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Cinque grandi derby calcistici che forse non conoscete

Stracittadine poco mainstream ma dal fascino infinito, al pari dei derby più famosi

Cinque grandi derby calcistici che forse non conoscete Stracittadine poco mainstream ma dal fascino infinito, al pari dei derby più famosi

C’è chi ritiene che i derby siano l’essenza del calcio, altri invece credono che il calcio sia l’essenza dei derby. Entrambe queste categorie di persone si sbagliano. I derby non sono altro che il frutto di antiche guerre tra fazioni opposte ma geograficamente vicine, i cui gridi di battaglia rivendicano azioni ed episodi molto distanti dall’ambito sportivo. Proprio perché spesso lo sfondo dei match è decisamente troppo politico, è bene considerare le stracittadine come incontri che non hanno nulla a che vedere con i campionati di cui fanno parte, con le classifiche, con i punti, etc…

Le coreografie del derby di Milano, l'accesa rivalità di quello di Madrid, o ancora le leggende dell’Old Firm di Glasgow e del Superclasico di Buenos Aires, il calore della stracittadina di Istanbul tra Fenerbahce e Galatasaray o il Merseyside derby, sono da tempo entrate a far parte dell’immaginario collettivo, e contribuiscono ad aumentare il fascino pop degli eventi a cui fanno da cornice. Ma di sfide del genere ce ne sono tantissime altre, probabilmente meno note e sparse nei punti più remoti del globo terrestre, spesso meno considerate dall’opinione pubblica visto lo scarso blasone dei contesti sportivi di cui fanno parte. Al contrario, riteniamo che proprio questo sia uno dei motivi principali del loro fascino, anche un po' criminale, che ci fa capire ancora una volta quanto è forte il richiamo del calcio in tutto il mondo, e quale posto occupa nella vita sociale di determinate realtà.

 

HŠK Zrinjski - FK Velež

Luogo: Mostar, Bosnia-Erzegovina
Stadi: HŠK Zrinjski Stadium / Vrapcici stadion

Mostar. Sud della Bosnia-Erzegovina, non molto lontano dal confine con la Croazia. Anzi, fin troppo vicino. Un posto che è stato strategicamente centrale durante tutto il corso delle guerre balcaniche della fine del secolo scorso, e che perciò è stato raso al suolo, e poi fortunatamente ricostruito, tanto da essere indicato dal New York Times come una delle mete da visitare nel 2019. 

Ritenuta da molti la capitale mancata della Bosnia, la città di Mostar è costruita attorno al famoso Stari Most, ponte che separa la parte croata-cattolica da quella bosniaca-musulmana. Questa particolare divisione non poteva che riversarsi anche nel calcio, che infatti ha prodotto quello che da molti è ritenuto il derby più pericoloso al mondo. Le due squadre, lo Zrinjski Mostar (Croat Sports Club in inglese) e il Velez Mostar, rispecchiano fedelmente gli schieramenti sopra accennati, con una tendenza all’estremissima destra del primo club, e al comunismo rigido del secondo.  

Sono stati vari gli episodi che negli ultimi trent'anni hanno contribuito a rendere questa come una delle sfide sportive più infuocate del pianeta, tanto da sembrare più una guerriglia urbana in cui il calcio passa in secondo piano. Tra gli eventi significativi è necessario citare la distruzione del ponte di Mostar avvenuta nel 1993 in piena guerra, divenendo da subito simbolo del conflitto e accentando ancora di più le difficoltà di convivenza tra i due poli cittadini. Inoltre, molto emblematico che dopo l’indipendenza bosniaca e la fine della contesa militare, la città abbia comunque mantenuto i suoi due quartieri etnici, e questo ha spinto il governo a concedere allo Zrinjski e ai suoi Ultras (nome del gruppo più crudele del tifo organizzato) di “rubare” lo stadio dei rivali, essendo esso situato in quella che venne ridisegnata come la zona adibita ai croati di Bosnia. Il Velez e i Red Star (gruppo di tifosi orientati a sinistra) hanno perciò dovuto trasferirsi nel piccolo Vrapcici, impianto che contiene a stento 7.000 posti a sedere.

