Vedi tutti

Underdrafted

Non tutti i giocatori NBA sono nati superstar. Questa è la storia di quelli che 'ce l'hanno fatta'

Underdrafted Non tutti i giocatori NBA sono nati superstar. Questa è la storia di quelli che 'ce l'hanno fatta'

Nella cultura sportiva americana il concetto di underdog, ovvero di chi non è favorito dai pronostici ma poi riesce ad affermarsi, ha sempre goduto di una cassa di risonanza di assoluto livello. Si sa, gli americani hanno un debole per le belle storie di riscatto che spesso vengono immortalate su pellicola. Ad esempio, se non avete visto Hoosiers con Gene Hackman e Dennis Hopper (che si prese anche una nomination agli Oscar come miglior attore non protagonista per quel ruolo) che racconta la storia - vera tra l’altro - della piccolissima e improbabile Milan High School che nel 1954 vinse il titolo dello stato dell’Indiana, rimediate subito! 

La storia sportiva americana, e quindi quella della NBA, è piena di upset clamorosi. Resteranno nell’immaginario collettivo i Denver Nuggets, che nel 1994 arrivarono ai playoff con l’ultimo posto disponibile ed eliminarono al primo turno (ancora al meglio delle 5 partite all’epoca) i mostruosi Seattle Supersonics di Gary Payton e Shawn Kemp (vinsero la Western Conference con un record pazzesco 63-19). In vantaggio 2-0 nella serie, i Sonics, convinti di aver archiviato la pratica, ne persero 3 di fila e vennero estromessi anzitempo dai giochi.

Il mondo sta pian piano ritrovando il suo nuovo ordine dopo “The Decision Part. III” e quindi dopo l’approdo di LeBron James a Los Angeles sponda Lakers. Il “grosso” è stato più o meno fatto (aspettiamo di capire dove andrà l’altro peso massimo in procinto di cambiare franchigia, Kawhi Leonard) perciò possiamo dedicarci ad altro mentre il valzer del mercato NBA continua. Una decina di giorni fa, precisamente il 21 giugno al Barclays Center di Brooklyn, New York, c’è stato il Draft NBA 2018 (l’ultimo a tenersi con le regole in vigore dal 1985 perché dal prossimo anno le possibilità di avere scelte alte da parte delle tre squadre messe peggio nella lega si ridurranno notevolmente, di fatto il “tanking” sarà molto meno vantaggioso). 

Se seguite la NBA saprete già che per esempio alla 'uno' i Phoenix Suns hanno scelto DeAndre Ayton, centro da Arizona State e avremo anche la possibilità di vedere come, l'MVP dell’Eurolega e delle Final Four Luka Doncic saprà adattarsi al basket d’oltreoceano con la maglia dei Dallas Mavericks. Anche a noi piacciono gli underdog e prendendo spunto dal draft siamo andati a pescare nel mondo degli underdrafted, ovvero di quei giocatori non scelti nelle prime posizioni o addirittura non scelti affatto e che poi invece hanno invertito i pronostici arrivando dove era difficile ipotizzare arrivassero.

 

Isaiah Thomas

175 cm, scelto al secondo giro alla 60 dai Sacramento Kings. Dopo tre anni a Sacramento (male) va a Phoenix (malissimo) per poi arrivare a Boston. Qui esplode, diventa a tutti gli effetti il punto di riferimento della squadra. Due anni da All-Star, la tragica morte della sorella 22enne nella notte prima di gara 1 dei playoff 2017 contro i Bulls, dove piange a dirotto durante il minuto di raccoglimento in memoria dell’amata sorella per poi segnarne 33 e infine la trade che lo ha portato prima a Cleveland da LeBron (non è scattata la scintilla trai due, mettiamola così) e poi a Los Angeles dove difficilmente rimarrà. Buona fortuna Isaiah, te la meriti.

 

Jimmy Butler

Scelto alla 30 dai Bulls nel 2011 dopo una carriera a Marquette non straordinaria, si pensava potesse diventare un buon giocatore ma mai un All-Star. Ha vinto il premio come giocatore “più migliorato” della lega nel 2015 ed è stato All-Star per 4 anni consecutivi, dal 2015 al 2018. Piccola parentesi, il ragazzo a 13 anni è stato buttato fuori di casa dalla madre, il padre era già andato via da un pezzo, con testuali parole: “non voglio più vedere la tua brutta faccia”. Diciamo che non tutto era a suo favore per usare un eufemismo. 

