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La serie A ai tempi del Coronavirus

Tifosi, società, giocatori e sponsor. Chi paga le conseguenze delle partite a porte chiuse?

La serie A ai tempi del Coronavirus Tifosi, società, giocatori e sponsor. Chi paga le conseguenze delle partite a porte chiuse?

Dopo che il Comitato tecnico scientifico voluto dal premier Giuseppe Conte ed il ministro dello sport Spadafora hanno valutato quale potesse essere la soluzione migliore per affrontare il virus che sta colpendo il Bel Paese, la Federcalcio ha ufficializzato quello che tutti ormai si aspettavano:

Tenuto conto delle disposizioni emanate e delle ulteriori indicazioni ricevute dal Governo per fronteggiare l’emergenza Coronavirus e salvaguardare la salute pubblica, al fine di evitare l’interruzione della competizione sportiva, nonché di assicurarne lo svolgimento e consentirne la conclusione, la Figc ha disposto con apposito provvedimento, fino a nuova determinazione, che si giochino a porte chiuse tutte le gare organizzate dalla Lega Serie A”.

La decisione - giusta o sbagliata che sia - ha instaurato una serie di reazioni a catena che potrebbero penalizzare o avvantaggiare ciascuno degli enti coinvolti: da un lato ci sono le dinamiche sportive, per cui squadre come la Lazio o l'Atalanta, che rendono il doppio quando giocano in casa spinte dall'euforia dei propri tifosi, potrebbero subire il fatto di giocare a porte chiuse; altre come Juve e Milan che invece hanno bisogno di ritrovare tranquillità nelle scelte di gioco e probabilmente riuscirebbero a recuperare la serenità necessaria senza essere influenzati dagli eventuali fischi dei tifosi. Da un lato gli abbonati, che probabilmente non vedranno rimborsata la percentuale di quota pagata ad inizio anno - ma è un discorso che varia a seconda del contratto che il tifoso ha sottoscritto con la società - dall’altro i tifosi di tutto il mondo che per il prossimo mese percepiranno attraverso la TV un’immagine ancor più desolante del nostro calcio, un prodotto già scadente che rischierebbe di perdere ancor più valore senza la presenza sugli spalti di un po’ di folklore.

Si tratta di una situazione senza precedenti, una causa di forza maggiore che ha gettato nel panico qualsiasi organo preposto a prendere decisioni. Nessuno si vuole assumere la responsabilità di dire ''giocate'' ma al contempo ognuno vuole salvaguardare la propria salute (fisica ed economica).

Ci ha quindi pensato la scienza a riportare sulla terra gli avidi padroni del calcio, persi a litigare per difendere i loro interessi mentre si è intenti ad affrontare l’emergenza sanitaria più grande degli ultimi 70 anni. Il problema più evidente, oltre al virus stesso, è uno dei più frequenti del nostro paese: ognuno fa i propri interessi senza valutare le ripercussioni delle scelte prese.

E’ un discorso che vale sia all’interno della Lega Calcio, dove le diverse scelte societarie sono influenzate dalla posizione in classifica e da un calendario più o meno favorevole da qui a fine stagione (con conseguenti proteste da parte di tutti quelli che non la pensano nella stessa maniera, vedì caso Zhang), che all’interno degli organi federali, dove la scelta più scontata è stata quella di salvaguardare la salute della popolazione, scaturendone i malumori di quelle società che, ahiloro, devono guardare anche ai bilanci economici.

Una presa di posizione che ha il merito di mettere la Lega Calcio e i presidenti di Serie A con le spalle al muro: o si decide di giocare oppure si dice addio al campionato fino alla prossima stagione, non esiste una via di mezzo.

La decisione da prendere era talmente ovvia che probabilmente la Lega, impersonificata da Paolo dal Pino, ha voluto cercare una soluzione alternativa peccando di superbia, invece di seguire l’onda di tutti gli altri sport che avevano deciso di bloccare gli ingressi alle strutture sportive, fregandosene degli sgravi societari. Una decisione dettata probabilmente da un immotivato ottimismo sulla durata dell’emergenza che ha portato all’idea di poter disputare a breve lo scontro scudetto tra bianconeri e nerazzurri, senza considerare che nel frattempo il governo stava prendendo decisioni drastiche, come le chiusure delle scuole, per evitare la diffusione di massa del COV-19.

Mentre il turismo è in ginocchio, i locali sono vuoti e le aziende sono costrette a lasciare a casa i dipendenti, il pallone pensa di poter incredibilmente uscire immune dalla crisi. Con la gente chiusa in casa, costretta a non poter uscire nelle zone rosse, il calcio avrebbe dovuto svolgere la sua funzione principale: quella sociale. Le partite trasmesse in chiaro in televisione avrebbero rappresentato un importante momento di svago e 90 minuti di ritorno alla normalità, tenendo incollati al divano milioni di appassionati, contribuendo a dimezzare le occasioni di contagio.

Purtroppo l’emergenza sanitaria non finirà a breve: se il calcio non se ne rende conto, in Italia non si vedrà più rotolare un pallone per mesi. Ed a rimetterci a quel punto non saranno solo i soliti tifosi.