In realtà qualunque appassionato di questa sfida sa bene che la prerogativa principale sugli spalti è quella di non stare mai seduti, come le immagini testimoniano, incitando la propria squadra ma soprattutto insultando quella avversaria, e con essa il popolo che la sostiene, con metodi intimidatori da arresto. No, non è una banale iperbole. E’ capitato ad esempio che un giocatore musulmano del Velez stesse per essere sequestrato dalla curva degli Ultras croati appena dopo aver messo il pallone in rete, a partita ancora in corso. Non esiste nemmeno un singolo aspetto “normale” all’interno di questo inferno che si ripropone ogni anno. Al contrario, è tutto assurdo. Anche il fatto che in pochi lo conoscano e che non se ne parli a dovere. 

 

Maccabi Tel Aviv - Hapoel Tel Aviv

Luogo: Tel Aviv, Israele
Stadio: Bloomfield Stadium

Sul fatto che la striscia di Gaza, e Israele in generale, sia notoriamente una polveriera, non è un argomento su cui c'è assolutamente bisogno di soffermarsi. Le ragioni del conflitto israelo-palestinese sono purtroppo ben note alle cronache, essendo esso ancora in corso. Andiamo invece a soffermarci sull’importanza di questa sfida, partendo da un episodio. Eran Zahavi, talentuoso fantasista che abbiamo ammirato in Italia con la maglia del Palermo, è uno dei volti più noti del calcio israeliano. Proprio per questo ha destato scalpore il suo trasferimento ai gialloblù del Maccabi dopo la parentesi siciliana. Egli, essendo un ex Hapoel, ha attirato a sé una quantità di odio non indifferente da parte dei suoi ex tifosi, che perciò non aspettavano altro che la prima occasione buona per vendicarsi. Nel 2014 quindi, dopo il goal dell’attaccante proprio contro i rivali nella cornice del Big Tel Aviv Derby, i tifosi biancorossi avversari hanno ben pensato di invadere in massa il terreno di gioco, in uno stato di anarchia che ha causato dieci arresti complessivi, e ovviamente la sospensione della partita. 

Questa storia non è altro che il frutto di una rivalità che va avanti da quasi un secolo (il primo incontro disputato risale al 1928) e che coinvolge vari ambiti della vita sportiva di quella che è ormai divenuta la capitale amministrativa del paese, visto che è anche accesissima la partita di basket tra le due omologhe fazioni. Come sempre, esistono delle caratterizzazioni politiche delle due squadre e delle tifoserie, ma questa volta preferiamo evitare di discutere su chi siano i destroidi e chi i sinistroidi della vicenda. E’ più proficuo dire che gli ultras dell’Hapoel, rappresentati principalmente dal gruppo Gate 5, sono filopalestinesi e hanno più volte affermato il loro favore al passaggio di Gerusalemme allo stato arabo. Questa linea si sposa inoltre molto bene con quella del club, che nel 1981 ha tesserato Rifat Rurk, giocatore arabo-israeliano, creando un precedente storico all’interno del campionato. L’ambiente Maccabi invece è rigidamente ebraico, tanto da avere un legame a doppie maglie con la tifoserie dell’Ajax, e ovviamente si batte affinchè la Città Santa possa finire nelle mani del popolo di Davide. 

