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Perché il calcio sudamericano sta morendo

Tra scandali e un livello tecnico basso una breve riflessione alla vigilia di River-Boca

Perché il calcio sudamericano sta morendo Tra scandali e un livello tecnico basso una breve riflessione alla vigilia di River-Boca

Ci avviciniamo alla conclusione dell’epica della “partita del secolo” che è un po’ il gergo che usavamo tutti quanti al campetto da ragazzini, per descrivere un’azione anche solo leggermente sopra la media quando nei pomeriggi estivi si giocava per ore e ore di fila, con partite dai risultati rugbystici, e poi fra amici nei mesi invernali si evocava ogni volta una partita diversa ognuna definita, per l’appunto, “del secolo”.

L’andata della finale di Copa Libertadores fra River Plate e Boca Juniors è alle nostre spalle. Erano anni che una partita non metteva così tanto al centro dell’attenzione il calcio argentino, ed in un certo senso è stata un’epitome di ciò che non va nel calcio sudamericano in generale; tutta la nostra attenzione infatti si è concentrata più sulla narrazione romantica e la carica emotiva della partita, tralasciando l’aspetto tecnico e tattico grezzo e  a detta della maggior parte degli addetti ai lavori. Abbiamo prestato più attenzione ai colori de la Bombonera e “LA 12” che al campo, in cui è andato in scena uno spettacolo sportivamente non proprio esaltante, per altro non facendo troppo caso al fatto che in una finale di questa portata è stata vietata la trasferta ai tifosi ospiti; fatto che, se trasportato nell’equivalente europeo, ovvero la finale di Champions, avrebbe scatenato un putiferio. Ad aggravare questa situazione, ci sono i ripetuti scandali - si va dalla corruzione fino alla pedofilia - che hanno investito il calcio sudamericano in quasi tutti campionati e a tutti i livelli, Libertadores compresa.

Noi però preferiamo continuare a guardare il calcio sudamericano con la superficialità nostalgica degli ammiratori del calcio pane e salame: il vero sentimento sportivo ammantato di una patina romantica rovinata nel calcio europeo dai soldi. Si tratta di un ragionamento comprensibile, ma in ultima istanza sbagliato, perché il calcio sudamericano, come i suoi Paesi, è sporco, spesso marcio e non c’è niente di bello in questo.

 

Boca-River

Partiamo proprio dall’epica partita di andata della Finale - quella giocata alla Bombonera -  e dalla decadenza tecnica sul piano del gioco. Quando all’inizio dicevo che l’andata del Superclasico è stata da più parti definita “brutta” (non lasciamoci ingannare dai quattro gol) non era solo un gancio per spingervi a leggere, è andata proprio così. Stanno lì a dimostrarlo i quattro gol: il primo di Abila nasce da un doppio errore clamoroso del portiere del River, Armani, che si fa prima sorprendere sul suo palo dalla violenta conclusione dell’attaccante del Boca, respingendo il pallone con un goffo bagher, restituendolo così ad Abila, con nessun difensore del River che prova il contrasto: l’attaccante argentino calcia così di nuovo sul palo del portiere, riuscendo a bucare le mani dell’estremo difensore da un angolo ancora più stretto.

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Il primo gol del River invece nasce da un passaggio senza troppe pretese eseguito all’altezza del centrocampo da Scocco, che si trasforma in filtrante grazie al goffo intervento della difesa che permette a Pratto di segnare con un bel diagonale. Il secondo gol del Boca porta la firma di Benedetto (1.75 m, non una grande elevazione di base) che riesce con una gran girata di testa ad anticipare il proprio marcatore esattamente al centro dell’area, intercettando un cross alto e lento proveniente da una punizione centrale calciata dai quaranta metri circa. La “ciliegina sulla torta” è il quarto gol, quello del pareggio del River: un’altra punizione lontanissima dall’area, un altro pallone lento e spiovente. Questa volta è addirittura autogol, con Izquierdos che per anticipare tutti, la butta nella sua porta con una spizzata scomposta. 

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Non si tratta di errori assimilabili all’estrema tensione dell’ambiente, al prestigio di una finale così importante: sembra più una mancanza di tecnica e di maturità nelle scelte, dal portiere che respinge al centro della sua area e si fa bucare subito dopo sul suo palo, all’attaccante che solo davanti al portiere prova un tocco di esterno completamente senza senso; per l’aspetto tattico poi non si possono non citare entrambe le difese, completamente allo sbaraglio anche sui palloni più innocui. Come se non bastasse poi, l’arbitro cileno della partita, Roberto Tobar, nel 2012 fu coinvolto nello “scandalo del club del Poker” per cui fu anche squalificato otto mesi: incontrandosi con altri arbitri cileni per giocare a poker, la posta per il perdente era di arbitrare partite di poco conto; qualche anno dopo ritroviamo un personaggio del genere a dirigere la finale più importante del continente sudamericano. Infine, subito prima della partita, ha avuto luogo un blitz della polizia nello spogliatoio del River, polizia che non ne ha spiegato le  motivazioni, sembra fossero alla ricerca di cimici nascoste, vista la squalifica dell’allenatore del River, Marcelo Gallardo.

