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Keisuke Honda, il pensatore

Vita e miracoli di una delle personalità più sottovalutate del calcio

Keisuke Honda, il pensatore Vita e miracoli di una delle personalità più sottovalutate del calcio

Nella vita ci sono delle persone che sembrano scivolare attraverso gli eventi senza alcuno sforzo, in modo istintivo e così naturale da suscitare ammirazione e un pizzico di invidia a chi gli sta intorno. Soprattutto sembra che non si guardino mai indietro, che ogni volta il loro sguardo sia rivolto esclusivamente al futuro.
Una categoria complementare ma in qualche modo opposta, sono quelle persone che posseggono la stessa capacità di scivolare senza eccessivi accidenti ma supportati da una costante capacità di pensiero, un cervello sempre in moto e sempre in palla che trova, cerca e risolve, impara e analizza. Cosa più importante, questa categoria indietro ci guarda eccome, in modo da poter affrontare il futuro in un’ottica ben precisa, secondo la propria visione e i propri obiettivi.

A questa seconda categoria appartiene senza ombra di dubbio Keisuke Honda. Basta farsi una scorpacciata dei classici video di highlights su YouTube per rendersene conto; non c’è un momento in cui Honda non sia con la testa alta a guardarsi intorno, è quasi percepibile il motore del suo cervello che cerca incessantemente la linea di passaggio giusta, o il dribbling più adatto.
Honda è un pensatore, sul campo come nella vita. È forse questa sua attitudine al pensiero e all’apprendimento che ha fatto sì che diventasse una specie di novello Marco Polo al contrario: partito dall’Asia durante la sua carriera ha letteralmente attraversato tutti i continenti. Asia, Europa, America e per ultimo Oceania: ha poi riportato i tesori trovati sul suo cammino nel suo paese di origine, e non solo. Seguiamo allora la traccia del suo viaggio, da sconosciuto a profeta in patria fino a imprenditore filantropo e allenatore.

 

Giappone

Come tutte le grandi storie ambientate durante gli anni Novanta, anche quella di Keisuke inizia con una videocassetta. È lui stesso infatti a raccontare, in questo bel pezzo scritto di suo pugno per The Players Tribune, come un giorno il padre gli fece vedere una vhs con protagonista Pelè. Fu subito folgorato, sicuramente dalle magie del fuoriclasse brasiliano, ma in realtà da un aspetto che poco aveva a che fare con il puro divertimento e piacere del calcio. Come gli spiegò il padre infatti, Pelè giocava per godimento personale, ma anche e soprattutto per sostenere la sua famiglia, per elevarsi dalla povertà verso una vita migliore. Per Keisuke diventa quello il principale fascino del calcio: la possibilità di riscatto da una vita anonima, se non proprio di povertà.

Non che lo sport fosse stato assente fino a quel momento nella vita della famiglia Honda. Suo fratello era già un appassionato calciatore, e alcuni parenti erano stati atleti di livello olimpico; nonostante questo sembra chiaro che più che una vocazione dettata dal puro talento e amore irrazionale per il pallone, sia stata una pulsione di tipo sociale ed economico a spingere il piccolo Keisuke a scegliere di diventare un calciatore professionista. È questa grande ambizione che gli permette di non abbandonare il suo sogno quando, per diverse volte, gli viene rifiutata la possibilità di essere inserito nella prima squadra del Gamba Osaka, in cui militava a livello giovanile. Alla fine Keisuke riesce a trovare spazio nel Nagoya Grampus Eight, ancora da studente, ed esordisce così finalmente nella J. League Division 1 nel 2005, nella quale riuscirà a totalizzare 105 presenze e 13 gol.
Già all’epoca la caratteristica principale era ovviamente quel suo sinistro capace di traiettorie oggettivamente incredibili, come si può facilmente capire da questa compilation dal meraviglioso nome di “Young Keisuke”:

 

In Giappone era poi anche evidente la superiorità fisica rispetto ai suoi coetanei, caratteristica poi ridimensionatasi una volta passato in Europa. Nella compilation sopra incontriamo anche un giovanissimo Keisuke all’opera con la maglia della sua nazionale: l’ossessione di vincere un mondiale con il Giappone è stata per il giovane Honda uno dei principali motori della sua passione. L’altro era quello di arrivare a giocare a San Siro con il Milan.