Vista la ben marcata demarcazione politico-religiosa delle due compagini, è impossibile aspettarsi da questo derby la tranquillità tipica di quelle stracittadine la cui tensione inizia e finisce sul campo di gioco. In questo caso parliamo di uno scontro accesso in ogni giorno dell’anno da più di ottanta anni, che due volte all’anno trova sfogo sul terreno verde, e che volte purtroppo degenera in situazioni ben più gravi e pericolose. In ogni caso, il prestigio della partita è sempre alto, essendo le due squadre quelle più vincenti in Israele: in comune infatti entrambe le compagini possono vantare quasi una quarantina di vittorie del campionato, oltre che varie partecipazioni alla Champions League. La nostra speranza è che, essendo ormai il movimento calcistico israeliano costantemente sotto i riflettori della UEFA, anche la magnifica storia di questo derby possa essere esaltata dai media internazionali, che per ora sembrano snobbarlo.

 

Nacional Montevideo - Peñarol

Luogo: Montevideo, Uruguay
Stadio: Estadio Centenario

Secondo molti è il derby più antico della storia del calcio mondiale, fatta ovviamente eccezione per quelli tra squadre inglesi. Basta questo a richiamarne il fascino immortale. D’altronde il Sudamerica è la patria del futbòl, e dove se non nello stadio in cui è stata disputata la prima finale di un campionato del mondo tutto questo poteva essere di casa? L’80% del popolo uruguagio fa il tifo per l’una o per l’altra squadra, e perciò questa sfida non è considerata solo come una stracittadina, bensì come la manifestazione sportiva più importante tra quelle disputate nella terra dei gauchos

I gialloneri del Peñarol, con 5 Cope Libertadores e 52 campionati uruguaiani alle spalle, contro i Tricolor del Nacional, con 3 Libertadores e 46 campionati dalla loro. Probabilmente avrete sentito parlare di quest’ultima per il fatto che Alvaro Recoba vi ha giocato fino al 2016, anno in cui ha annunciato il suo addio definitivo al calcio giocato. 

In realtà, i motivi per conoscere l’una piuttosto che l’altra compagine sono molteplici, ma sono allo stesso tempo vittime di un movimento calcistico, quello uruguagio e in generale quello sudamericano, che da tempo non riesce a competere con quello europeo, e che può dire la sua solo in quanto alle tifoserie e ai miti annessi a questo aspetto. Come spesso avviene in queste zone, la forte animosità sugli spalti è sinonimo di violenza, tanto è vero che tanto la Barra Amsterdam (pro Peñarol) quanto la Banda del Parque (pro Nacional) si lasciano andare ad episodi di odio fin troppo gratuito, che spesso finiscono sulle pagine di cronaca nera dei media. 

Ma da dove nasce così tanto odio tra le due fazioni? Il motivo risale agli ultimi anni dell’Ottocento, in cui il neonato campionato uruguagio era dominato da squadre gestite da coloni inglesi ed europei. Da uno di questi club, il CURCC, si sfaldò una fazione che passò alla storia come il primo a vocazione etnica-nazionale, e cioè il Nacional de Montevideo, mentre lo stesso CURCC proseguì la sua storia parallelamente trasformando qualche anno dopo il suo nome in Peñarol, come il quartiere dove aveva base. La rivalità tra le parti è tale da essere evidente anche in questioni non di primo ordine, almeno non per noi europei. Il Peñarol deteneva infatti il record per lo striscione più lungo del calcio mondiale, e questo indispettiva talmente tanto i rivali da fargli pensare bene di costruirne uno grande il doppio, e cioè di 600 metri di lunghezza e 60 di altezza, con un peso complessivo di 5000 chili!

Difficile dimenticare anche la vittoria del 2014 per 5-0 del Peñarol, trascinato da un redivivo Marcelo Zalayeta, che ancora oggi rappresenta una ferita aperta per i tifosi dell’altra sponda, puntualmente beccati dai cori avversari in memoria di quel giorno molto umiliante. Probabilmente vi starete chiedendo come sia possibile che un paese così piccolo come l’Uruguay, deserto in buona parte del suo territorio, sia così competitivo negli sport e in particolar modo nel calcio. La risposta è semplice, ce la fornisce Luis Suarez in una dichiarazione televisiva che racconta sociologicamente la ormai troppo inflazionata garra charrua, e cioè “por que no tenemos dos huevos, tenemos tres!”

