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Il Pisa ha un debito da riscuotere con la Serie A


La squadra toscana ha tutte le carte in tavola per salire nella massima serie e diventare un piccolo culto di provincia

Il Pisa ha un debito da riscuotere con la Serie A
 La squadra toscana ha tutte le carte in tavola per salire nella massima serie e diventare un piccolo culto di provincia

Piazza dei Miracoli, il lungArno, l’Università Normale, la Torre Pendente. Quella del Pisa è una storia che mette insieme tifo di provincia, un presidente vulcanico e Diego Pablo Simeone, una normale città universitaria a metà fra il turisti che si fanno le foto provando a reggere la Torre e il radicale folklore toscano, fatto di un piatto di spaghetti e un po’ di Chianti al ristorante in piazza, due passi sul lungArno fino all'ingresso in curva al Romeo Anconetani. Questo è lo stile italiano di Pisa e del Pisa e dell’Arena Garibaldi, un leitmotiv che dalla prossima stagione potrebbe diventare una consuetudine per le squadre e i tifosi di Serie A. A 7 giornate al termine della Serie B infatti, i nerazzurri del Pisa sono in alto, altissimo in classifica, a giostrarsi con Cremonese e Monza i due posti disponibili per la promozione diretta.  

Il Pisa la Serie A la conosce. C’è stata per sette stagioni, vincendo pure una Mitropa Cup e potendo vantare il merito di aver portato in Europa uno dei talenti del calcio sudamericano più caratteristici di sempre, il Cholo Simeone. Era il 1990, Simeone (come ha raccontato lui stesso nel documentario Partito a partido) giocava nel Velez, e il Pisa, dopo l’ennesimo campionato sbalorditivo dell’argentino, riuscì a portato nella Serie A di Maradona, Van Basten e Platini. Il club nerazzurro ai tempi era celebre anche per il carattere del presidente Romeo Anconetani, uno di quelli che meriterebbe un biopic dedicato per quella retorica del presidente dai rituali scaramantici prima della partita. In quella stagione con Simeone però l’impresa non è riuscita e la squadra scivolò in Serie B dove da allora, fra un fallimento e un cambio di proprietà, non è mai risalita.

Negli anni Novanta l’Italia era calcisticamente l’ombelico del mondo e i nerazzurri toscani, nella Serie A dei top player e degli stadi di (e per) Italia ‘90, erano una comparsa durata poche stagioni. Ma in quella festa, in quel periodo l'ambiente calcistico di Pisa era speciale, la realtà di provincia con la Torre di Pisa se la giocava contro le migliori squadre al mondo. Non solo in Italia, il Pisa sollevò due Coppa Mitropa guidata da Stefano Colantuono e Carlos Dunga, in una prima tappa in Toscana prima di fermarsi a Firenze.

Ma con questo passato così invitante dal punto di vista dell’estetica e della retorica, cosa dovremmo aspettarci oggi dal Pisa in Serie A? Ora il club è molto diverso da quello degli anni di Romeo Anconetani. La nuova proprietà è guidata dall’americano Alexsander Kaster, bancario estremamente abile nei fondi d’investimento e che ha subito messo finanze importanti nella realizzazione di un nuovo centro sportivo, in costruzione da quest’anno. La squadra è guidata da un allenatore giovane e spregiudicato, Luca D’Angelo, e ricca di talenti squisiti come l’interessante attaccante Lorenzo Lucca, il freddo Sibilli, il capitano Birindelli (figlio di Alessandro, ex Juve, pisano doc) o il promettente difensore Beruatto (anche lui figlio d’arte).



Ma quello che rende il Pisa la nuova provincia sportiva italiana è lo stadio che, Serie A o meno, rimarrà la cara vecchia Arena Garibaldi, anch’essa simbolo vintage del nostro campionato. Per la nuova categoria, tuttalpiù, lo stadio si doterà di qualche innovazione, con la struttura che rimarrà sempre la stessa come annunciato dal presidente attuale, Giuseppe Corrado. Ma l’Arena Garibaldi, localizzata vicinissimo a Piazza dei miracoli, come ogni stadio di provincia nasconde preziosamente il suo tifo e le sue storie, come quelle dei derby con Livorno in Serie B o le trasferte delle grandi squadre come la Juventus, il Milan o il Napoli di Maradona.


In Serie A ricalcherebbe il ruolo di provinciale del cuore che svolgeva il Siena, che giocava nell’inscalfibile Artemio Franchi con vista Torre del Mangia. Per i bianconeri, come il Pisa, la storia nella massima categoria è durata una decina d’anni. In questo senso, i nerazzurri in Serie A riporterebbero un puntino nella mappa del calcio italiano che non si vedeva da tempo e che riassesterebbe una regione – la Toscana – che in questi anni tra fallimenti e retrocessioni ha perso molto della sua tradizione nel calcio professionistico. 

Potrebbe il nuovo Pisa, con la nuova proprietà straniera e uno sponsor tecnico importante, vivere anche lei un modello sportivo in stile Venezia, con il dialogo costante fra brand turistico e tifo locale? Con una narrazione sagace e artistica del modo di vivere il calcio nelle città d’arte italiane e un chiaro simbolismo al quale riferirsi, anche per lo sponsor tecnico adidas potrebbe diventare un'affascinante sfida.

Per ora, a Pisa si aspetta solo di salire in Serie A. D'altronde in provincia, quello che non è pragmatico, è prolisso e quindi si aspetta nonostante la posizione in classifica possa già spingere a celebrazioni anticipate. Sarebbe bello vedere in Serie A, anche solo per una stagione le Repubbliche Marinare di Pisa e Venezia, come una volta dominavano il Mediterraneo e, oggi, di fronte a qualche migliaio di spettatori, si sfidano per un posto tra le migliori venti squadre d'Italia.