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I 10 kit che hanno cambiato l’estetica della Serie A

E come ci sono riusciti

I 10 kit che hanno cambiato l’estetica della Serie A E come ci sono riusciti

Quando nel 1992 il canale televisivo inglese ITV lancia il fortunato show Calcio Italia, la Serie A esce per la prima volta in maniera consistente dai confini nazionali. Ad esaltare il pubblico britannico, e non solo, contribuendo a creare una vera e propria Serie A fever, non sono solamente i fuoriclasse che nei '90 calpestano i campi da gioco del belpaese – Baggio, Batistuta, Van Basten, Mancini, Fuser, solo per nominarne alcuni – ma anche l'estetica di quello che all'epoca sembra essere il campionato più bello del mondo. È il colpo d’occhio offerto dalla Serie A a sedurre, tra spalti stracolmi e divise dal fascino esotico; dalle bande orizzontali della Sampdoria a colori unici come il viola della Fiorentina.

Le maglie della Serie A, però, già da più di vent’anni – cioè dalla metà degli anni '70 – avevano riservato ai tifosi italiani e a quelli delle coppe europee sorprese rivoluzionarie, raramente eguagliate da altri campionati. Una pletora di brand di sportswear, sia stranieri che italiani, erano infatti stati in grado di proporre soluzioni di design avveniristiche, seducenti e sorprendenti, specialmente se consideriamo il background socio-politico contro cui si stagliava il campionato: gli anni di piombo.

Così come l’esplosione dell’Italo Disco sul finire dei '70 sembrava voler rappresentare la volontà degli italiani di lasciarsi alle spalle la violenza delle strade, la rivoluzione estetica delle maglie da calcio cattura uno sport che si faceva traino emotivo e, perché no, culturale di un popolo che aveva bisogno sia di divise identitarie che di freschezza.

Ridurre la rivoluzione estetica dei kit della Serie A di quel periodo a un puro vezzo americanista, sarebbe riduttivo. C’è sì la fascinazione per la svolta pop e glam della NASL, ma altresì c’è la brillante lungimiranza di una serie di marchi, designer, grafici e presidenti che intuirono la potenzialità del marketing e la necessità di rinnovamento estetico della Serie A.

 

A.C. Fiorentina 1983-85 Home

Nell’estate del 1981 la Fiorentina presenta la divisa Farrow’s, con il nuovo logo del club riportato sul petto in dimensioni mai viste sino ad allora nel calcio italiano, scoppia una sollevazione popolare. Addirittura, un tifoso imbestialito si rivolge al pretore, mentre un azionista del club, indignato, vuole fare causa alla società. La poca lungimiranza di tanti tifosi mette in luce un popolo ancora incerto nei confronti di storiche innovazioni stilistiche verso cui molti club si stanno lanciando. Oltre al nuovo logo, un giglio che si trasforma in lettera F – la cui intuizione di marketing spetta alla famiglia Pontello, all’epoca a capo del club – il rosso diventa per la prima volta parte del kit, andando a ravvivare colletto e polsini. A rendere ancora più folle la rivoluzione estetica del kit, è la scelta, inedita, di introdurre i calzoncini viola, esaltando così il contrasto tra il kit monocromo ed i nuovi dettagli rossi. Sul retro, altra chicca, è l’intuizione di riportare il numero rosso all’interno di un cerchio bianco, creando un equilibrio di geometrie tra fronte e retro della divisa. Lanciata con una scaltra operazione di marketing attraverso la stampa locale, la divisa rappresenterà una gioia amara per la Fiorentina che nella stagione 1981-82 si piazzerà seconda, concedendo – non senza dubbiosi errori arbitrali – lo scudetto alla Juventus all’ultima di campionato.

È però il modello successivo a quello della Farrow’s, cioè quello NR con sponsor Opel contenuto in una striscia bianca e stemma ricamato sul petto a mo’ di tappeto spugnoso, a rendere definitivamente iconica la grazia della divisa che trovò nei piedi di Socrates un partner ideale.