 

Europa

Honda e il suo sinistro si fanno notare sul campo, così la prima chiamata europea arriva dall’Olanda, nello specifico dal VVV-Venlo. Due anni macchiati da una retrocessione alla fine del primo, con Keisuke che si rivela fondamentale nel riconquistare l’Eredivisie e conclusosi il rapporto con la squadra totalizza 74 partite e 26 gol, conquistando i suoi tifosi.
Honda prende malissimo le difficoltà del primo anno, si fa carico della retrocessione al di là del valore sportivo della cosa; ancora una volta il calcio passa in secondo piano, è il ragazzo Honda ad aver fallito ancor prima del calciatore. Quel ragazzo deve crescere e diventare uomo, superare le difficoltà e continuare la propria scalata: nella riconquista della prima divisione riesce nel suo intento, cambia anche il suo gioco, cominciando a tenere la palla fra i piedi molto di più a cercare con insistenza il gol: viene ricompensato dalla chiamata in Russia, sponda CSKA.

Con il CSKA Mosca Honda esordisce anche in Champions League, per altro regalando la vittoria alla sua squadra con la specialità della casa, un gran calcio di punizione. Quest’ultimo è forse il gesto tecnico con cui il giapponese è diventato famoso praticamente in tutto il mondo. Honda calcia le punizioni principalmente cercando il giro sul palo scoperto dal portiere, ma spesso a questa unisce (con risultati anche incredibili) una tecnica ben precisa, la mukaiten, il cui utilizzatore più famoso è probabilmente Cristiano Ronaldo. In pratica si colpisce il pallone in modo tale che questo rimanga perfettamente fermo, senza giro, acquisendo quindi una gran velocità e soprattutto un effetto impossibile da interpretare per il malcapitato portiere di turno: osservarla al rallentatore è veramente affascinante.

In tre anni al CSKA Honda vince, quasi sempre da protagonista, due coppe di Russia, una Supercoppa e anche un campionato. Cosa ancora più importante, nel 2011 arriva il trionfo giapponese nei giochi asiatici. Honda è eletto miglior giocatore del torneo: non sarà il mondiale su cui fantasticava da bambino, ma è sicuramente la versione più realistica possibile di quel sogno irrealizzabile.

Nel 2014 arriva la realizzazione di un altro sogno dichiarato: Honda, svincolato dal CSKA, viene ingaggiato dal Milan e approda finalmente in Italia. Il rapporto con il nostro paese è ambivalente, ed è forse qui da noi che sono emerse tutte le qualità e i limiti dell’Honda giocatore. I poco attenti lo ricordano esclusivamente come incostante, impalpabile e lento, gli entusiasti all’eccesso come giocatore incompreso dalla tecnica sopraffina. Hanno ragione tutti e due: Honda in Italia (in quello che è forse il peggior Milan della storia, non scordiamolo) alterna prestazioni e giocate di livello a giornate in cui non sembra neanche essere sceso in campo. Nonostante questo la sua personalità non viene mai meno. Si fa carico della maglia numero dieci, le sue interviste non sono mai banali e anche in campo non abbandona i suoi principi, quel giocare a testa alta e lasciar partire traiettorie incredibili da quel sinistro che in pochi possono vantare.

“I know it sounds like a monumental task — and it is — but, more than anything, I want to play a part in ending world poverty.”

Assist con cross pennellato e gol con tiro dalla distanza con la mukaiten, tutto il meglio di Honda.

È paradossale che uno dei giocatori meno conformi all’idea romantica di calciatore, in particolare di giocatore di fantasia, che ha sempre preso il campo da calcio come un ufficio all’aperto e sempre manifestato prima di tutto la volontà di voler fare il proprio dovere di professionista, intendendo lo sport come ascensore sociale, sia poi in realtà così aderente nel proprio modo di giocare a quell’immagine idealizzata del numero dieci: quello coi piedi buonissimi e una grande visione di gioco, compensate da una quasi totale mancanza di agonismo, di corsa, quasi come se giocasse per farci un favore, caratteristiche che ovviamente finiscono ci fanno innamorare irrazionalmente.

