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Il calcio in Israele

Storie, squadre, politica e altre curiosità legate al movimento calcistico del Paese medio-orientale

Il calcio in Israele Storie, squadre, politica e altre curiosità legate al movimento calcistico del Paese medio-orientale

Turisticamente il 2018 è stato un anno d’oro per Israele: secondo il Ministro del Turismo Yaariv Levin, in quell’anno la propria Nazione ha raggiunto il record storico di visitatori pari a 4,2 milioni annui. Un primato nazionale che ha reso molto orgoglioso lo Stato medio-orientale, Paese politicamente convulso e dalle contraddizioni mediatiche molto marcate. Infatti, non è un caso che Israele sia una Nazione a due facce, un po’ come le città che lo rappresentano: da un lato la moderna e avanguardistica Tel Aviv, profondamente verticale e godereccia, dall’altra Gerusalemme, tanto sacrale quanto accogliente. E da sempre, fin dalla nascita novecentesca, Israele ha sempre diviso e unito nell’ambito di una generale considerazione mondiale - che appunto, tocca i settori economici, politici e soprattutto religiosi. 

Anche per questo il calcio sionista ha assunto negli anni una configurazione più nazionale che internazionale, molto più ancorata alle rivalità interne che non aperto a un miglioramento transnazionale. Nella lega Ligat ha’Al, il primo campionato professionistico nato nel 1999, giocano 14 squadre, di cui tre sono di Tel Aviv e una di Gerusalemme, e la più titolata è il Maccabi Tel Aviv, club numero 84 nel ranking UEFA e vincitore di 22 campionati israeliani. La grande rivalità dei club di Tel Aviv  - ed è quì che si concentra il nucleo topico del calcio in Israele - è con il Beitar Gerusalemme, club antagonista sia in campo che fuori: politicamente infatti il Beitar è notoriamente la squadra della destra radicale, tanto che fino al 2015, come testimoniato da un ammaliante documentario del Guardian, in rosa non erano ammessi calciatori musulmani. Ad esempio, invece, l’Hapoel è molto più inclusivo e di sinistra, una squadra dalla sfera internazionale, che si caratterizza da una sempre assidua campagna acquisti incentrata su giocatori stranieri e da un passato importante nelle coppe europee. Il 2000-2001, infatti, a Tel Aviv lo ricordano come un’annata eccezionale: gli israeliani batterono il Chelsea e il Milan, che venne sconfitto 1-0 a Tel Aviv ma vinse poi a Milano 2-0.

L’attenzione per i club israeliani negli anni è cresciuta di pari passo con l’escalation del paese, sempre più vivo, turistico, e progressista, dove l’occidentalizzazione, dagli anni '60 sempre più attestata, ha creato in Israele una bolla moderna in un Medio Oriente sempre più mediaticamente bistrattato. Ovviamente il Paese non può non essere identificato anche per le notevoli tensioni con i Paesi arabi - la striscia di Gaza si trova  a “solo” 100 km da Tel Aviv e le attuali irrequietezze con alcuni Stati vicini non hanno contribuito ad affievolire il problema politico-religioso - ma il calcio, seppur in una dimensione contenuta, è ancora un fattore importante nelle dinamiche sociali di una Nazione tanto accogliente quanto controversa. E soprattutto, è lo sport più seguito, insieme al basket

 

Il campionato

Il calcio in Israele è arrivato grazie agli inglesi, che durante il Mandato Palestinese hanno portato - come in tanti altri posti del mondo, tra cui l’Italia - il gioco del football. Israele è stato subito attratto dallo sport del pallone che rotola, e negli anni la cultura del calcio è diventata inclusiva, di massa, congiuntiva. A cavallo fra gli anni '50 e '60 sono nate molte realtà calcistiche rigorosamente divise fra ebraiche e arabe, tanto che appunto, fino a poco tempo fa, questa partizione era ancora più marcata. 

Le squadre israeliane disputano una regular season fino a marzo, salvo poi dividersi in due gironi - stile Scottish Premier League - in cui si disputano veri e propri play-off. Il club campione d’Israele accede ai preliminari di Champions League mentre i secondi e terzi classificati partono dai preliminari di Europa League. Retrocedono le ultime due dei play-out. Israele attualmente è classificato come 23esimo nel ranking UEFA per club, un posizionamento che negli anni si è avvicinato di molto. Perché il calcio sta diventando sempre più popolare e a contribuire a questo fenomeno non è stato solo il livello del campionato - dove è aumentato il numero di stranieri, sempre intorno agli 80 calciatori - bensì anche gli stessi calciatori israeliani, che in Europa stanno conquistando sempre più spazio. In questo senso il giocatore di punta è l’attaccante del Siviglia - prima al Red Bull Salisburgo - Munas Dabbur, che quest'estate gli andalusi hanno pagato addirittura 17 milioni di euro. Agli over 30 più celebri come l’ex centrocampista del Palermo Eran Zahavi, ora finito a giocare in Cina nel Guangzhou, Bibras Natkho, Tomer Hemed e Beram Kayal, si aggiungono alcuni giovani di talento: una tra le nuove gemme del calcio sionista è sicuramente Shon Weissmann, attaccante ventitreenne del Wolfsberger in gol contro il Monchengladbach nel primo turno di Europa League, un'altra è l'ala dello Shakhtar, Manor Solomon.

