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Héctor Bellerín è un calciatore differente

Il terzino dell'Arsenal lo ha confermato attraverso alcune dichiarazioni pubblicate sul Guardian

Héctor Bellerín è un calciatore differente Il terzino dell'Arsenal lo ha confermato attraverso alcune dichiarazioni pubblicate sul Guardian

E' da poco tornato sui campi dopo otto mesi, quelli che gli sono serviti per recuperare dal grave infortunio patito al ginocchio sinistro lo scorso gennaio contro il Chelsea, e due minuti dopo il suo ingresso in campo ha subito regalato un assist nel match di Coppa di Lega tra Arsenal e Nottingham. Se c'è qualcosa che è riuscita a superare l'eco del suo ritorno al calcio giocato è sicuramente l'ultima intervista, uscita qualche giorno fa sul Guardian: un vero e proprio back-to-back tra il laterale spagnolo e il comico inglese di origini sri lankesi e grande tifoso dei Gunners, Ramesh Ranganathan, in cui per l'ennesima volta è emersa tutta la sorprendente sensibilità del giovane catalano.

Oltre a sfrecciare sui campi di Premier League, Héctor Bellerín è stato il primo e unico giocatore della massima serie inglese a parlare presso l'Oxford Union, dove è stato invitato a a discutere di calcio e di tanto altro proprio per la sua capacità di spaziare su argomenti diversi e fornire spunti interessanti e poco convenzionali, quelli che altri calciatori non sono in grado di dare. E' un grande appassionato di moda e non perde occasione per mettersi in mostra sulle passerelle di Londra, Milano e Parigi; ama girare per le gallerie d'arte londinesi nel tempo libero; pubblica foto analogiche sul suo profilo Instagram; parla dell'Indipendenza catalana e di politica internazionale; fa yoga ed è vegano: quanto basta per avere già da tempo universalmente conquistato lo status di calciatore particolare, sui generis, completamente differente dagli altri.

Sono pochissimi i calciatori professionisti che sono riusciti a distinguersi e farsi apprezzare per la loro personalità lontano dal rettangolo di gioco, capaci di stare perfettamente a loro agio anche in ambienti diversi, e uno di questi è sicuramente Bellerín. E' proprio il concetto di personalità, quella che qualche tempo fa era posseduta da un'altra colonna della squadra londinese come Tony Adams, a dare il là alla conversazione tra i due: la stessa personalità che evidentemente manca a gran parte dei calciatori, abituati a postare sui social network contenuti talmente noiosi e anonimi che hanno contribuito a accrescere la convinzione comune di 'calciatori = macchine' (quelli che, Messi e Cristiano Ronaldo su tutti, col passare degli anni, oltre alle caterve di gol grazie a cui hanno riscritto un record dopo l'altro, hanno modificato la concezione universale del campione, anteponendo la prolificità alla sregolatezza) e 'calciatori = stupidi', incapaci di sfruttare la loro posizione privilegiata per trattare argomenti esistenti ben più seri e scomodi come il razzismo e la depressione.

"Se Einstein fosse ancora vivo, probabilmente non avrebbe idea della regola del fuorigioco. Abbiamo un diverso tipo di intelligenza."

Un discorso generale che prescinde dalla provenienza popolare della categoria dei calciatori, e dal loro background culturale. Pur facendo parte di una famiglia della lower class, quello di Bellerín è molto differente da quello dei suoi colleghi: cresciuto in Catalogna con il padre, assicuratore tifosissimo del Betis, e la madre, disegnatrice di vestiti che gli ha inevitabilmente trasmesso la passione per i quadri e la moda, negli anni ha elaborato un mix di influenze che poi, sbarcato a Londra a soli 16 anni, ha avuto modo di coltivare e sviluppare che tutt'ora conserva, grazie ai tantissimi stimoli offerti dalla dinamicità della City. Come dichiarato in una lunga intervista apparsa su MUNDIAL, di cui è stato il volto di copertina nel 2018:

"Ho sempre voluto essere un po 'diverso, ma penso che Londra abbia avuto un'enorme influenza su questo. [...] Sento che Londra è una città in cui ci sono così tanti stili diversi, così tanti diversi gruppi di persone e sottoculture, che anche se ottieni quegli sguardi per strada, non ti interessa davvero. All'età di sedici anni, venire qui, uscire per strada e vedere così tante persone fare quello che gli piace di più, mi ha ispirato molto".

La realtà invece è fatta di calciatori abituati a fare le stesse cose, a postare contenuti sempre troppo simili e pensare tutti allo stesso modo piuttosto che fare emergere la propria unicità, mostrando le proprie convinzioni e creando un'icona indipendente. Di certo è una questione legata al livello di estetica e di gusto, quello che non appartiene a tutti indistintamente e che permette di vedere le cose in maniera da una prospettiva diversa. Come ad esempio riguardo al North London Derby tra Arsenal e Tottenham, che secondo alcuni nel corso degli anni ha perso un po' di fascino perché i giocatori stranieri non hanno lo spirito giusto per giocare una sfida di quel calibro, ma che invece Bellerín  cresciuto col mito di Thierry Henry e indirizzato da Arsene Wenger, vive in tutt'altra maniera. Quella giusta.