 

Romanticismo vs realtà 

Siamo tutti innamorati perdutamente degli stadi leggendari come la stessa Bombonera o il Maracanã, delle epiche e commoventi storie di riscatto dalla povertà delle stelle più luminose del gioco, così come dei tifosi e del loro rapporto con il tifo, religioso e trascendente la realtà. Tutto ciò è innegabile, esiste realmente, e non esserne affascinati è assolutamente impossibile.

Tuttavia se ci togliamo da davanti agli occhi questo velo di Maya, la reale situazione del calcio sudamericano lascia abbastanza interdetti. Basta guardare ai recentissimi Mondiali di Russia: Argentina e Brasile, caricate come sempre di aspettative enormi fin dall’inizio, si sono fermate rispettivamente agli ottavi e ai quarti. La parabola tecnica discendente delle due Nazionali principali del blocco sudamericano è esemplare. Ogni torneo affrontato negli ultimi anni, ma soprattutto ogni Coppa del Mondo, doveva essere “quella buona”, quella in cui Messi da una parte e Neymar & Co. dall’altra, sarebbero finalmente tornati sul tetto del mondo. Ogni volta le aspettative si sono scontrate con la realtà, a volte in modo decisamente brutale, come per il Mineirazo, in cui l’umiliazione subita dalla Seleçao brasiliana contro la Nazionale tedesca ha letteralmente messo in ginocchio un intero Paese. Il problema principale, per lo meno a livello popolare (nel senso proprio di popolo, dei fan), sembra essere che questi fallimenti sono stati affrontati quasi con sorpresa, come se non fossero affatto prevedibili o affrontabili, ma soprattutto come se fossero, letteralmente, volontà divina. Niente di risolvibile quindi: un semplice nodo e intoppo nella buona sorte. Per comprendere meglio quest’ultimo concetto possiamo mettere a fuoco la tormentata storia di Messi con la propria Nazionale. Il popolo argentino e il mondo intero hanno visto in lui l’erede naturale di Maradona, ovvero la più vicina incarnazione del divino in terra per il popolo albiceleste; di conseguenza tutti si aspettavano che come fece Diego Armando, anche la Pulce avrebbe trascinato la Nazionale alla vittoria di un Mondiale, ignorando tutta una serie di fattori oggettivi che permisero l’impresa di Maradona e che avevano poco a che fare con il suo talento.

Il fallimento di un intero movimento, è stato dunque quasi ignorato per concentrarsi sui presunti limiti caratteriali di quello che è probabilmente il più forte giocatore della storia, a cui è stata totalmente addossata la responsabilità dei diversi fallimenti rimediati negli anni. Ad esempio è passato in secondo piano il fatto che tutte o quasi le Nazionali vincenti degli ultimi anni lo sono state anche grazie alla mano dei propri allenatori, al punto che uno come Joachim Low, che ultimamente sta raccogliendo diverse  figuracce, ancora siede sulla panchina della Nazionale tedesca: Brasile ma soprattutto Argentina sono rimaste molto indietro da questo punto di vista. Con le eccezioni di Simeone o Pochettino, comunque due tecnici dalla formazione “europea”, i due Paesi principali del blocco sudamericano, faticano moltissimo a produrre ultimamente tecnici capaci di affermarsi a livello internazionale. Jorge Sampaoli dopo un’esperienza esaltante alla guida del Cile e un anno ad ottimi livelli con il Siviglia è andato incontro a un totale disastro con la Nazionale argentina, non riuscendo a conquistare la fiducia di ambiente e calciatori, quasi ridicolizzandosi e cancellando tutto ciò che di buono aveva fatto fino a quel momento: si fa fatica a credere che possa essere totalmente dovuta a una sua improvvisa incapacità.

 

Una valanga di scandali e arresti

Questa superficiale concezione romantica del calcio sudamericano composta da cori e coreografie spettacolari che lo ha fin qui sostenuto e ne ha nascosto gli aspetti più oscuri e controversi sta pian piano svanendo, cominciando a lasciare il passo a problemi reali, sempre più evidenti ed ormai innegabili. Mesi fa, quasi contemporaneamente, in Brasile e in Argentina è scoppiato un maxi scandalo relativo alla pedofilia nei settori giovanili delle squadre professionistiche, una vicenda squallida ed  umanamente terrificante che era da tempo sulla bocca di molti ma che mai era emersa per la grande omertà diffusa negli ambienti calcistici.