 

Inter 1991-92 Third

Quando negli anni '90 i tagli delle divise si fanno progressivamente più morbidi per conformarsi alla moda dello streetwear baggy esplosa a fine decennio precedente nel Nord dell’Inghilterra, non può che essere un’azienda inglese, la Umbro, a proporre alcune delle più iconiche divise di quegli anni. In modo particolare la maglia da trasferta indossata dall’Inter nella stagione 1991-92 è epitome di questa nuova corrente estetica che rappresentò la commistione tra sportswear e sottoculture. Con un pattern a scacchi distorti che assumono quasi la forma di una tempesta di rombi che si diramano sul petto e sulle spalle a partire dallo stemma, la maglia dei Nerazzurri cattura lo spirito lisergico della Madchester dei rave, del baggy e dell’acid house. Forse una delle divise meno celebrate della squadra milanese, ma per noi una vera gemma nella storia della Serie A.

 

AC Milan 1981-82 Home

Sull'altra sponda milanese non mancano certo divise affascinanti. Tra queste figura, senza dubbio, il kit introdotto nella stagione 1981-82 dai Rossoneri, casacca che rappresenta un altro interessante incontro tra sportswear e streetwear. Realizzata dal Linea Milan – own brand dei rossoneri – la divisa è sponsorizzata da Pooh Jeans e presenta sul colletto orizzontalmente bi-cromo, quasi a mo' di spilla, il profilo del logo dell’azienda di jeans. Anziché sul cuore, l’accattivante nuovo stemma della squadra, disegnato dall’agenzia milanese Zeta, è collocato nell’inedita posizione a lato dello sponsor. Il logo, un ghignante diavolo stilizzato la cui coda si sviluppa in una fiamma, deve evocare l’inferno che il Milan punta a scatenare sul terreno di gioco. Inoltre, è pionieristica la scelta di interrompere le strisce verticali per lasciare uno spazio orizzontale rosso per il nome, che verrà però usato vuoto per la maggior parte delle gare.

Altrettanto degna di nota è la maglia da trasferta, con due "bretelle" rossonere dal sapore Space Age che si innestano lungo la cucitura tra spalle e maniche

 

AS Roma 1978-80 Home

Il design con cui Pouchain veste la Roma tra 1978 e 1980 è, probabilmente, una delle vette stilistiche della Serie A, e non solo. Ironicamente ribattezzata "ghiacciolo" per via del suo carrè gradiente che evocava i gelati multicolore del periodo, la divisa ha segnato, già a partire dal 1978, un momento rivoluzionario nella storia del calcio italiano ed europeo. Infatti, il brand Pouchain lavorò in stretta partnership con il grafico italiano Piero Gratton che l’A.S. Roma, con una mossa inedita per i tempi, aveva assunto come in-house designer qualche anno prima. Non solo Gratton disegnò lo stemma Lupetto, ma elaborò l’iconico motivo a gradiente. Il fascino esercitato dalla nascente NASL poi fece il resto, ispirando l’introduzione dei numeri sulle maniche bianche – un’altra strabiliante novità.

Come se il kit home non bastasse, Pouchain replicò la stessa magia con la divisa bianca da trasferta a carrè cromaticamente invertito – forse, addirittura più elegante della sua controparte casalinga – rendendo praticamente impossibile scegliere quale tra le due maglie sia la migliore. Con questa divisa i giallorossi portarono a casa anche una Coppa Italia. Cos’altro si può desiderare da una maglia?

 

Lazio 1982-83 Home

Tra la fine degli anni '70 e l’inizio degli '80 c’era indubbiamente qualcosa nell’aria della capitale, e non era esclusivamente il fumo proveniente dagli hippy che affollavano la scalinata di Piazza di Spagna. Forse, dopotutto, ciò contribuì in parte alla stimolazione della creatività nel campo dello sportswear design, che toccò anche la sponda biancoceleste della città. Innovative come solo le divise da football americano o hockey su ghiaccio sembravano in quegli anni, la divisa casalinga della Lazio 1982-83 prese spunto dal precedente stabilito l’anno precedente dal giglio al centro della maglia della Fiorentina per poi portarlo ad un livello successivo. 

