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La storia dei laccetti di Alessandro Del Piero

"Gol alla Del Piero, stile alla Del Piero"

La storia dei laccetti di Alessandro Del Piero Gol alla Del Piero, stile alla Del Piero

Il 13 settembre 1995, nella prima gara di Champions League della sua storia dopo l’era Platini, la Juventus è sull’1-1 al Westfalen Stadion di Dortmund contro il Borussia, con la rete di Michele Padovano che ha pareggiato quella in apertura del grande ex Andreas Moller. Al minuto 36 Paulo Sousa, con un tocco d’esterno destro, lancia in profondità Alessandro Del Piero che controlla sull’out sinistro cinque metri fuori dall’area di rigore, fronteggiato da Jurgen Kohler, altro ex juventino.

Con tutta l’incoscienza e la leggerezza dei suoi 21 anni ancora da compiere, Del Piero si accentra puntando il diretto avversario, entra in area e con l’ultima finta sbilancia Kohler, generando la separazione necessaria per la successiva conclusione. Quello che scavalca un incredulo Stefan Klos non è semplice tiro a giro sul secondo palo, ma una parabola in cui la palla – colpita in parte con l’interno del piede destro, in parte con la punta – ruota su se stessa nella fase ascendente per poi abbassarsi improvvisamente in quella discendente, mutuando il principio della “foglia morta” che fu di Mario Corso. Nasce così il “gol alla Del Piero”, una delle prime signature move del calcio moderno: il golden boy da Conegliano Veneto, autore di cinque reti consecutive nelle prime cinque gare del girone, la replicherà due settimane dopo contro la Steaua Bucarest e il 18 ottobre contro i Glasgow Rangers, alimentando la leggenda di un movimento che sembra essere soltanto suo e che contribuirà a identificarlo e distinguerlo dal resto del mondo anche negli anni successivi.

Come spesso accade, però, a questo tipo di iconografia contribuiscono anche alcuni dettagli estetici come la linguetta delle Predator rovesciata per avere un migliore impatto sulla palla quando si calcia di collo pieno e, soprattutto, i laccetti a stringere i calzettoni sotto il ginocchio per evitare che lasciassero scoperti polpaccio e parastinco. Non si tratta di una novità: quelle che con tutta probabilità sono stringhe prese da altri scarpini, avevano già accompagnato la sua ascesa già nella stagione precedente. Ma è sul palcoscenico continentale che legittima la sua dimensione di next big thing.

E mentre incanta sui campi di tutta Europa, Del Piero non può immaginare che quell’espediente – originariamente pensato in funzione di una maggiore libertà e comfort nei movimenti – si trasformi in un nuovo canone dell’eleganza on the pitch che genera numerosi tentativi d’imitazione da parte di orde di ragazzini estasiati dal dondolare ipnotico di quelle appendici che si muovono al ritmo della corsa e delle giocate del “Pinturicchio”. Che, a quel punto, decide di “brevettare” il tutto giocando anche sull’accostamento di colori: neri con calzettoni bianchi e blu, bianchi con calzettoni neri per quello che diventa marchio di fabbrica come e più di quella conclusione trasformatasi in un incubo per i portieri. Tanto da diventare anche il simbolo della cesura temporale che caratterizza la carriera di Del Piero: dopo essere arrivato in cima al mondo con i suoi laccetti, gli stessi spariranno nelle stagioni del difficile recupero post infortunio del novembre del 1998 e in quelle del lento ritorno alla dimensione del fuoriclasse. Come se la levità e il senso di invincibilità della gioventù, sintentizzati in quel vezzo così imitato e così particolare, avessero lasciato il posto a qualcosa di nuovo, a qualcosa di diverso, alla consapevolezza che anche un campione deve lottare per tornare quello che era, senza troppe concessioni al superfluo. 

Anche per quanto riguarda il look. Il Del Piero dei laccetti era un fuoriclasse che osava - talvolta anche oltre il lecito, come si può notare qui -  non solo sul campo ma anche fuori, con le inconfondibili basette a punta e il pizzetto sagomato ad accompagnare un taglio prima cortissimo poi sempre più lungo, fino alla stagione 1997/1998 (la sua migliore di sempre) in è una delle prime icone pop italiane grazie ai capelli bagnati di gel, epitome del cult anni ‘90, che gli permettono di diventare anche uno dei volti di Luxottica. Il crack di Udine si porta via l’esuberanza giovanile anche da questo punto di vista: negli anni successivi il pizzetto sparisce, le basette diventano più regolari, i tagli più squadrati con le sperimentazioni che si limitano ai baffetti “alla mongola ai Mondiali nippocoreani del 2002 o alla rasatura totale quattro anni dopo in Germania. Del Piero diventa, esteticamente parlando, più “affidabile”, quasi ordinario, in contrapposizione ad una classe senza tempo.

Non sparisce, però, il suo gusto per il dettaglio innovativo. Un dettaglio che deve essere sì visibile e che faccia tendenza, ma che non risulti ingombrante e pacchiano a un secondo sguardo. Da grande appassionato di sport americani, il numero 10 sdogana altri due accessori di culto: nel 2003/2004 è il primo calciatore a sfoggiare un “finger save” personalizzato sul modello dei giocatori NBA, anche questo in pendant con la divisa indossata (nero con numero giallo sul classico black and white della Juventus, azzurro con numero bianco nelle gare con la Nazionale); nel 2006/2007, mentre guida la Juventus nella risalita dalla Serie B riprende la tradizione del polsino sull’avambraccio – che nei primi anni 2000 era propria di giocatori come Henry Anelka – alla Michael Jordan, portandola in giro per il mondo anche nelle esperienze esotiche in Australia e India, con le maglie di Sydney FC e Delhi Dynamos che si sono prestate meglio di quella della Juve alle sperimentazioni cromatiche.

Ma nulla sarebbe stato come quei laccetti, che da necessità diventarono segno distintivo. Proprio come il gesto che avrebbe portato per sempre il suo nome: il “gol alla Del Piero” divenuto tale perché c’erano anche i “laccetti alla Del Piero”.