 

Jeremy Lin

Iniziamo col dire che un taiwanese uscito da Harvard, non scelto da nessuna squadra al draft, messo sotto contratto dai Golden State Warriors dove non giocò mai, finito poi ai Knicks due anni dopo e che per 5 partite di fila piazza 20 punti di media e che ne mette 38 contro i Lakers di Kobe, meriterebbe un libro a parte (ah, hanno fatto un documentario su Jeremy Lin, "LINSANITY", presentato al Sundance Festival nel 2013). Era il 15º giocatore dei Knicks nella stagione 2011/2012, sedeva sulla panchina davvero per fare “numero” e una serie assurda di infortuni lo hanno portato a scendere in campo dal 4 marzo 2012 fino al 24 dello stesso mese (giorno del suo infortunio al menisco e stagione finita). Scioccò il mondo giocando una pallacanestro di pick&roll pazzesca, alla Steve Nash, grazie anche a Mike D’Antoni che all’epoca era capo allenatore a New York. Tutto questo non se lo aspettava proprio nessuno, ma nessuno nessuno! 

Purtroppo la 'Linsanity' finisce qui. Andato via da New York viene firmato dai Rockets, dove però non si conferma a quei livelli e tutto si spegne. Peccato, ma la storia meritava due parole. 

 

Hassan Whiteside

Dopo un anno a Marshall si rese eleggibile al Draft del 2010, dove venne scelto dai Sacramento Kings alla 33. Giocò in D-League per 4 anni, passò ai Grizzlies, fu tagliato due volte per poi finire a Miami. Qui avviene una grossa svolta, un cambiamento drastico direi: Whiteside diventa uno dei migliori centri della lega, piazzando triple doppie praticamente ogni sera e dominando le aree NBA in modo quasi arrogante per certi versi. Good job, Hassan!

 

Ben Wallace

Frequenta per due anni il Cuyahoga Community College, raggiunge a stento gli standard accademici per poter entrare in un college vero e proprio e si trasferisce a Virgina Union. Gioca in Division II e al draft del 1996 nessuna squadra NBA chiama Big Ben. Viene messo sotto contratto dai Washington Wizards come free-agent, ma dopo un paio di anni viene “regalato” ai Magic, che nel 2000 lo girano ai Detroit Pistons. Qui le cose cambiano radicalmente. Wallace diventa uno dei cardini della squadra che vincerà il titolo nel 2004 allenata da Larry Brown (appena arrivato in Italia sulla panchina della Fiat Torino Auxilium). È stato per quattro volte un All-Star, quattro volte Defensive Player of the Year e uno dei migliori difensori della storia delle lega.

 

John Starks

Personalità difficile, si fa cacciare da Roger State per aver rubato uno stereo e viene sorpreso a fumare erba nei dormitori quando è a Northern Oklahoma. Arriva ad Oklahoma State via Tulsa Junior College e nel 1988 Golden State gli da una chance ma non funziona. Nel 1990 finisce ai Knicks dove si fa male subito ad un ginocchio e dato che non può essere rilasciato prima che si sia ripreso resta a New York. Ristabilitosi dall’infortunio, riesce ad entrare nelle rotazioni di coach MacLeod e l’anno dopo Pat Riley lo schiera in quintetto come guardia titolare. Nel 1994 va all’All Star Game e nella stagione 1996/1997 è Miglior Sesto Uomo dell’Anno.

 

Josè Juan Barea

Il nostro J.J. merita una citazione. 183 cm di “cazzimma” portoricana, viene messo sotto contratto dai Dallas Mavericks nel 2006, finisce in D-League nel 2007 per 8 partite. Negli anni successivi riesce a ritagliarsi un proprio spazio nelle rotazioni dei Mavericks fino ad arrivare ad una vera e propria apoteosi. Finali 2011, Barea mette a referto 17 e 15 punti rispettivamente in gara 5 e 6 contro i Miami Heat di LeBron James, Dwayne Wade e Chris Bosh che se lo vedono sbucare letteralmente dappertutto e risulterà determinante per la conquista del titolo da parte dei Dallas Mavericks. 

 

Golden State Warriors

Meritano una menzione a parte i Golden State Warriors che negli ultimi anni hanno piazzato una serie di colpi che hanno completamente spostato gli equilibri dell’intera lega. Facciamo ordine, nel 2009 alla 7 hanno scelto Stephen Curry, due volte MVP della lega, che diciamo non si immaginava potesse diventare quello che effettivamente è diventato e cioè uno dei migliori giocatori della storia della NBA. Nel 2011 alla 11 prendono Klay Thompson, tecnicamente il miglior tiratore della lega e uno capace di metterne 60 in 29’ minuti tenendo la palla in mano per 88,4 secondi.

Non solo Curry e Thompson, che nel 2014 hanno segnato 484 triple combinate (record della NBA, ne hanno altri ma non ci dilunghiamo) guadagnandosi il soprannome di “Splash Brothers”. C'è anche “l’orso ballerino”, Draymond Green, scelto alla 35 nel draft del 2012 per poi diventare elemento fondamentale del quintetto che ha vinto 3 titoli in 4 anni. Naturalmente tutti e tre hanno posto fisso all’All-Star Game e finiranno molto probabilmente nella Hall of Fame.