Descrivere Honda come un pensatore è dovuto solo in parte al suo approccio pragmatico e allo stesso tempo creativo al campo da gioco. Fin dal 2009 infatti il calciatore giapponese si è immerso in progetti umanitari paralleli, fondando durante gli anni olandesi la Yume Foundation, che lui stesso definisce come “un’iniziativa globale per insegnare l’importanza di avere un sogno”.

Fornendo borse di studio a ragazzi in difficili situazioni economiche Honda cerca di ricalcare in qualche modo quella è stata la sua esperienza personale, perseguire un sogno per avere una vita migliore. Le proporzioni della fondazione, negli anni evolutasi anche con altri nomi, è mastodontica: diciotto campi da calcio in paesi come l’Uganda, la Thailandia, l’Indonesia, il Vietnam e altri ancora; più di settanta programmi di aiuto, più di quindicimila bambini seguiti in tutto il mondo. Negli anni del Milan tutto ciò cresce esponenzialmente e si comincia anche a parlarne a livello internazionale. Honda però non ha ancora finito il suo viaggio; dopo un totale di 92 presenze e 11 reti in tutte le competizioni è pronto a continuare il viaggio, destinazione inattesa la squadra più antica del Messico, il Pachuca.



America e Oceania

A questo punto si potrebbe tranquillamente pensare che, visti anche i nobili e interessanti progetti extracalcistici, il trasferimento in Messico sia un po’ un andare a svernare in un paese esotico all’altro capo del mondo. Invece Honda sorprende ancora, e nell’unica stagione giocata con il club segna alcuni dei gol più belli della sua carriera, diventando in pochissimo tempo un idolo della tifoseria.

Anche qui ci sarebbe da aprire un’ulteriore parentesi: nonostante in Italia non se ne conservi un ricordo completamente positivo, legato probabilmente più al momento societario e tecnico del Milan che altro, Honda è riuscito a farsi amare ovunque abbia giocato. Saranno i pazzi capelli biondi in contrasto con la faccia pulita, lo sguardo gentile ma serio, i lampi di classe che ogni tanto sprigionano dai suoi piedi o un atteggiamento sempre rispettoso e professionale nonostante i limiti del suo calcio, ma anche questo è un piccolo record; non so quanti giocatori possano dire di essersi letteralmente conquistati sul campo la stima di ciascun continente esistente sulla faccia della terra.

Il viaggio per Honda ha sempre rappresentato una condizione naturale, a cui è stato portato più dalla voglia di imparare per elevare sempre più i suoi progetti umanitari che dalle contingenze calcistiche di calciomercato.
È così che, dopo l’ultimo mondiale di Russia giocato con il suo Giappone, anche questo su livelli più che discreti, viene ingaggiato dai campioni d’Australia in carica, i Melbourne Victory. Si chiude così il cerchio di Honda, che nel frattempo è anche diventato coach part-time della nazionale della Cambogia, nazione in cui già cura scuole calcio e borse di studio per ragazzi.

La mole e l’eterogeneità degli avvenimenti e degli spostamenti nella vita di Honda ci fa dimenticare che stiamo parlando di un ragazzo di appena trentadue anni.
È chiaro che, per sua stessa ammissione, la sua dignitosissima (con alcuni picchi niente male) carriera da calciatore sia ormai quasi giunta alla fine, ma c’è invece tutto un altro aspetto cui ora potrà dedicarsi completamente, quello dei progetti fin ora descritti che sembrano diventare sempre più estesi e ambiziosi, tra cui un fondo d'investimenti aperto insieme a Will Smith. L’obiettivo che ha ora, dichiarato da lui stesso, è uno, mastodontico e spaventoso: giocare un ruolo importante nell’eliminare la povertà nel mondo, usando l’educazione dei bambini come principale antidoto.

Non possiamo che fare il tifo per lui ancor di più; vedremo dove la sua ambizione, curiosità e intelligenza riusciranno a portarlo in questo senso. Riuscisse anche solo parzialmente in questo intento sarebbe una magia ancora più grande di quei tiri imprevedibili che sono sempre partiti dal suo sinistro.