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Il sessismo nel calcio è un problema concreto. Che a noi non piace

We love fangirls Il sessismo nel calcio è un problema concreto. Che a noi non piace

Qualche tempo fa un articolo uscito su Howler, magazine statunitense interamente dedicato al calcio, ha colto la nostra attenzione. Nell’articolo si faceva riferimento al problema legato al sessismo e alla discriminazione verso le donne, problemi che storicamente dilagano nelle curve del calcio, italiano e non. Perché è inutile negarlo, il calcio è sempre stato considerato - e così è ancora oggi - un’affare da uomini, con le donne tifose spesso relegate a un ruolo marginale e mai veramente poste sullo stesso piano degli alter ego maschili. Questo nella migliore delle ipotesi, perché spesso in realtà le donne presenti allo stadio vengono discriminate, non c’è altra parola per dirlo, per via del loro sesso.

Questo può avvenire in molte maniere, magari non sempre percepibili per chi vede le partite in televisione. Per questi ultimi, uno dei casi lampanti è proprio quello portato alla luce da Howler che, sebbene impegnato in un’analisi più politica che sociale, ha fatto partire la sua riflessione da uno striscione apparso nella curva dell’AC Omonia, squadra della Prima Divisione cipriota. Si tratta ovviamente del più lampante dei casi, visto che il banner in questione era una palese riduzione dell’immagine femminile a mero oggetto sessuale. Altre inchieste però, come ad esempio quella condotta dal Daily Telegraph, hanno evidenziato dati preoccupanti e molto meno visibili da chi non frequenta le standings del calcio inglese. Sei donne su dieci, ad esempio, hanno confessato di aver subito sfottò o battute di stampo sessista, mentre altre - seppur in numero minore - sono state addirittura vittima di bullismo, molestie o costrette ad abbandonare un determinato settore dello stadio. 

È evidente, quindi, che ancora oggi molte donne non sono a loro agio all’interno degli stadi, principalmente perché non vengono fatte sentire tali. Abbiamo quindi deciso di sfoggiare un po’ di Girl Power, chiedendo un’opinione alle nostre amiche di This Fan Girl, Season e Girlfans, donne appassionate di calcio e abituate a frequentare gli stadi della Premier League dove, nonostante la palese superiorità tecnica e organizzativa, sono alle prese con gli stessi problemi riscontrati nel resto del mondo calcistico. Secondo Jacquim Cassey, fotografa e fondatrice di Girlfans, il sessismo non è però un fenomeno da attribuire ai gruppi di tifosi organizzati. “I gruppi di tifosi inglese con cui ho avuto occasione di parlare per i progetti di Girlfans non hanno mai evidenziato una volontà studiata a tavolino di essere sessisti. Penso piuttosto che il calcio sia una sorta di microcosmo della società, fatto quindi di persone che possono essere sessiste o meno”.

 

Quello che sembra essere il punto focale della situazione è più che altro il modo in cui le donne che vivono le partite allo stadio vengono percepite dagli uomini, forse non ancora abituati ad averle come presenza fissa e cosciente tra i loro “ranghi”, ma non per questo autorizzati ad avere atteggiamenti aggressivi o discriminatori nei loro confronti. “Una persona su quattro presente sugli spalti delle partite di Premier League è donna”, ci dice Felicia Pennant, ideatrice del magazine Season, “è il dato più alto di sempre e sta rendendo le donne una minoranza sempre più grande all’interno di questo mondo”. Ed è ovvio che l’aumento sostanziale di donne presenti allo stadio non possa che fare bene al movimento, contribuendo a mettere la parola fine al sessismo nel calcio. “Più donne saranno presenti nelle curve, più saranno in grado di dissipare certi stereotipi negativi dei tifosi maschi. Potranno all’occorrenza opporsi al sessismo o dare visibilità a queste cattive abitudini, facendosi forza e aiutandosi a vicenda”.

 

Non ci sono riscontri particolari su questi numeri in ambito italiano, in quanto nel nostro paese non sono ancora stati costituiti gruppi rappresentativi del tifo femminile. Questo, a ben vedere, dovrebbe già dire tanto sulla situazione attuale nello Stivale. È indubbio, però, come il problema vada al di là dei confini nazionali, come ha dimostrato palesemente lo striscione esposto nella curva cipriota. Tanto per fare un’esempio, un banner praticamente identico è stato esposto nella curva del Toronto FC, in Canada. È fondamentale quindi che la crescita del pubblico femminile continui costantemente perché, come ci dice giustamente Amy Drucquer - curatrice di This Fan Girl - “I padri che portano allo stadio le proprie figlie sono una cosa fantastica e se percepiscono gli stadi come un posto sicuro dove portare le loro bambine non può che essere positivo. Perché chi si metterebbe a cantare cori sessisti o insultare una donna quando si ritrova circondato da famiglie? È questa dinamica organica che succede quando più donne si sentono a loro agio nell’andare allo stadio che può cambiare la percezione del sessismo in un modo molto naturale”.

 

Amy ci ha anche proposto una riflessione molto interessante in merito alla percezione del sessismo nelle curve, oltre che alla sua effettiva presenza. “Più donne sugli spalti avrebbero una certa influenza sulla percezione del sessismo”, ci ha detto. “Ma “percezione” è una parola con un certo grado di ambiguità. Se il sessismo è meno percepito, questo significa che le curve sono diventate un posto meno sessista? Sarebbe un tipo di atteggiamento veramente sconfitto o semplicemente messo a tacere? Non lo so, ma quello che so è che più donne sugli spalti incoraggerebbero altre donne a partecipare alle partite. Renderebbe le curve un ambiente più sicuro e inclusivo per loro”.

La speranza è che questo possa accadere sul serio e che un giorno le donne di tutto il mondo possano seguire la loro squadra del cuore con la stessa naturalezza con cui lo farebbe un uomo. Questo, ovviamente, comporterebbe un radicale cambiamento della percezione della donna-tifosa, soprattutto da parte dei maschi. La presenza del gentil sesso nelle curve degli stadi sembra essere - secondo le donne stesse - uno dei principali modi per garantire equità di trattamento e fine della discriminazione. E le donne, lo sappiamo bene, hanno quasi sempre ragione.