Con il suo design a cavallo tra il razionalismo anni '30 e la grafica modernista dei loghi della Serie A anni ’80, l’aquila avvolge il kit con le sue ali, diventando così protagonista della casacca metà bianca e metà celeste, ed introducendo il blu come terzo colore ufficiale della Lazio. Il font del logo dello sponsor Seleco, poi, matchava perfettamente il tratto dell’aquila, diventando così nel tempo, in virtù del kit a cui era associato, un’icona dei tifosi. 

 Altrettanto sorprendente fu la scelta di introdurre una variante biancoverde ed una rossoazzurra come kit da trasferta.

 

Hellas Verona 1984-85 Home

Con l’avvento degli anni '80 e l’introduzione di nuovi materiali diversi dal cotone pesante, i brand di sportswear si trovarono, finalmente, davanti alla possibilità di sperimentare nuovi pattern. Uno di questi era il pinstripe, da molti considerato come il pattern per eccellenza del calcio anni '80. Introdotto per la prima volta nella stagione 1981-82 sia dal Chelsea che dal Blackburn Rovers sulla loro divisa da trasferta gialla, il template è probabilmente stato un’ispirazione, più o meno conscia, per il kit pensato da adidas per l’Hellas Verona 1984-85. Non solo la casacca rappresentò il primo caso di divisa pinstripe nella storia della Serie A, ma accompagnò anche i gialloblù in uno storico titolo nazionale.

Anche se il pattern pinstripe non ha mai sfondato nel calcio italiano - adidas lo usò raramente anche per Cavese, Como e Monza, tra le altre - esso contribuì ad aumentare il fascino del Verona di quella stagione e ad assegnargli un esotico sapore da underdog britannico, che ben si abbinava all’estetica delle Brigate Gialloblu in parte ispirata da quella degli hooligans inglesi.  

 

Juventus 1978-79 Home

Il 1978 rappresenta un anno spartiacque per il calcio italiano perché a partire dalla stagione 78-79 gli sponsor tecnici iniziano ad apparire con regolarità sui kit delle squadre italiane, inaugurando un decennio ricco di rivoluzioni estetiche e di marchi di sportswear autoctoni. Tra le prime divise della Serie A ad intraprendere il trend c’è la Juventus sulla cui divisa a righe bianconere dal mese di dicembre compare, per la prima volta, il logo della Kappa. Il sodalizio iniziato nel 1977 tra l’azienda torinese ed i bianconeri sarà sinonimo di molti successi nazionali ed europei fino al 2002. A differenza delle gare di Serie A, il kit Kappa fu usato senza sponsor tecnico durante la Coppa dei Campioni per via del ban imposto dalla UEFA sugli sponsor tecnici nelle competizioni europee fino all’inizio degli anni '80. 

In materia di primati era però stata l’altra sponda torinese, ovvero quella granata, ad introdurre già dalla stagione 1973-74 uno sponsor tecnico, il diamante della Umbro, sulle divise per alcune gare del girone di ritorno.

 

Lanerossi Vicenza 1977-78 Home

Il Vicenza più che passare alla storia per il design delle sue divise, lo ha fatto per un precedente in fatto di marketing. Da quando nel 1953 il lanificio vicentino Lanerossi diventa sponsor del club, per oltre trent’anni il Vicenza gioca con un’elegante R intrecciata a mo' di filo di lana sul petto in sostituzione dello stemma. Per giustificare il nuovo logo, per diverse stagioni la squadra è infatti nota come Real Vicenza. In un certo senso, nella stagione 1977-78 i biancorossi ricordano più il Real Madrid che il Vicenza quando, trascinati da un giovane Paolo Rossi, si piazzano secondi in classifica. È dunque la divisa di quella stagione, con l’elegante variante blu della R, ad essere una delle più ricordate ed amate dai tifosi.