"Non odio il Tottenham perché mi hanno detto di odiarli. Li odio perché amo l'Arsenal".

Troppo spesso, tra gli atteggiamenti associati alla sfera personale del calciatore medio, manca la sincerità di apparire come persone normali, mentre esiste la paura di manifestare gli sforzi di tenere testa alle pressioni, la solitudine e le oggettive difficoltà quotidiane di dover vivere periodi medio lunghi senza gli affetti più cari, un problema che riguarda i più giovani ma comunque molti grandi campioni. Fragilità che vengono sistematicamente tenuto nascoste per non rovinare l'immaginario ideale del calciatore super-uomo tutto muscoli. Una figura che non necessariamente corrisponde a quella del calciatore professionista.

"I calciatori si sentono ancora spaventati perché lo sport è associato alla virilità. Ma non devi essere un maschio alfa solo perché sei un calciatore".

Bellerín e Ranganathan si ritrovano a parlare proprio di quelle debolezze così profondamente umane, eppure poco considerate, che condividono tanto quanto la passione per gli sketch comici e le esibizioni (tutti e due si apprestano ad andare a vedere uno spettacolo di Ricky Gervais). E così quando l'attore inglese racconta di essersi più volte ritrovato a mangiare un sandwich da solo in una camera d'albergo solamente 45 minuti dopo essere stato acclamato dalla folla dopo un suo spettacolo, Bellerín  che recentemente ha passato tanto tempo da solo sui letti d'ospedale post operazione al ginocchio, commenta così:

"È così lontano da ciò che la gente immagina! Probabilmente pensano che tu stia in giro con 20 belle ragazze".

E' probabilmente proprio grazie all'abitudine di recitare, che il piccolo Héctor imparò ad improvvisare ispirandosi all'attore iberico Toni Moog e che poi esercitò anche a casa facendo standup comedy con la sua famiglia, che oggi il terzino dell'Arsenal ha maturato la capacità di affrontare discorsi ben più importanti, conversando pubblicamente e tal volta schierandosi su grandi argomenti universali come l'inquinamento, il futuro del nostro pianeta, la salute mentale e la politica, dimostrandosi sempre più vicino a quello che dovrebbe essere il calciatore moderno, che non ignora quello che lo circonda ma che affronta la vita con una coscienza diversa e che si nutre di interessi diversi da quello calcistico.

Ma anche quello di esibirsi senza paura di essere criticato, di partecipare alle sfilate (come spettatore e come modello), di sfoggiare qualsiasi tipo di outfit o di acconciatura, quelli che tantissimi considerano cool e che invece molti altri non riescono ad apprezzare perché troppo distanti dal proprio immaginario. Nel corso degli ultimi anni lo abbiamo visto indossare praticamente qualsiasi cosa, ma d'altronde la passione per creare e sperimentare fa parte del suo DNA e come dichiarato su Vogue qualche mese fa:

"Conosco un sacco di persone che supportano le squadre di calcio e non si preoccupano della moda. Per loro, può essere abbastanza strano vedere qualcuno che sembra molto diverso, ma ho imparato a non leggere i commenti. [...] Sto vivendo la mia vita nel modo in cui voglio viverla, e non nel modo in cui la gente pensa che dovrei".

Dopo un breve botta e risposta sul rapporto tra calciatori (e personaggi pubblici in genere) e fan, che lui ama sempre accontentare con foto e autografi anche quando viene scambiato per l'ex compagno di squadra e connazionale Nacho Monreal (anche se poi sono gli stessi tifosi a volere un calciatore=macchina sempre concentrato solo sulla propria squadra di calcio, e privo di interessi di altro genere), la chiacchierata tra i due non poteva che sfociare nella scelta di diventare vegano, un argomento comune ad entrambi (anche Ranganathan è vegano) che l'ex Barcellona ha maturato nel 2016 e successivamente ha spiegato bene su The Players Tribune. Se è vero che dieci anni fa sarebbe stato impossibile per un calciatore prendere una decisione simile, in realtà è un'altra dimostrazione che si può intraprendere una via differente rispetto alla corrente, a ragione. 

"Quando sono diventato vegano, non credo che ci fossero molti calciatori che non mangiavano carne. Ma stavo guardando cose su Netflix su come vengono trattati gli animali e sui danni che stiamo facendo al pianeta mangiando così tanta carne. Ho iniziato una dieta a base vegetale per un paio di mesi prima di dirlo a mia madre; la dieta spagnola è tutta jamon e paella di carne o pesce. Quando le ho detto, ha detto: Di cosa stai parlando? Come avrai l'energia per giocare? Ma il dottore disse: Héctor, non vedo un esame del sangue così buono da 15 anni. Pensava che avrei dovuto prendere Omega 3, ma non prendo integratori."