 

F.C. Copenaghen - Brøndby

Luogo: Copenaghen, Danimarca
Stadi: Parken stadium / Brøndby arena

E’ facile immaginare quello che state pensando, e cioè che un derby in un paese nordico non potrà mai essere caloroso come quelli che siamo abituati a vedere. In tal caso, vi sbagliate di grosso. La rivalità tra le due squadre della capitale danese è probabilmente la più calda di tutta la Scandinavia e ogni anno attira migliaia di fan incuriositi da questa sfida leggendaria. Il campionato non è di primo ordine, certo, ma possiamo invece garantire sulla passione delle curve, animate dalla Sektion 12 (Copenaghen) e dai Supporters (Brøndby). Esse si danno battaglia nel pyro, e cioè una sentitissima e suggestiva sfida di fumogeni che spesso provoca la sospensione dell’incontro.

Dal 1992, anno di rifondazione della Superligaen danese e di fondazione dello stesso F.C. Copenaghen, gli incontri tra le due compagini sono quasi cento, e ancora nessuno di essi è stato disputato in una cornice europea. Il Brøndby, team che ha dato i natali calcistici a gente del calibro di Michael Laudrup e a tanti altri, è la squadra dell’omonima cittadina della periferia occidentale di Copenaghen, e proprio per questo è stata da sempre caratterizzata in un’ottica più operaia rispetto al FCK, la squadra del ricco centro urbano. 

In ogni caso, nel corso degli anni non sono mancati episodi di violenza tra le tifoserie, con arresti annessi, così come non è mancato di assistere a scene assolutamente inquietanti come quella volta in cui, in un derby del 2017, i tifosi del Brøndby lanciarono dei topi morti ai calciatori del FCK. Un momento raccapricciante che di certo però non ha ridotto il fascino della storica stracittadine, che probabilmente è uno dei pochi momenti che riscalda le freddissime vie della capitale danese. Il “New Firm Derby”, titolo che è stato dato all’incontro, si svolge ogni anno nei due stadi delle rispettive società. Il primo, il Parken del FCK, che ha ospitato tra le altre cose le recenti gare europee del Copenaghen, ha una capienza di quasi 40.000 posti e può dunque ospitare una finale di Europa League, ma non quella di Champions, che ne richiede almeno 50.000.

Un peccato per la città che di certo meriterebbe di fare da palcoscenico per questo genere ci eventi, e purtroppo non può farlo visto che anche l’altro stadio, la Brøndby Arena, non raggiunge la capienza necessaria. Effettivamente però il bacino d’utenza delle due tifoserie sconsiglia di allargare gli impianti, che difficilmente si riempiono, anche a causa della particolare rigidità dell’inverno in Scandinavia. Da apprezzare comunque che entrambe le strutture non abbiano la pista di atletica e che le tribune siano costruite proprio a ridosso del rettangolo verde. Di certo questo è uno dei tanti motivi che ci spingerà, in un futuro non troppo lontano, a comprare i biglietti per il “New Firm” e ad assistervi dal vivo. Topi permettendo si intende.

Rosario Central - Newell’s Old Boys

Luogo: Rosario, Argentina
Stadi: Estadio De La Torre / Estadio Marcelo Bielsa

Non potevamo non tornare in Sudamerica. Non potevamo non menzionare Rosario, la città del futbòl per eccellenza. Essa, capoluogo dell'omonimo dipartimento, è la città più grande e popolosa della provincia argentina di Santa Fe, e conta circa un milione di abitanti. Ha dato i natali, calcistici e biologici, a due del calibro di Lionel Messi e Angel di Maria, due che stavano trascinando l’Albiceleste sul tetto del mondo in Brasile 2014. 

