Vedi tutti

È arrivata la fine dell'era dei testimonial?

Secondo gli ultimi dati, avere alcuni dei migliori atleti tra i propri endorsers potrebbe non essere abbastanza per avere successo

È arrivata la fine dell'era dei testimonial? Secondo gli ultimi dati, avere alcuni dei migliori atleti tra i propri endorsers potrebbe non essere abbastanza per avere successo

Da che mondo è mondo, siamo abituati ad associare ogni brand - sportivo o no - con i volti dei personaggi, atleti, attori, influencer che lo rappresentano. Quello del endorser/testimonial è un ruolo che ha sempre rappresentato una grossa fetta degli investimenti delle compagnie e che talvolta, come nel caso Jordan-Nike, ha anche contribuito a cambiare radicalmente la carriera di alcuni sportivi. Le ultime notizie però, non sono affatto buone per i brand, visto che sembra sempre più chiaro come la presenza di importanti endorsers nelle campagne commerciali non sia strettamente collegato con un relativo aumento delle vendite.

L’ultimo caso è portato alla nostra attenzione da Yahoo Finance, che ha messo in relazione gli ultimi dati economici di Under Armour con l’impressionante parco atleti del brand americano. A fronte della firma di superstar come Steph Curry, Tom Brady, Jordan Spieth, Michael Phelps, Cam Newton, Lindsey Vonn, Bryce Harper, Memphis Depay, e Misty Copeland, infatti, Under Armour ha fatto registrare il quarto pessimo quadrimestre di fila, dovendo ridimensionare le aspettative di guadagno per il 2017 e registrare un importante calo del valore delle azioni. Un dato tutto sommato sorprendente, se si considera che tra gli endorsers di Under Armour risultano un due-volte MVP e campione in carica NBA, il miglior quarterback della NFL, il secondo miglior golfista al mondo, oltre che una star di Hollywood (e allo stesso tempo atleta) come Dwayne “The Rock” Johnson. Eppure, secondo il CEO di adidas US Mark King, “la maggior parte degli endorsers di Under Armour sono troppo timidi”.

Secondo King, infatti, quel poco che possono muovere oggigiorno i testimonial - e secondo lui il loro impatto sulle vendite del brand è pressoché nullo - è reso possibile da una personalità particolarmente creativa o prorompente. Non è un caso infatti, che tutte le ultime campagne adidas siano state incentrate sui creators, facendo affidamento ad atleti cool come James Harden (NBA), Paul Pogba (Calcio) e Carlos Correa (MLB). D’altra parte, Under Armour ha fatto invece affidamento su atleti dall’indiscusso talento sportivo, ma dalla scarsa personalità in termini commerciabilità. Ne sono un perfetto esempio le signature shoes di Stephen Curry, arrivate ora alla quarta serie e mai davvero in grado di affermarsi nel complesso mondo delle sneakers da basket, dominato in lungo e in largo dal brand Jordan. Esempio probabilmente irripetibile di come invece il connubio tra atleta e brand sportivo possa portare alla creazione di una legacy che duri ben oltre la fine della carriera sportiva.

D’altra parte, anche il prepotente ritorno di adidas sul mercato americano e globale non va attribuito tanto alla presenza di forti personalità tra i suoi endorsers, quanto alla capacità delle Three Stripes di sapersi muovere sul mercato con grande prontezza, potendo poi usufruire di testimonial che rappresentassero al meglio la filosofia dei prodotti venduti. Sarà interessante capire come Under Armour cercherà di risollevarsi da questo momento difficile e soprattutto se nei prossimi mesi (o anni) verrà confermata questa tendenza che metterà sempre più in disparte - anche se difficilmente in maniera definitiva - l’utilizzo dei grandi nomi nelle campagne commerciali dei brand sportivi.