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Le 5 maglie monocrome più belle della storia del calcio

Quando il normcore e il "less is more" si trasformano in leggenda

Le 5 maglie monocrome più belle della storia del calcio Quando il normcore e il less is more si trasformano in leggenda

Nell'ultimo quinquennio si è assistito, sia nella moda maschile che in quella femminile, ad una predilezione per l'uso di palette monocrome abbinate a silhouette spiccatamente geometriche e boxy. In nome di un utilitarismo versatile e raffinato, questo stile è stato abbracciato anche al di fuori delle passerelle dell'alta moda, diventando così elemento cardine di brand come Uniqlo, COS, Zara, Other Stories e Olive, per citarne alcuni. 

In campo calcistico l'uso del monocromo sembra essersi però limitato al retro delle divise, dunque con scopi più utilitaristici che estetici rivolti ad agevolare sia gli spettatori che gli arbitri nell'identificazione dei singoli calciatori nonché delle squadre sul campo.

I pattern monocromi sono senza dubbio stati protagonisti dell'evoluzione dell'estetica sportiva, consegnandoci alcuni dei kit più iconici della storia del calcio a riprova della veridicità del motto "less is more". D'altronde, il fascino delle superfici monocrome di Yves Klein o di quelle di Fontana ha rivoluzionato la storia dell'arte. Analogamente kit come quello dell'Olanda piuttosto che quelli della Fiorentina o del Torino hanno saputo, pur mantenendo una certa sobrietà attraverso gli anni, diventare sinonimo di eleganza sul terreno da gioco.

 

Italia Euro Belgio-Olanda 2000

Nonostante i pattern monocromi siano spesso associati al calcio retro, Kappa è stato il brand che maggiormente ha saputo attualizzare design dal gusto classico adattandoli alla necessità di evoluzione tecnologica. Il rivoluzionario modello Kombat lanciato all'alba del nuovo millennio fondeva la proiezione della cultura pop e della moda del periodo per il "Y2K" e l'estetica Cyber ad un design completamente innovativo preso in prestito dall'abbigliamento da surf. A rendere il kit ancora più speciale ai tempi fu indubbiamente la rottura con almeno due decenni di divise caratterizzate da un'esplosione di pattern geometrici e palette multicolori. In un percorso di ricerca sui materiali nonché sulle silhouette aderenti intrapreso dal brand torinese già nel 1984 con la sponsorizzazione del team di atletica statunitense ai giochi olimpici di Los Angeles, Kappa stupisce tutti - incluso Ian Todd, il direttore marketing del colosso americano Nike - ai mondiali del 2000 vestendo l'Italia con la bellissima divisa Kombat. I giocatori in Kappa diventano quasi dei cyborg del mondo nuovo, fondendosi con le loro divise in cui la scelta del monocromo non fa altro che aumentare la fluidità del kit a contatto con i muscoli. Vittoria sfiorata e un kit che dopo anni torna a essere fedele sia nei colori che nel taglio a quello con cui l'Italia sollevò il trofeo di Euro '68. A vent'anni di distanza dal debutto della Kombat, non stupisce se brand come MISBHV e Marine Serre ripropongano fit simili nelle loro collezioni.



Leeds United 2004-2005

Nel giro di poche stagioni il modello Kombat fa scuola. Entro la metà degli anni 2000 i tifosi iniziano ad abituarsi alle baruffe in area di rigore in cui le divise possono estendersi in maniera plastica fino a 50cm. Analogamente, anche i design puliti proposti da Kappa vengono adottati, con un ulteriore spin Cyber e neo-Space Age, da Diadora. Le divise monocrome come quella dell’AS Roma, del Luton Town e del Leeds United sono dunque impreziosite da dettagli come le tab bicrome sul lato destro del girocollo e da una serie di forme circolari distorte sulle spalle che tra 2003 e 2007 diventano identificativi di Diadora quasi più del suo logo. D'altronde il Leeds, pur sfoggiando una divisa storicamente total white, è sempre stata una società pionieristica in fatto di kit design. Si pensi, per esempio, all’introduzione dello "smiley" logo nel 1973 (uno dei primi stemmi modernisti nel calcio) nonché della rivoluzione contrattuale che avvenne nella stessa stagione quando, per mano dell'allora allenatore Don Revie, il club firmò un contratto di esclusiva con Admiral ed indossò il primo branded kit nella storia del calcio britannico.


CCCP Coppa del Mondo Inghilterra 1966

A volte tutto ciò che serve a rendere una divisa monocroma un gioiello estetico è il materiale, a volte è invece uno stemma o un dettaglio grafico. La maglia indossata dall'Unione Sovietica durante la coppa del mondo inglese del 1966 è un esempio di entrambi questi elementi. Prodotta da Umbro - che provvedette a tutte i kit delle nazionali partecipanti al mondiale - la maglia era in cotone pesante, un tessuto che sapeva sposarsi alla perfezione con i tagli solidi e i colli arrotondati proposti dal brand inglese; come d'altronde dimostrato anche dall'intramontabile fascino delle divise dei Tre Leoni. A fare la differenza era, senza dubbio, la scritta oversized CCCP (acronimo di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) cucita sul petto, anziché relegata a uno stemma. La divisa - come nella sua successiva incarnazione adidas del 1977 con girocollo bianco e tre strisce sulle maniche ed in quelle del 1988 e del 1990 - ha saputo essere sunto esemplare della sobrietà futuristica del costruttivismo sovietico. Il kit, per altro, sembra capace di anticipare di decenni i capi in knitwear con loghi sul petto disegnati da Bella Freud.

Saint Etienne 1974-1978

Quando si scrive di calcio francese, difficilmente nessun kit riesce a superare in fatto di iconicità quello marchiato Le Coq Sportif adottato dal Saint Etienne dal 1974 al 1978. A riprova che l'eleganza senza tempo di una divisa da gioco spesso si cela nella semplicità, la tradizionale palette verde smeraldo del club viene ravvivata dal sottile quanto fondamentale dettaglio dei bordi tricolori del colletto e delle maniche che rispecchiano i colori della bandiera francese. La risonanza del kit nella cultura pop fu così forte che il gruppo britannico Saint Etienne addirittura decise di omaggiare la squadra transalpina adottandone il nome.

Chelsea FC 2017-18

Indubbiamente non tanto innovativa quanto il modello Kombat della Kappa, la divisa del Chelsea marchiata Nike per la stagione 2017-18 ha rappresentato - a quasi vent'anni di distanza dall'esordio del rivoluzionario kit dell'Italia di Euro 2000 - un ritorno all'ordine monocromo in Premier League. Strizzando l'occhio all'iconica maglia indossata dal Chelsea di Peter Osgood dei primi anni '70, la divisa della Nike dimostra che è tutt'ora possibile coniugare la ricerca per materiali e tecnologie innovative al rispetto di design classici. Il kit, per altro, crea un ideale ponte tra il blasone da Champions League del Chelsea di oggi con gli anni in cui il club divenne pop all'apice della Swinging London, quando conquistò fan di tutto rispetto come l'attore Michael Caine.