Vedi tutti

Nike sta perdendo giocatori, ma è davvero un problema?

Negli ultimi mesi hanno interrotto il rapporto Neymar e Sterling

Nike sta perdendo giocatori, ma è davvero un problema?  Negli ultimi mesi hanno interrotto il rapporto Neymar e Sterling

Una delle notizie sportive più rilevanti nel mercato delle sponsorship calcistiche del 2020 è stata la firma di Neymar con PUMA, un accordo che ha interrotto il rapporto di O'Ney con Nike dopo 15 anni di sponsorizzazione. Ma non è il solo ad aver abbandonato lo Swoosh: Robert Lewandovski è quasi definitivamente passato a PUMA, Raheem Sterling ha lasciato Nike e anche Zlatan Ibrahimovic, pur senza una conferma definitiva, pare aver abbandonato il brand americano. Non è facile pensare che Nike abbia regalato con tale facilità alcuni dei suoi migliori player ai principali competitors, quindi, ci si chiede cosa effettivamente stia dietro alla strategia di Nike.  

Cristiano Ronaldo, Virgil Van Dijk, Kylian Mbappe, Frankie de Jong, Jadon Sancho sono i principali giocatori contrattualizzati da Nike e che rappresentano nel merchandising sportivo mondiale il brand americano. Come spiegato da Soccer Bible, Nike ha perso solo alcuni, importanti, player nel mercato dei testimonial sportivi, ma ciò non è sintomo di una eccessiva debolezza del brand. Sicuramente non avere più il giocatore ritenuto il più forte dopo Messi e Ronaldo è un colpo sofferente, ma il merchandising di un brand di sport non si misura solo sull'importanza dei volti sulle pubblicità. Intervistato da Vogue, il fondatore di Onside Law Oliver Hunt ha spiegato che investire sui club è più importante che concentrarsi sui singoli professionisti, perché le maggiori entrate arrivano dal merchandising delle squadre, non dai giocatori:

"Quando consigliamo alle persone, sia sponsor che club, devi distinguere tra il club e le persone al suo interno. E l'errore più grande è quello di attribuire qualsiasi valore alla sponsorizzazione ai giocatori all'interno del club".

In altre parole, continuare ad avere i migliori club del mondo è più proficuo di avere i migliori giocatori. E Nike, comunque, continua ad averli. 

Anche perché il mercato dei testimonial si è evoluto insieme al calcio. Nike è stato il brand che ha lanciato Joga Bonito e il trend degli spot televisivi, costruendo per prima il mito del testimonial mondiale (in questo caso Ronaldo il Fenomeno). Adesso è diverso. I campioni sono tantissimi, i giocatori potenzialmente fenomenali (e commerciabili) ancora di più. Il calcio di oggi è proprio dettato dai ritmi e le giocate di giocatori under 25 che poco più che ventenni contano già Champions vinte e centinaia di partite fra i professionisti. La strategia di Nike potrebbe essere proprio questa: scegliere loro, i talenti della next gen, piuttosto che i mastodontici top player. Anche per una questione di costi. Neymar è il quarto sportivo più pagato del mondo e parte di questi soldi, fino a tre mesi fa, venivano proprio da Nike (lo Swoosh serviva a O'Ney uno stipendio da 23 milioni di euro l'anno).

La questione economica è per forza infleuenzata dalla pandemia del coronavirus, causa di tagli anche in molte altre multinazionali non solo sportive. Per limitare i danni finanziari, Nike potrebbe aver deciso di tagliare i contratti più pesanti per risparmiare il budget su altre operazioni. 

Sono anche i calciatori stessi che non vogliono sentirsi così ancorati a uno sponsor. Ronaldo e Messi hanno dei contratti a vita rispettivamente con Nike e adidas, me sono praticamente di un'altra generazione. I nuovi talenti, come Sterling (classe 1994) o Alexander-Arnold (1998) - che hanno già cambiato alcuni sponsor tecnici -, preferiscono avere più indipendenza ed essere meno vincolati all'immagine di un brand. A Nike questa strategia più olistica che selettiva conviene, anche perché se la differenza continuano a farla i club, allora la sua posizione rimane più che mai inossidabile.