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Rivaldo e Mizuno: storia di concretezza e spettacolarità

Da quando il #10 brasiliano si presentò in campo con le "Morelia" nulla è stato più come prima

Rivaldo e Mizuno: storia di concretezza e spettacolarità Da quando il #10 brasiliano si presentò in campo con le Morelia nulla è stato più come prima

Per chi è cresciuto nella seconda metà degli anni ’90, Francia ‘98 è stato ‘il’ Mondiale. Il primo vissuto tra la reale consapevolezza di quanto una partita di calcio potesse influenzare umore e contesto circostante e l’attenzione ai dettagli dello star system che stava trasformando i calciatori nelle icone pop del domani. Quello francese è stato il primo mondiale "fashion" dell’era moderna: capelli lunghi, codini, rasature a zero e dreadlocks come smaccata espressione di personalità, scarpini multicolor a segnare la differenza tra i fuoriclasse e i giocatori normali. Il primo mondiale, quindi, in cui i bambini sognavano le Joma rosse di Morientes, le prime "Mercurial Vapor" di Ronaldo, le "Predator Accelerator" di Zidane, Beckham e Del Piero, le Puma "King Top" (rosse anche quelle) di Mustapha Hadji.

Poi, il 3 luglio, a poche ore dal pallone che Gigi Di Biagio ha mandato a infrangersi sulla traversa di Saint-Denis con le sue anonime FILA, arrivano Rivaldo e le sue "Morelia". Aveva calzato Umbro fino a qualche mese prima, con poche concessioni all’estetica e alle sperimentazioni, ad eccezione di un improbabile modello total blue con inserti giallo fluo nella sua unica stagione al Deportivo La Coruña. Poi la scelta di passare a Mizuno, marchio di nicchia sì ma che dal 1985 stava riscrivendo i canoni di vestibilità dello sport moderno nel giusto compromesso tra tradizione e innovazione. Il risultato era stato una scarpa sobria, essenziale e comoda. La scarpa con cui Rivaldo realizza due dei tre gol che servono al Brasile per eliminare la Danimarca ai quarti di finale: prima un pallonetto a beffare Schmeichel in uscita, poi un sinistro radente dai 20 metri potente, preciso, imparabile. Un calcio talmente perfetto che il pallone compie un giro intero della rete, la sublimazione del concetto di bellezza e funzionalità applicato a un gesto tecnico. Il tutto indossando il bianco su nero dell’azienda di Osaka: così minimal, così efficace.     

Forse è in quel momento che Rivaldo diventa il primo, vero, volto globale di Mizuno. Un brasiliano "atipico" nella sua visione semplice e diretta del gioco – appena vedi la porta, tira. Forte. E il dribbling solo se serve per potersi aprire uno specchio di porta più ampio da mirare –, ultimo erede della scuola dei mancini alla Gerson e Rivelino, quasi robotico nel suo essere decisivo sempre e comunque, soprattutto nelle occasioni che contano. E la “Morelia” è la sua arma ideale: in un mercato in continua evoluzione, alla ricerca di design e accostamenti di colori sempre più azzardati e futuristici, Mizuno e Rivaldo sono l’eccezione che conferma la regola, la forza della tradizione, la rappresentazione dell’idea che si possa essere fuoriclasse senza rinunciare a coniugare spettacolarità e concretezza. In questo pezzo su Ultimo Uomo Emanuele Atturo scrive che “Nel nostro gergo usiamo ‘giocare a pallone’ come equivalente di ‘giocare a calcio’; quando usiamo i due concetti in modo disgiuntivo è per indicare la differenza tra i calciatori che riescono a visualizzare il quadro più grande e chi invece è concentrato solo sul rapporto con la sfera”: ecco, Rivaldo è uno che indossa scarpe da ‘giocatore di calcio’ in un’epoca in cui i campioni indossano scarpe da ‘giocatori di pallone’.

Ma, prima o poi, tocca adeguarsi. Nel 2001 Mizuno lancia la prima generazione di "Wave Cup" e un anno dopo, in occasione dei mondiali nippocoreani, disegna per Rivaldo una versione total white, con logo e linguetta in elegante blu elettrico e gli inserti gialli a richiamare i colori della bandiera brasiliana. Rivaldo disputa un torneo da protagonista – 5 gol (di cui uno iconico al Belgio) e 3 assist –, guida il Brasile alla conquista del quinto titolo mondiale e consegna all’immortalità un modello che diventa la nuova epitome del cult: nella stagione seguente Adrian Mutu toccherà il suo apice in termini di gol e assist calzando le ‘Wave Cup 2002’ in un meraviglioso pendant con il gialloblù della maglia del Parma.

Si tratta di un punto di svolta nella filiera produttiva di Mizuno che decide di proseguire sulla strada della sperimentazione: nascono nuovi modelli, arrivano nuovi testimonial – negli anni Nakamura, Hulk, Honda, Santa Cruz, Aimar, Kluivert, Zola, Thiago Motta, Roberto Carlos, Shevchenko, Fernando Torres – le colorazioni si fanno più vivaci e moderne, ma il design basato su comodità e funzionalità rimane il tratto distintivo del marchio.

Così come le "Wave Cup" rimangono uno dei pochi esempi riusciti di signature shoes applicate al calcio: quel modello, in quella variante di colori, è stato è e sarà sempre la scarpa di Rivaldo. Di cui Mizuno ha poi elaborato due remake: il primo, nel 2014, con l’autografo del campione sulla parte esterna del tallone e l’aggiornamento delle stelle sulla linguetta (da quattro a cinque, una per ogni titolo mondiale vinto dal Brasile); il secondo, nel 2018, sviluppando ulteriormente il sistema "Compact Wave" – pensato, in origine, per migliorare il feeling e la sensibilità nel controllo di palla –, riducendo ulteriormente il peso complessivo della scarpa (230 grammi) e conferendole il tocco di esclusività della limited edition da appena 3.000 esemplari.

Il modo migliore per omaggiare il campione che ha cambiato per sempre la percezione di Mizuno a livello globale. Un marchio hipster portato nel futuro senza rinunciare alle caratteristiche che ne avevano scandito il passato da scarpa "da calcio" in un mercato di scarpe "da pallone". Proprio come Rivaldo, il più grande giocatore di calcio in un mondo di giocatori di pallone.