Un dato curioso: tre degli attuali membri della Nazionale israeliana (allenata dall’austriaco Andreas Herzog) giocano o hanno giocato nel campionato scozzese, a più di 5600 km di distanza.

 

Mille derby

La Ligat ha’Al è una costellazione di partite sentite e scontri territoriali. Essendo un paese poco esteso (Israele è il 154° stato per estensione geografica sui 263 mondiali) le città sono molto ravvicinate e il bacino del tifo si lima soprattutto nei grandi centri urbani: Tel Aviv, Gerusalemme, Beer Sheva, Haifa. Se la rivalità più sentita è quella fra Beitar e Hapoel, nella stessa Tel Aviv si scontrano due realtà molto opposte, quella del Maccabi e dell’Hapoel. Come i rivali, pure il Maccabi è una formazione molto affermata in campo europeo, e soprattutto, è un club che negli anni ha portato in Israele diversi professionisti poi diventati famosi nel Vecchio Continente (Peter Bosz, Paulo Sousa, prima ancora Avram Grant). 

E’ un club profondamente ricco e con disponibilità economiche ampiamente superiori alla media, tanto che nello scorso torneo hanno concluso il campionato con 30 punti di distacco sulla seconda. In questo senso il Maccabi - oltre che a una tradizione europea molto importante - può essere ritenuto simile al Psg o al Bayern Monaco, capace di acquistare ogni stagione i migliori giocatori del torneo israeliano. 

Il Maccabi è una delle tre società che hanno giocato almeno una volta la Champions League, e il suo stadio, il Bloomfield, giocano anche il Bnei Yuda e l’Hapoel. Il grande classico del calcio israeliano può considerarsi Hapoel-Maccabi, che tra l’altro, è anche definito il Grande Derby di Tel Aviv. Il Maccabi è una realtà profondamente ebraica, rappresentata ulteriormente dalla Stella di David sul proprio logo. Inoltre, in ambito derbistico, gli altri match clue sono quelli che coinvolgono i club d’alta classifica, cioè le partite con il Beitar, il Bnei (con cui Hapoel e Maccabi giocano il “Piccolo Derby”), il Maccabi Haifa e l’Hapoel Be’er Sheva, che sono appunto le grandi d’Israele.

Quest’ultimo è una squadra dal passato non certo vincente ma da un presente affascinante. In Europa sono diventati famosi per la doppia vittoria con l’Inter in Europa League nel 2016, ma il club in realtà è noto anche per essere una delle società più avanguardiste e moderne del calcio israeliano. Uno degli esempi è questo simpatico video che l’Hapoel ha creato per la presentazione delle nuove maglie; una formula, quella dell’utilizzo dei social per la pubblicità, in uso praticamente da tutti i grandi club sportivi:

Altra realtà fondamentale è il Maccabi Haifa, club della città portuale e vincitrice di 12 titoli nazionali e diverse apparizioni in ambito europeo: notevole, per quello che riguarda il Maccabi, è lo stadio, il Sammy Ofer.

 

Il Beitar, una storia a sé

Chi merita una spiegazione esclusiva è il Beitar Jerusalem, il cui radicale fondamentalismo cozza male con il presente multiculturale di Israele, sia nel calcio che nella società. La necessità di aprirsi a un nuovo mercato di giocatori ha portato la società a compiere un passo oltre la storia: chiamare in rosa dei giocatori islamici. Come il Guardian, anche Netflix ha approfondito questa situazione con un documentario - Forever Pure - in cui, con varie interviste ai diretti interessati, viene spiegato bene la situazione ed il rapporto squadra/supporterts. I tifosi lo hanno vissuto come un affronto, un autentico tradimento; la dirigenza invece come un passo verso la modernità e il cambiamento. Due ragioni opposte che si sono scontrate fra contestazioni, minacce e eloquenti striscioni allo stadio.

