Vedi tutti

Cosa sta andando storto alla Roma?

La stagione dei romanisti è appena iniziata e si parla già di fallimento: quali sono le cause e chi i colpevoli?

Cosa sta andando storto alla Roma? La stagione dei romanisti è appena iniziata e si parla già di fallimento: quali sono le cause e chi i colpevoli?

Sono giorni complicati per il tifo romanista. Una serie di prestazioni che definire deludenti è poco, seguite a stretto giro dalle dichiarazioni senza scampo di Kolarov (“i tifosi non capiscono nulla di calcio”) e dall’ennesima sbornia emotiva ai limiti della bulimia causata dall’induzione di Francesco Totti nella Hall Of Fame della squadra. E domenica c'è l'Inter dell'ex Luciano Spalletti all'Olimpico.

 

Partiamo dunque da Aleksander Kolarov. Le dichiarazioni del terzino sinistro serbo sono perfettamente in linea con quelle fin qui da lui rilasciate, così come nel suo approccio pragmatico ed aggressivo sul campo. Riassumendo: i tifosi ci sostengono e questo lo sappiamo, hanno tutto il diritto di esprimere il loro dissenso allo stadio ma non devono parlare di tattica o esprimersi sul gioco della squadra, perché dell’aspetto più tecnico del gioco non capiscono nulla. Partiamo dalla fine: nulla di più vero. Il tifoso medio italiano in almeno nove casi su dieci apre bocca e gli dà fiato, così come si dice a Roma, senza avere nessuna cognizione di causa. Basta infilarsi nel primo bar che si trova per strada per ascoltare discorsi al limite del delirante, fra accuse lanciate a casaccio a dirigenza, tecnico e giocatori e disamine tecniche fantasiose e totalmente frutto della mente del fanta-allenatore di turno. Kolarov ha usato un esempio calzante:

“Sono appassionato di tennis. Posso fare il tifoso, ma mettermi a parlare su come deve giocare Djokovic perché è serbo non mi permetterei mai. Posso fare il tifo e basta.”

Nulla di più giusto e logicamente inattaccabile. Dato quindi per assodato questo punto, su cui credo ci sia poco da discutere, le dichiarazioni di Kolarov comunque rimangono abbastanza strane.

La Roma nella scorsa stagione si è piazzata terza, dopo la solita devastante Juventus e dietro uno dei Napoli più forti della storia, appena prima di un’Inter rivitalizzata dalla grande competenza e dalla personalità elettrica di Luciano Spalletti. I principi di gioco di Di Francesco, per stessa ammissione del tecnico, all’inizio avevano fatto fatica ad attecchire ma una volta ingranata la marcia e conquistata la fiducia dei senatori dello spogliatoio, la squadra ha comunque concluso la stagione in modo positivo, soprattutto grazie all’inaspettato e quasi incredibile percorso in Champions League. La risposta a come una squadra ad un passo dalla finale della più importante competizione europea sia ora incapace di vincere (a volte addirittura di non perdere), contro avversari modesti come Spal, Udinese, Chievo, Atalanta o Bologna, è sicuramente complessa e ha ragione Kolarov, i tifosi non hanno la competenza per sviscerare il problema nella sua interezza.

Ci sono però delle cose evidenti che chiunque osservi le partite con un minimo di attenzione riesce ad individuare: la sistematica incapacità di fare gol davanti ad una difesa schierata, la poca affidabilità difensiva, i tantissimi errori tecnici in impostazione, la mancanza di quella scintilla creativa, del fantomatico “ultimo passaggio” e, allo stesso tempo, della freddezza sotto porta; c’è poi quello più grande di tutti:  la mancanza di concentrazione, la debolezza psicologica che fa sì che non si reagisca al gol subito (in particolare in queste ultime partite) e che in generale si faccia tutto meno che bruciare l’erba sul campo, con un approccio spesso lento e macchinoso. Alcuni di questi problemi (tipo quello dell’attacco delle difese schierate) sono risalenti allo scorso anno ma si sono acuiti, altri sono nuovi, ad esempio l’inaffidabilità difensiva.