La città sorge sulle rive del fiume Paranà, e prende il suo nome dall’antico santuario della Madonna del Rosario che è uno dei luoghi di culto della zona. Come tutto il Sudamerica, anche Rosario ha sviluppato il suo sistema calcistico grazie ai viaggiatori inglesi, che hanno fondato il Central prima e il Newell’s Old Boys dopo. In quest’ultimo caso, è stato proprio il britannico Isaac Newell, uno dei pioneri del calcio argentino, ad occuparsi della creazione della squadra. C’è chi ritiene questa rivalità come la più importante del campionato argentino, addirittura sopra quella tra Boca Juniors e River Plate, e in effetti i motivi per credere a questa teoria non sono pochi.

Partiamo dalla storia di Aldo Poy, che nel ’70 era un giovane rosarino che stava per essere ceduto dal club e che pur di non abbandonare la squadra che amava è fuggito su un’isola, facendo saltare tutto. L’ironia della sorte volle che l’anno successivo il Central fosse in semifinale di campionato contro gli eterni rivali del Newell’s, e che proprio Poy segnò di testa il goal decisivo. Una palomita, come è stata ribattezzata dai media quella giocata, che ogni anno viene rivissuta dai tifosi gialloblù e dallo stesso Aldo Pedro Poy, che realizza di nuovo la giocata nel giorno dell’anniversario, nonostante l’età avanzata e la porta…vuota. Basterebbe questo ad accrescere il mito di questa sfida, ma aggiungiamoci anche che due delle più grandi icone popolari della storia argentina, come Che Guevara e Maradona, sono accostate rispettivamente al Rosario e al Newell’s, e possiamo allora capire quanto questo derby sia divisivo. Per il combattente rivoluzionario, nativo di Rosario, lo sport era un modo per nobilitare l’uomo e la sua anima, e perciò il suo tifo per la compagine gialloblù è ancora oggi motivo di grande orgoglio per la tifoseria del Rosario. Lo stesso potremmo dire per la passione del pibe de oro per i rossoneri, club per il quale ha anche militato nell’ultimo periodo della sua carriera. 

Impossibile non menzionare le due tifoserie, il cuore pulsante del Clasico rosarino, che ancora oggi si portano orgogliosamente dietro i soprannomi maturati più di ottanta anni fa, in circostanze puramente casuali. Negli anni ’30 infatti quelli del Central si rifiutano di organizzare una raccolta fondi per i malati di lebbra, e perciò vengono definiti canallas (le canaglie) dai rivali, che invece accolgono la proposta e si vedono rinominati come los leprosos (i lebbrosi). D’altronde è ben noto che in Argentina il soprannome te lo scelgono una sola volta, e quando lo fanno è definitivo. E’ quello che è toccato anche a Marcelo Bielsa'el loco', anch’esso nativo di Rosario e cuore Newell’s, dove ha prima giocato e poi allenato, vincendo per tre volte il campionato e lasciando un ricordo tale da farsi intitolare lo stadio dei lebbrosi.

Ovviamente nella storia e nel presente di questa rivalità non mancano episodi di violenza, legati anche al fenomeno delle barras bravas, che in molti casi hanno fatto sì che si sia deciso di disputare gli incontri a porte chiuse o in campo neutro. In questo caso il derby è spesso diventato letteralmente una questione di vita o di morte, e non solo in modo retorico. D’altronde è proprio Bielsa, con una dichiarazione alla stampa internazionale di qualche anno fa, a darci il termometro di quanto il Clasico rosarino sia sentito:

“A Buenos Aires una sconfitta nel derby viene smorzata dall’estensione della città, esiste sempre un luogo nel quale nascondersi. A Rosario invece lo sconfitto non conosce pace: possono venirti a cercare sotto il letto per prenderti in giro”.

Non c’è perciò da sorprendersi se nel derby del 2018 sono state chiamate a raccolta 100 unità delle forze dell’ordine, nonostante la partita si giocasse a Buenos Aires e per di più a porte chiuse. A Rosario il Clasico è questo e molto altro ancora.