In Argentina, il tifo organizzato violento è parte integrante del calcio, le così dette barras bravas sono veri e propri gruppi criminali che godono di enorme considerazione da parte del tessuto sociale a cui appartengono e sono legati a doppio filo sia al club che sostengono (calciatori e dirigenza, nessuno escluso) che alla stessa Federazione argentina. In pratica godono di una totale immunità nelle vicinanze del e dentro il proprio stadio, potendo gestire così giri di spaccio, racket di bagarinaggio, estorsione e via dicendo; favore ricambiato mettendosi al servizio dei politici e gli uomini di potere che hanno bisogno di un braccio armato. Ovviamente da tutto ciò deriva una guerriglia fra le diverse barras che quasi a ogni partita provoca morti e feriti durante, prima o dopo il match di turno. Anche in Brasile la situazione è scandalosa, soprattutto per quanto riguarda la situazione degli scontri durante le partite, con notizie di maxi risse, feriti gravi e decessi che arrivano quotidianamente anche qui in Italia, spesso quasi trattate alla stregua di folklore caratteristico; non ultima la Colombia, in cui la presenza dei cartelli della droga all’interno del calcio è massiccia fin dai tempi di Escobàr e del suo invito (accettato) a Maradona e Higuita di giocare una partita ne la Catedràl, la sua personale prigione. Ultimo ma non ultimo l’Uruguay di Suarèz e Cavani, che alla fine di Agosto ha affrontato un enorme scandalo per intercettazioni che ha portato la Federcalcio ad essere commissariata, con la FIFA a prenderne il diretto controllo. La stessa FIFA che è oggetto di uno scandalo al mese.

Gianni Infantino, l’attuale presidente della FIFA, proprio nel paese uruguagio aveva trovato uno dei più ferventi sostenitori per la sua elezione, dopo lo scandalo del 2015. Ed è proprio da far risalire a quello scandalo l’arresto di tre fra le personalità più importanti per la politica calcistica del Sud America: Jose Maria Marin, ex presidente della Federazione brasiliana,  Juan Angel Napout, addirittura presidente sia della Federazione del Paraguay che di tutta la CONMEBOL (Confederacion sudamericana de Futbol) e Manuel Burga, presidente della Federcalcio peruviana. I primi due sono stati recentemente condannati a scontare più di dieci anni di carcere.

La conclusione che si può trarre è una sola: l’intero sistema calcistico sudamericano è marcio, dalle radici fino alle foglie, a partire dalle tifoserie organizzate fino ad arrivare ai rappresentanti istituzionali del più alto grado.

Tutto questo non può ovviamente non avere un’importante ripercussione sul calcio giocato, sui suoi aspetti tecnici e quelli tattici, sulla crescita dei giovani calciatori e le loro capacità di adattamento ai campionati esteri così come su di un giro economico selvaggio spesso dominato da corruzione e mazzette; non solo per gli affari legati ai cartellini dei giovani calciatori ma anche per quanto riguarda le superstar internazionali.

 

Il futuro

Tornando agli errori personali dei calciatori sembrano manifestare un altro aspetto dell’inadeguatezza o comunque della difficoltà del calcio sudamericano: negli ultimi anni a parte clamorose eccezioni, la Francia, l’Inghilterra ma anche il Belgio hanno superato di gran lunga Brasile e Argentina in quanto a produzione di giovani fuoriclasse, mentre sta emergendo sempre di più una difficoltà di adattamento clamorosa di molti talenti sudamericani venduti come fenomeni già fatti e dai paragoni ingombranti, incapaci per mesi (a volte addirittura anni) di adeguarsi al ritmo necessario per competere nei massimi campionati europei. Segno che le “cantere” dei due paesi non hanno saputo minimamente reggere il confronto con i paesi europei sopra citati, che poi è evidente nel momento in cui il Mondiale è stato vinto proprio dalla Francia, il Brasile è uscito contro il Belgio e l’Argentina sempre contro i galletti. L’uomo simbolo di questi ultimi è stato Mbappè, un diciannovenne; le speranze del Brasile passavano per i piedi di Neymar, ventisette anni il prossimo febbraio; quelle dell’Argentina per il sinistro di Messi, trentuno anni compiuti. C’è un reale problema generazionale e di coltivazione dei talenti che sembra lontano dalla sua soluzione ma che anzi, forse è solo al suo inizio. 

Il calcio sudamericano ha una storia meravigliosa, fatta di passione pura e di campioni leggendari che rimarranno per sempre nella storia dello sport. Proprio per il suo bene è quindi ora di smetterla di concentrare tutta la nostra attenzione solo su quest’aspetto da romanzo calcistico, da speciale di Federico Buffa, cominciando ad affrontare la realtà disastrosa che abbiamo davanti agli occhi.

Il calcio sudamericano sta lentamente esaurendo l’ossigeno, soffocato dall’enorme corruzione politica, l’arretratezza e la radicalità di una cultura del tifo che si confonde spesso con la criminalità organizzata e non ultime le palesi difficoltà nel riuscire a stare al passo con l’evoluzione tecnica e tattica del gioco. Se continuiamo solo a concentrare la nostra attenzione su quell’universo narrativo ormai saturo ma che continua a scaldare il cuore di molti  e mai sui problemi terribili che sono davanti ai nostri occhi, rischiamo di essere noi stessi una causa importante della morte del calcio sudamericano.