano di essere delle biografie senza entusiasmo. 

Ma ormai il business è stato lanciato e gli stessi protagonisti hanno letto tra le righe. Possono raccontarsi secondo la propria prospettiva, scegliendo così di liberarsi dalla costruzione che possono fare giornalisti o registi. Un trend lanciato oltreoceano, dove gli sportivi sono dotati di un potere superiore a quello al quale siamo abituati in Europa, ma che presto arriverà anche nel nostro sport. Il 24 giugno Kylian Mbappé era al Draft NBA per annunciare e pubblicizzare il lancio del suo nuovo progetto imprenditoriale, la Zebra Valley, casa di produzione che in partnership con la NBA racconterà storie di sport raccogliendo testimonianze di appassionati di calcio e basket. Sempre per rimanere nel mondo del basket, LeBron James sarà co-produttore e co-autore del personale biopic. Adesso è in arrivo anche il documentario su David Beckham, firmato Netflix, il primo contenuto dedicato all’ex star del Real Madrid che ripercorrerà la sua storia da calciatore. Lo stesso Beckham ha confessato: “E’ arrivato il momento di raccontare la mia storia”. Parola sua.