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L'NBA e il problema delle sneakers

La Lega più bella del mondo e il mondo delle sneaker potrebbero entrare sempre più in conflitto. Ecco perché.

L'NBA e il problema delle sneakers La Lega più bella del mondo e il mondo delle sneaker potrebbero entrare sempre più in conflitto. Ecco perché.

Probabilmente comincia tutto nell’estate del 1984. David Stern ha da poco preso possesso mediatico della NBA, trasformandola in quella incredibile macchina da soldi che è oggi. In cambio del successo però, ha imposto regole molto stringenti, che servono alla costruzione della sua visione, una visione che genera milioni e imitazioni. Tra queste regole c’è quella sull’abbinamento cromatico, che si riversa soprattutto sulle sneaker che i giocatori indossano, che non possono in nessun modo avere colori diversi dalla divisa della franchigia. E non solo: non devono neanche essere troppo diverse da quelle dei membri della squadra.

Nike lo sa benissimo, ma produce lo stesso il primo paio di Air Jordan per il giovane Michael in nero e rosso, che non rientrano nella lista dei possibili abbinamenti. Le scarpe vengono bandite e Air Jordan le rivende al mercato con la caption “le prime scarpe ad aver portato il colore nell’NBA”. È forse questo il primo caso di basketball sneaker prodotta per la strada prima ancora che per il parquet.



Solo pochi giorni fa la questione è tornata prepotentemente di moda: Gary Payton II, figlio di The Glove in forza ai Milwaukee Bucks ha indossato la versione delle Jordan IV in collaborazione con lo stilista di Brooklyn KAWS.  Su Complex, Russ Bengtson, ha commentato la notizia, in particolar modo criticando il sensazionalismo dietro l’iniziale tweet dei Bucks e quello di diversi magazine. Se la Jordan IV sono scarpe da basket, perché mai dovremmo stupirci se qualcuno le indossa per giocare a basket? Per Bengtson, il meccanismo perverso si deve a tutti gli anni passati a “spottare” le scarpe degli atleti, per avere sempre il titolo più sensazionale e più accattivante. E Bengtson ha indiscutibilmente ragione, e il solo fatto che ci sia stato il bisogno di ribadirlo è preoccupante. Se l’hype attorno un paio di basketball sneaker supera la sua effettiva utilità, per il mondo del basket è un problema. Certo, fa comodo all’industria del fashion, ma a lungo andare la relazione potrebbe diventare insostenibile.



Qualcosa di simile era successo durante lo scorso All Star Saturday, quando durante uno Slam Dunk Contest tutto sommato buono ma non entusiasmante, l’attenzione di Instagram e Twitter si era sposata sulle scarpe di Jones Jr, una versione golden delle Suptempo, nata dalla collaborazione tra Supreme e Nike. In questo caso, come fa notare Bengtson, la storia è cominciata addirittura con un tweet dei Bucks, il che esaspera ancora di più i toni intorno alla faccenda.

L’altro punto toccato dall’editor di Complex è stato quello riguardante il prezzo delle Jordan KAWS. Sempre sui media infatti la polemica è girata sul costo delle scarpe, e sul fatto che una scarpa così costosa fosse indossata per giocare. Era successa la stessa cosa qualche anno fa con Gilbert Arenas e le sue Dolce&Gabbana, nonostante il caso fosse leggermente diverso. Come leggermente diverso è stato il caso di Nick Young, che ha indossato le Yeezy 750 Boosts, rischiando peraltro di infortunarsi – non essendo le Yeezy scarpe da gioco. 

Il tema è quindi complesso e ricco di mille sfaccettature, a cui non si può mancare di aggiungere quella posta da Stephon Marbury oramai due anni fa, quando accusò direttamente Michael Jordan di produrre scarpe troppo costose e di favorire in questo modo la violenza nei ghetti, dove tutti desiderano una Jordan e crescono con il desiderio di avere una.