L’escamotage usato dal Vicenza per scavalcare l’impossibilità, all’epoca in vigore, di riportare i nomi degli sponsor sulle casacche da calcio rappresenta uno dei primi esempi di corporate identity nella storia dello sport. Non solo il Lanerossi Vicenza ha incarnato uno dei più longevi sodalizi al mondo tra uno sponsor ed una squadra di calcio, ma ha anche rappresentato un caso, più unico che raro, di coincidenza tra sponsor tecnico e commerciale.

Similmente, l’Ozo Mantova passato alla storia come il "Piccolo Brasile" usò una O sul petto tra la fine dei '50 e i primi '60, mentre il Talmone Torino 1958-59 scavalcò il divieto sugli sponsor in maniera ancora più sottile, cucendo sulla divisa una grossa T bianca corrispondente all’azienda dolciaria torinese che per tre stagioni fu partner del club.

 

Udinese 1983-84 Home

Negli anni '80, tra geometrie avventurose e l’arrivo di Zico, l’Udinese diventa una squadra sorprendentemente pop, da guardare tanto per il suo calcio che per le sue accattivanti divise. Nel 1983 Americanino – che contemporaneamente è uno dei marchi cardine della scena Paninara – cala l’asso con un kit in cui il design dialoga con le nuove necessità di marketing del calcio italiano. Se nella stagione 1981-82 la Z dello sponsor Zanussi sostituisce lo stemma del club, a partire dal campionato successivo la banda centrale verticale dal sapore Ajax è interrotta a metà da una forma a rombo bianca atta ad ospitare il nuovo sponsor Agfacolor, tipologia di rullino dell’azienda tedesca di macchine fotografiche Agfa. Il rombo bianco sembra, per altro, voler riprendere le geometrie dello stemma dei bianconeri tornato a campeggiare sul kit.

Questa non è, comunque, l’unica divisa avveniristica del club. Poche stagioni prima, infatti, nel 1978-79 l’allora presidente del club Teofilo Sanson, nonché proprietario dell’omonima azienda di gelati, aveva astutamente deciso di inserire lo sponsor del suo brand verticalmente sui calzoncini della squadra. Altrettanto iconica è la divisa introdotta per il campionato 1984-85 e comprendente di un motivo a tre macro bande diagonali bianconere, per altro ripreso dalla Macron per l’attuale kit dei bianconeri.

 

Napoli 1988-89 Home

Con gli anni '80 anche in Italia compaiono i primi kit in materiale sintetico come il raso ed il rayon, che donano alle casacche un effetto satinato, trademark del calcio di quegli anni. Uno degli esempi più iconici è, senza dubbio, la divisa studiata da NR per il Napoli 1988-89 e con cui i partenopei si aggiudicano una Coppa UEFA. Non solo la divisa è indissolubilmente legata alla figura di Maradona, ma anche allo sponsor Mars, la cui partnership con il Napoli, benché durata solamente tre stagioni, è rimasta una delle più memorabili nella storia dello sportswear design. A differenza degli altrettanto celebri sponsor Buitoni e Cirio, il font groovy e sinuoso del marchio di cioccolato inglese è quello che ha saputo distinguersi maggiormente sulle casacche degli azzurri sia grazie al design che al fascino esotico evocato dalle Mars Bars, che in quegli anni diventano un prodotto cult dal sapore Pop.

Scrivendo di Mars e Napoli, altrettanto iconica è la divisa rossa da trasferta prodotta sempre da NR per la stagione 1990-91. La casacca presenta un originale swoosh bianco-azzurro sul petto e vede lo stemma spostato sulla manica sinistra così da lasciare spazio al badge dello scudetto sul petto.