C’è uno snodo fondamentale: alla Roma di quest’anno al contrario delle dichiarazioni di Kolarov non viene affatto contestato il gioco, e se viene fatto è comunque in piccola parte, passando quest’ultimo decisamente in secondo piano rispetto all’aspetto mentale, all’approccio dei giocatori alla gara, ad un’arrendevolezza sistematica e scoraggiante.
Sono in pochi a costituire un’eccezione in questo senso, e sicuramente Kolarov è il primo della lista: la sua cattiveria agonistica, la sua esperienza e classe sono sempre al servizio della causa, anche nelle giornate di stanca più nere. È dunque disarmante notare quanto diventino fuori luogo le dichiarazioni del giocatore giallorosso se osservate da questa angolazione. In primis perché denota l’incapacità di rendersi conto di ciò che sta succedendo intorno a sé, o, forse peggio, la voglia di nascondersi dietro un dito dando la colpa all’ambiente, ai tifosi, le radio, chi ne ha più ne metta. Stessa cosa per Di Francesco, le cui dichiarazioni pre e post partita, non ultime quelle dopo la sconfitta con il Real, sono agghiaccianti. In pratica il tecnico ammette candidamente a microfoni aperti la sua incapacità di entrare nella testa dei propri giocatori, dichiarando senza problemi che il loro è un problema mentale, non sanno reggere novanta minuti, staccano prima della fine, sono incapaci di reagire ai gol presi e spesso e volentieri non mettono in pratica le indicazioni tattiche. Nell’analizzare quindi il difficile momento romanista è questo l’aspetto che risulta più complicato e pauroso, soprattutto per i tifosi. Nessuno sembra avere le risposte, tutti si limitano a constatare la situazione in modo quasi depresso.

Probabilmente le responsabilità di ciò sono da ricercarsi anche nell’uomo più chiacchierato di Roma, Monchi. Quando alla squadra mancano Manolas, De Rossi, Kolarov o Dzeko (l’ossatura rimasta dello scorso anno) la luce è spenta, non c’è equilibrio, non c’è verve. Praticamente tutti gli acquisti effettuati durante l’estate (con l’eccezione di Olsen) si sono rivelati inadeguati o sotto il profilo tecnico o quello tattico - vedere Cristante impostare l’azione fa male agli occhi - o peggio, sono infortunati da tempo immemore (Perotti) o ancora fuori condizione (Pastore). La squadra si regge sui senatori, che quando mancano mandano in crisi l’intero sistema-Roma, caricando di eccessive responsabilità i pur validi giovani che, con l’eccezione forse di uno stupefacente Nicolò Zaniolo, sono moralmente, prima ancora che altro, incapaci di avere la giusta reazione quando le cose si mettono male. La mancanza di due personalità come Nainggolan e soprattutto Strootman non può non incidere in questo.

Avendo analizzato il problema sia nei giocatori che nella dirigenza, arriviamo infine a colui che è più indicato a pagare per tutti. Nel momento in cui c’è una mancanza di personalità, di concentrazione e poca attenzione al rispetto delle indicazioni, un allenatore dovrebbe essere colui che salva un po’ la baracca, magari imponendosi, sia che fosse con “la forza” che con le buone. Per sua stessa ammissione, a Di Francesco questo lavoro non sta riuscendo, non riesce a comunicare con i giocatori che ha a disposizione ed ogni giorno si ritrova anche un indisponibile in più. Contro l’Inter dovrà addirittura rinunciare, contemporaneamente, a Pellegrini (l’unico elemento che funzionava a livello tattico, uno dei pochi a metterci anche tantissima personalità e quantità oltre che qualità), El Sharaawy (che aveva trovato continuità ed è, strano ma vero, il capocannoniere della squadra) e Dzeko.

Vista con gli occhi dei tifosi romanisti, è una situazione che appare veramente preoccupante in cui emergono problemi ad ogni livello, a partire dalle scelte della società, passando per i giocatori fin ad arrivare all’allenatore: tutti responsabili in parti più o meno uguali e tutti momentaneamente senza risposte, almeno all’apparenza. Dalla sfida (sfiorando l’impresa) contro il Liverpool in semifinale di Champions, lo scorso maggio, si è passati al settimo posto in campionato, addirittura dietro al Parma.

Nel frattempo è arrivata la qualificazione in Champions, nonostante la sconfitta contro il Real che ha interrotto la striscia positiva in casa, anche se la prestazione non è stata tutta da buttare, soprattutto nel primo tempo in cui più volte i giallorossi sono andati vicini a sbloccare la gare in proprio favore. Per ora questo resta l’unico motivo per sorridere, aspettando di capire come e quando la Roma si risolleverà anche in campionato e tornerà ad essere competitiva. Quella di domenica contro l'Inter, già distante nove punti, è forse l'ultima occasione da non sprecare per provare a rimettersi in corsa.