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Freddie Ljungberg è ancora un'icona di stile

A quasi vent'anni di distanza dalla cresta rosa shocking e dagli scatti per Calvin Klein, l'ex Arsenal ha cambiato il rapporto tra calcio e moda

Freddie Ljungberg è ancora un'icona di stile  A quasi vent'anni di distanza dalla cresta rosa shocking e dagli scatti per Calvin Klein, l'ex Arsenal ha cambiato il rapporto tra calcio e moda

La campagna pubblicitaria per il lancio della seconda collezione di Puma MMQ ha riportato davanti all'obiettivo della macchina fotografica uno dei calciatori che come pochi ha condizionato l'estetica che siamo soliti associare alla Premier League della metà degli anni zero. Con la cresta decolorata di rosa, le maglie grandi con le maniche che arrivavano ai gomiti e uno stile fuori dal campo che iniziava ad aprirsi all'alta moda con tutti gli scivoloni del caso, Freddie Ljungberg ha rappresentato un alieno e un precursore. 

Arrivato in sordina nell'Arsenal per precisa richiesta di Arsene Wenger diventerà una delle colonne di quei Gunners mitologici, capaci di vincere una Premier League nel 2003/04 senza perdere neanche una partita guadagnandosi l'invidiabile titolo di Invincibili. Il suo continuo movimento con e senza il pallone, un motorino inestinguibile che faceva da perfetto contrappunto alla regale classe della spina dorsale francese di quella squadra formata da Thierry Henry, Robert Pires e Patrick Vieira, lo renderanno un beniamino del pubblico Gunners, che si presentava a Highbury con i capelli tinti di rosa pronto ad esultare ad ogni percussione del numero 8 svedese, tanto da essere votato all'undicesimo posto tra i 50 giocatori più importanti della storia dell'Arsenal. 


Ma Ljungberg non era riconoscibile solamente sul prato verde di gioco, ma ha alimentato la sua leggenda anche fuori dal campo, diventando secondo i tabloid la risposta scandinava allo strapotere glamour di David Beckham, l'allora dominatore del calcio inglese. Rispetto al numero 7 del Manchester United, Ljungberg era meno attento alla costruzione della propria immagine, meno interessato a seguire l'onda lunga della sua fama. Anzi come tutti i Gunners di quella generazione, era modaiolo in quanto anticonformista, affascinante come solo un rivoluzionario può esserlo. 

La sua introduzione al grande pubblico, quello che non apparteneva agli appassionati di Febbre a 90°, avvenne con la campagna pubblicitaria per l'intimo di Calvin Klein - allora un vero e proprio brand generazionale - che, narra la leggenda decise di scegliere Ljungberg come proprio testimonal proprio dopo la rinuncia di Beckham. Una scelta che si rivelò decisamente azzeccata e che trasformò la mezzala in un vero e proprio sex symbol, grazie ai manifesti che lo ritraevano in bianco e nero con addosso solo la biancheria logata CK. La mascella squadrata come un mobile Ikea, i penetranti occhi di ghiaccio e gli addominali scolpiti in bella mostra segnarono un momento chiave nella relazione tra calcio e moda, aprendo ai calciatori porte che prima sembravano sbarrate. 

E aprirono nuovi orizzonti anche per Ljungberg, che da uomo più sexy di Svezia (dietro regolare votazione) diventò sempre più presenza fissa sui tabloid inglesi. Il volto affascinante e allo stesso tempo sfuggente di una delle squadre più vincenti del periodo, abbastanza esotico ed eccentrico da essere costantemente male interpretato da giornali che dovevano vendere più copie possibili, dovette rilasciare varie interviste per spiegare la propria sessualità. Data la sua passione per la moda, la cucina fusion e i musical a teatro si sparse la voce che fosse omosessuale, tanto che una sua intervista sul Daily Mail si intitola proprio "Mi piacciono i vestiti ma non sono gay". Diciamo che il mondo in vent'anni è cambiato abbastanza, per fortuna. 

D'altronde Ljungberg era piuttosto popolare tra le donne, dichiarando addirittura che durante il periodo della campagna per Calvin Klein non poteva più andare in giro senza che gli saltassero addosso, ed allo stesso tempo è stato sempre estremamente riservato sulla propria vita privata. Tanto che dopo aver appeso gli scarpini al chiodo in seguito alle esperienze in Major League Soccer, J-League e Super League indiana si è presto allontanato dai riflettori per dedicarsi alla carriera da allenatore che lo ha portato fino a prendere in mano la panchina dell'Arsenal per un breve interim nel 2019. Per lui essere cool e anticonformista era qualcosa di innato, un espressione di sé e non di un proprio brand personale da sfruttare visto che non ha mai voluto ricamare eccessivamente sulla propria figura fuori dal campo. Ma quel mohawk rosa, i completi di Roberto Cavalli e gli scatti in boxer con sopra Natalia Vodianova hanno cambiato il modo attraverso il quale definiamo l'estetica di un calciatore oggi.