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La "teoria della bolla" può far ripartire lo sport?

I primi piani su come riprendere e gestire il post-pandemia

La teoria della bolla può far ripartire lo sport? I primi piani su come riprendere e gestire il post-pandemia

Come e quando ripartirà il calcio? È la domanda che in questo momento si pongono davvero tutti: giocatori, allenatori, tifosi, società, leghe, federazioni, stakeholder. Se da un alto è più che logico bloccare tutto - fatta eccezione del campionato bielorusso - almeno fino alla fine della fase acuta della diffusione del coronavirus, dall'altro è innegabile che il calcio può dare a tutti quella botta di fiducia che aiuterebbe ad aumentare le speranze d'uscita da quelli che in tanti definiscono già "il momento di crisi più grande dal secondo dopoguerra". 

Ci si interroga sul come e di riflesso anche sul quando, con federazioni e associazioni che provano a studiare le stime degli istituti sanitari, le previsioni e i numeri che riguardano i picchi della pandemia, che progettano piani che vanno dalla A alla Z pur di non perdere la stagione 2019-2020. L'imprevedibilità del virus, però, non rende semplicissime le strategie di un mondo, quello sportivo, che sta provando a rialzarsi. Ad oggi l'unica certezza è il lavoro delle leghe, che architettano e compongono puzzle per far sì che si possa tornare quanto prima, privilegiando sempre la salute su ogni altro interesse.


La soluzione della Premier League 

Gli inglesi sarebbero tra i più attivi in termini di pianificazione. Secondo alcune fonti, la federazione ha un piano per tornare a giocare a maggio, uno per tornare a giocare a giugno, un altro ancora per luglio. La soluzione che è emersa dagli ultimi vertici si basa su due principi: campi isolati e il formato della Coppa del Mondo. Stando a quanto riporta l'Independent, il piano potrebbe essere quello di realizzare un mega evento televisivo - in stile World Cup - e disputare le rimanenti 92 partite stagionali a porte chiuse e in campi lontani dagli agglomerati urbani. Le Midlands potrebbero prestarsi perfettamente all'uso, anche se al momento la soluzione più percorribile è quella del National Football Centre di St. George's Park

Come ogni decisione importante, esistono aspetti negativi e aspetti positivi. Tra i positivi ci sono sicuramente quelli legati alla ripresa di un'attività sì calcistica ma soprattutto economica - se consideriamo gli addetti ai lavori, i broadcaster e le società di scommesse sportive. Ci sarebbe quello che molti tabloid definiscono "un grande passo verso il ritorno alla normalità, oltre che una spinta psicologica significativa che avrebbe la nazione". Tra i contro, invece, ci sono sicuramente aspetti pratici e morali. Tra quelli pratici ci sono i problemi legati alla logistica, con tutte le persone coinvolte (giocatori, staff, arbitri, ma anche funzionari, cameraman e troupe televisive) che dovranno essere confinati in "basi di quarantena" per ridurre il rischio di contagio. L'altro lato della medaglia offre una visione più morale con la quale fare i conti: il calcio non è ovviamente considerato un'attività essenziale, ma la stessa presupporrebbe l'impiego di staff sanitario che può essere invece necessario altrove. E, considerando i numeri di posti letto disponibili negli ospedali, qualora un giocatore dovesse farsi male, dove si curerebbe? La Premier League avrebbe bisogno di un vero e proprio ospedale privato. 

Gli enormi contratti televisivi hanno aumentato in qualche modo la pressione sui club, che hanno come obiettivo primario quello di terminare la stagione. Proprio per questo motivo, il modello della Coppa del Mondo - quindi con più partite all'interno della stessa giornata concentrate in un luogo piuttosto circoscritto - rappresenta un'alternativa valida. Sul quando, invece, non c'è ancora certezza. La visione ottimista prevede un appiattimento della curva dei contagi durante i mesi estivi e solo allora si potrà iniziare a giocare. Una cosa, invece, è certa: nessun piano decollerà seriamente senza prima avere dei test affidabili che possano garantire la sicurezza di un evento.

La soluzione della NBA

Prima ancora che queste ipotesi lasciassero gli uffici del Brunel Building di Londra, dall'altra parte dell'oceano si ragionava già in questa direzione. Adam Silver e i proprietari NBA sono alla ricerca di una soluzione per riprendere la regular season e assegnare l'anello ad una franchigia. Una delle soluzioni sul tavolo è la creazione di una "bolla" sicura, dalla quale probabilmente la Premier ha preso spunto.

Le notizie arrivano da Brian Windhorst, penna più che affidabile di ESPN. Secondo il reporter americano, il progetto che porterebbe la National Basketball Association a riprendere le operazioni prevede la creazione di questa "bolla" in cui far giocare le squadre in una o al massimo due città, creando le condizioni di sicurezza necessarie. Mentre in Inghilterra c'è ancora un alone di mistero sul "dove", negli USA si ipotizzano già 3 possibili location per ripartire: la prima sarebbe Las Vegas, che è già sede della Summer League e già predisposta in termini di strutture con il Thomas & Mack Center, il Cox Pavilion e un eventuale campo da montare all'interno degli enormi alberghi della Strip, per avere tutte le squadre e gli addetti ai lavori sotto lo stesso tetto; la seconda opzione sono le Bahamas, con le strutture alberghiere e i resort che potrebbero trasformarsi in un'oasi per isolare tutti i coinvolti; la terza opzione è il Midwest - traslocando in toto in un campus universitario - una delle zone con meno casi di COVID-19 di tutti gli Stati Uniti. 

Che sia la soluzione americana o la soluzione inglese quella in grado di fare da apripista per ritornare alla normalità, le precauzioni sono un obbligo e le condizioni di sicurezza saranno una priorità. Dagli uffici della Legacalcio, invece, non trapela nessun segnale. L'Italia è l'epicentro mondiale della diffusione in questo momento e le criticità da superare sono molto più imponenti rispetto alle altre nazioni. L'ipotesi cancellazione, stando anche alle dichiarazioni di alcuni presidenti di Serie A, non è da escludere.