Il Beitar è nato nel 1936, un anno particolare e fondamentale nel conflitto arabo-israeliano. Negli anni la squadra si è sempre espressa come quella col tifo più espressivo e caloroso - il gruppo di tifosi organizzati La Familia è uno dei più famosi al mondo - e l’affiatamento fra giocatori in campo e fuori è dovuto soprattutto all’atmosfera dello stadio Teddy Kollen, che è anche il più grande di tutto Israele. Nonostante i precedenti episodi di razzismo, il Beitar oggi è una realtà inclusiva, in cui certamente rimane una parte di fan più accanita e conservatrice ma che in generale, al Kollen, sostengono la squadra indipendentemente da questioni religiose. Lo stesso presidente del Beitar, Moshe Hogeg, combatte in prima persona il razzismo nel suo club con delle rigide misure cautelari. In tutto il campionato, le tensioni politico-religiose sono molto meno affermate rispetto a qualche anno fa, e oggi, indistintamente, in ogni squadra giocano ebrei, arabi, cristiani e buddisti; nella stessa Nazionale d’Israele giocano una buona parte di calciatori arabi. L’importante è essere bravi. 

Il Beitar è anche molto tifato in politica, con diversi esponenti politici che hanno sostenuto pubblicamente i successi della squadra e sono spesso in tribuna allo stadio. D’altronde, come qualsiasi cosa in Israele non può non avere uno sfondo politico e religioso, così il calcio non può essere solo uno sport. Nel maggio 2018 il club ha deciso di cambiare nome in Beitar 'Trump' Jerusalem, un chiaro omaggio al Presidente statunitense che aveva spostato l'Ambasciata americana a Gerusalemme, riconoscendola di fatto come capitale d'Israele.

 

La Nazionale (ed un po' di storia)

Col tempo anche la Nazionale di calcio israeliana ha compiuto passi in avanti. Oltre a un evidente miglioramento del livello tecnico della squadra - allenata dall’austriaco Andreas Herzog - ci sono da registrare anche dei progressi nei risultati ottenuti. Israele è stato inserito nella fascia C della Nations League e ha concluso la qualificazione al secondo posto dietro la Scozia. Di recente, nelle qualificazioni ai prossimi Europei, la squadra di Herzog è stata inserita nel gruppo G e ha conquistato in 6 gare due pareggi, due vittorie e due sconfitte che mantengono ancora virtualmente in corsa per Euro 2020. Sul piano del gioco la squadra ha dimostrato un calcio propositivo e in generale un certo appeal ma, appunto, qualcosa che non torna c’è. 

Israele sta riscuotendo una visibilità internazionale non indifferente: la Nazionale infatti ha vinto un solo trofeo (Coppa d’Asia nel 1968) e conta una sola partecipazione al Mondiale (1970, uscita al primo turno). Il punto più alto è stato raggiunto nel 2008 con il quindicesimo posto nel ranking FIFA, mentre attualmente è ottantaseiesimo. Nonostante Israele sia uno stato appartenente alla geografia politica dell’Asia, la IFA rientra nell’hub di federazioni della UEFA. Il motivo? Israele non è mai stato in buoni rapporti con i paesi asiatici e dopo la fondazione dello stato e della Nazionale, molte federazioni asiatiche negli anni si sono rifiutate di giocare contro la selezione sionista - Israele addirittura rischiò di qualificarsi a un Mondiale per questo motivo nel 1954. Così, per alcune decadi Israele ha peregrinato nelle qualificazioni tra i gironi dell’Oceania e dell’Europa, fino a essere assunta come Nazionale membra della UEFA nel 1991. 

Dunque sono stati molti gli anni di difficoltà per i sionisti, che hanno iniziato a giocare come Nazionale di Israele solo nel 1948, anno di nascita del paese di Israele e data d’inizio della guerra arabo-israeliana. Prima, infatti, l’attuale Israele giocava col nome di “Mandato britannico della Palestina”, situazione legata alla complessa fase della creazione dello stato sionista. E ovviamente non esisteva un campionato professionistico: il torneo era una competizione in cui giocavano operai, pompieri, poliziotti, Per questo, in un quadro di crisi politica e violente opposizioni arabe, il calcio in Israele si è evoluto seguendo le tracce storiche del Paese. La prima partita in assoluto giocata dallo Stato di Israele si è disputata a New York il 26 settembre 1948 contro la selezione olimpica degli Stati Uniti.  

Un motivo in più per seguire Israele è legato all’emblema sportivo per eccellenza nel calcio: Yossi Benayoun, il giocatore con più presenze in Nazionale. Ex trequartista di Chelsea, Liverpool e West Ham, Benayoun, in patria, nel giro di sei stagioni ha giocato con quattro squadre diverse. Nonostante abbia concluso la carriera con il Beitar, Benayoun è diventato dirigente del Maccabi Haifa, club con cui è cresciuto calcisticamente e il quale ha preteso, facendogli firmare un contratto, che a fine carriera sarebbe dovuto ritornare in società come direttivo. Così è stato.