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Storia estetica di Massimo Taibi

Lo stile iconico del portiere che segnato nuovi canoni estetici per i portieri

Storia estetica di Massimo Taibi Lo stile iconico del portiere che segnato nuovi canoni estetici per i portieri

Il 25 settembre 1999 a Old Trafford, il Manchester United è in vantaggio 2-1 sul Southampton, con le reti di Sheringham e Yorke a ribaltare l’iniziale vantaggio di Marian Pahars. Al minuto 51 Matt Le Tissier riceve palla sulla trequarti, fa due passi e calcia senza troppe convinzioni verso la porta difesa da Massimo Taibi. Il portiere palermitano si era guadagnato la chiamata di Sir Alex Ferguson grazie a un’ottima seconda parte di 1998/1999 con la maglia del Venezia e, due settimane prima, era stato il protagonista assoluto della vittoria dei Red Devils a Liverpool contro i Reds grazie a due parate senza senso su Smicer e Fowler. Quel tiro, centrale, debole, prevedibile non dovrebbe rappresentare un problema: eppure in qualche modo il pallone gli passa sotto la pancia e le gambe tra l’incredulità di compagni di squadra, avversari, spettatori. La scena di Taibi che, avvolto in una vistosa maglia giallo fluo, guarda la suola delle sue Uhlsport prima di rialzarsi, quasi a voler cercare una giustificazione negli spazi tra quei sei tacchetti in ferro, è il finale anticipato e triste di una storia iniziata con ben altre premesse.

Da quel momento, infatti, tutto ciò che può andare male andrà peggio: Taibi giocherà un’altra partita (per un totale di quattro) agli ordini di Sir Alex Ferguson, coincisa con il tremendo 5-0 in casa del Chelsea della settimana successiva, prima di far spazio all’australiano Bosnich. A gennaio, complice anche un grave problema familiare - rivelato solo dieci anni dopo in un’intervista a Goal.com - torna in Italia, alla Reggina, togliendosi la soddisfazione di diventare il secondo portiere a segnare su azione in Serie A nove anni dopo Michelangelo Rampulla e sedici anni prima di Alberto Brignoli. Accade tutto il 1 aprile 2001 allo Stadio Granillo, a due minuti dalla fine di un Reggina-Udinese che vede i friuliani avanti 1-0: calcio d’angolo battuto da Mamede, Taibi irrompe in beata solitudine nell’area piccola e batte Turci di testa per l’insperato 1-1 finale.


È il momento che segna l’inizio della terza fase della carriera di Taibi. Quella in cui non solo si attesta come portiere affidabile e di ottimo livello al netto della competitività delle squadre in cui gioca - Atalanta, Torino e Ascoli - ma anche come ambasciatore dei canoni estetici più iconici e riconoscibili del ruolo più difficile di tutti. Innanzitutto la maglia: sempre un po’ più larga del necessario, meglio se con il colletto in bella mostra e rigorosamente a maniche lunghe, che si tratti della calda primavera calabrese o del ben più rigido autunno inglese. Poi il pantalone: se con Piacenza e Milan si era piegato alla consuetudine dei pantaloncini corti (seppur molto attillati) nella mezza stagione a Venezia si passa al lungo, con le imbottiture all’altezza del femore e con i calzettoni tirati al di sopra.


Quella sorta di “effetto pigiama” che Gabor Kiraly avrebbe poi consegnato all’immortalità e che, nella pur breve parentesi inglese, aveva segnato una prima differenza “visiva” con Peter Schmeichel e i suoi pantaloncini ad ogni costo e in qualunque condizione climatica. Infine il dettaglio più importante: il cappellino. Retaggio di una generazione cresciuta con il mito di Genzo Wakabayashi o necessità per proteggersi dal sole negli occhi cambia poco: quell’accessorio così tanto anni '90 diventa il segno distintivo di Taibi, il marchio di fabbrica vintage di ogni grande portiere di provincia che si rispetti, magari senza l’obbligo del marchio dello sponsor tecnico della squadra in bella vista. 

Un connubio, quello tra tradizione e innovazione all’interno di un mondo in continua e frenetica evoluzione, che caratterizza Taibi anche oggi che è direttore sportivo della Reggina. Ovvero la squadra con più hype estetico della Serie B e che vuole tentare la scalata al massimo campionato puntando su giocatori di assoluto culto come Denis e Lafferty e su quelli dallo swag immutato come Menez e Mastour. In porta il giovane e promettente Alessandro Plizzari, nato il 12 marzo 2000. Quel giorno, una domenica, al Granillo si disputava un altro Reggina-Udinese. A difendere la porta dei granata, con i suoi pantaloni lunghi, i calzettoni tirati su e il colletto in bella vista, un Massimo Taibi da poco rientrato dall’Inghilterra alla ricerca di se stesso: “Quando ho lasciato lo United mi sono trasferito alla Reggina dove mi hanno accolto e si sono presi cura di me dopo quel brutto periodoha raccontato recentemente ad AmericanGambler.com.

Probabilmente la Reggina e il Taibi di oggi nacquero in quei giorni lì.