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LA TOP 15 BIDONI ACQUISTATI dalla SSC NAPOLI 1990-2000

Il triste declino del dopo Maradona

LA TOP 15 BIDONI ACQUISTATI dalla SSC NAPOLI 1990-2000 Il triste declino del dopo Maradona

Bidoni. Flop. La “Gialappa’s Band” li etichettava come ‘Fenomeni Parastatali’. Stiamo parlando di quei calciatori annunciati dai giornali come grandi campioni o sicure promesse che poi, in fin dei conti, si sono rivelati degli acquisti deludenti.  Ogni tifoso che si rispetti ha memoria di qualche “Fenomeno” dell’ultim’ora dipinto come un ‘mago’ della sfera di cuoio capace di guidare la propria squadra alla conquista di chissà quali traguardi che, dopo una sola stagione, si rivela per quello che è, ovvero un ‘brocco’ spaventoso bravo a collezionare soltanto brutte figure dentro e fuori dal terreno di gioco. Questa settimana  abbiamo focalizzato la nostra attenzione sul Napoli e sui 15 peggiori calciatori che hanno indossato (indegnamente) la maglia del club che fu di Diego Armando Maradona. Limiteremo la nostra ‘chart’ agli anni ’90, un periodo in cui, nella squadra napoletana, sono approdati una serie ’infinita’ di calciatori imbarazzanti, un esercito di ‘pacchi’ accuratamente scelti dall’allora presidente Corrado Ferlaino, colui che riuscì nella duplice impresa di guidare il club azzurro alla conquista di vari trofei e, seppur in maniera indiretta, al fallimento economico della società avvenuto nel 2004. Ecco, dunque, i 15 acquisti ‘Flop’  targati Ssc Napoli;

15 - BENITO ‘BENNY’ CARBONE

Una sola stagione in maglia azzurra per lui. Fantasista di origini calabresi, arriva all’ombra del Vesuvio con l’etichetta di giovane talento pronto ad esplodere. Purtroppo lascia intravedere poco o niente della sua classe (qualche gol su punizione e null’altro). Di sicuro, sulla sua deludente avventura partenopea, ha influito quella maglia numero ‘10’ che fino a qualche anno prima era indossata da Maradona; un peso enorme che non lo ha aiutato ad esprimersi al meglio. Come ampiamente scritto, Carbone in campo non si è distinto particolarmente ma, il peggio di sé, lo ha dato in sala registrazioni insieme all’allora cantante neomelodico Gigi D’Alessio; i due, infatti, furono protagonisti di un duetto canoro che definire ‘trash’ è alquanto limitativo.

14 - EUGENIO CORINI 

La sua esperienza al Napoli fu fugace, 

  costellata da infortuni e da furiose liti con compagni e con l’allenatore Vujadin Boskov. Dopo un incoraggiante inizio di carriera nelle giovanili del Brescia e ben due stagioni da titolare nella Juventus, Corini arriva in prestito al Napoli nella stagione 93/94; fu Marcello Lippi a volerlo. L’allenatore azzurro individuò in Corini l’uomo giusto a cui dare le ‘chiavi’ del centrocampo; lo definiva “un giovane ‘regista’ dal futuro radioso”. Peccato che la pubalgia e il carattere burrascoso gli permisero di giocare solo una ventina di partite in una stagione e mezzo. Venne messo definitivamente fuori rosa da Boskov (con cui ebbe un furioso alterco) a causa di una lite (avvenuta nel bel mezzo di una partita di campionato) con il compagno di squadra Bordin. 

13 - CLAUDIO “el Picapedra” HUSAIN 

Nella stagione 2000/01 il Napoli torna in serie A dopo due anni passati nel purgatorio della B. Ferlaino e Corbelli si affidano ad Alessandro Moggi (figlio di ‘Lucianone’) affinché metta in piedi una squadra che possa mantenere la categoria. Il ‘figliol prodigo’ di Lucky Luciano ha la grande idea di andare in Argentina e versare ben 16 miliardi di lire al River Plate per prelevare un centrocampista di temperamento, un uomo instancabile bravo a rubare palla agli avversari; l’identikit risponde al nome di Caludio Husain, detto ‘El Picapedra’ (lo spaccapietre). Con un soprannome così ‘penoso’, il destino di Husain in maglia azzurra non poteva che esser altrettanto ‘penoso’; con Zeman in panchina, Husain vede pochissimo il campo mentre, con Mondonico,  riesce a trovare maggior spazio. Tecnicamente scarsissimo, tatticamente inutile, Husain lascia Napoli dopo una sola stagione conclusasi con la retrocessione degli azzurri in serie B. Oltre al soprannome, Husain passò agli onori della cronaca per la sua presunta omosessualità; si narrava che, nello spogliatoio, i compagni lo chiamassero esplicitamente ‘Maricon’.

12 - ALFREDO AGLIETTI

Per chi ha cominciato a seguire le sorti del Napoli proprio nel momento in cui i campioni del periodo ‘Maradoniano’  iniziavano a lasciare posto a tutta una serie di calciatori tecnicamente di medio\basso livello, Alfredo Aglietti rappresenta uno di quelli che ha segnato l’alba del periodo più buio del club azzurro. Piedi tutt’altro che educati sormontanti da un fisico tutt’altro che prestante,  l’attaccante toscano in campo si muoveva con un’agilità simile a quella di un ‘paracarro’.  Gioca una sola stagione con il Napoli (1996/97), campionato in cui forma una coppia d’attacco ‘risibile’ con un altro ‘fulmine di guerra’, ovvero  Nicola Caccia. Segna, nonostante i suoi palesi limiti tecnici, nove gol con la maglia azzurra. 

11 - ANSELMO ‘SPADINO’ ROBBIATI

E’ incredibile come questo promettente fantasista non sia riuscito a emergere nel suo unico anno di militanza in un Napoli che, nella stagione 1999/00, era in serie B. Dopo sei anni e 155 presenze nella Fiorentina, dove ha potuto giocare al fianco di campioni del calibro di Batistuta e Rui Costa, ‘Spadino’ passa dai Viola agli Azzurri con l’etichetta di ‘lusso per la categoria’. Peccato che l’unico ‘lusso’, per i tifosi napoletani, fu quello di vederlo in campo; infatti, alcuni brutti infortuni e tante prestazioni al di sotto delle aspettative,  non gli permisero di lasciare il segno nel corso della sua breve quanto anonima avventura partenopea.

10 - CAIO RIBEIRO

Entriamo nella ‘Top Ten’ con uno dei brasiliani meno talentuosi che si siano mai visti a Napoli e, in generale, nel calcio italiano. Soprannominato ‘il dottorino’ per l’eleganza con cui vestiva e per il volto pulito (alla Ricardo Kakà, per intenderci) arriva in Italia a metà anni ’90 grazie a Massimo Moratti che, nell’estate del 1995, lo acquista per ben 7 miliardi di lire. Il ragazzo fa fatica ad ambientarsi a Milano: il clima freddo e la poca fiducia avvertita lo spingono a chiede di esser mandato in una squadra che gli assicuri maggiore spazio e, magari, in una città simile alla sua San Paolo in Brasile. Quale altra metropoli italiana se non Napoli risponde alle caratteristiche richieste da Caio? E infatti, nell’estate del 96’, arriva puntuale il passaggio in maglia azzurra. Quando l’affare diventa ufficiale, la prima pagina del Corriere dello Sport titola: “Caio al Napoli!”. Questo titolo a sette colonne lasciava presagire che, dopo Careca, i tifosi del Napoli avrebbero  nuovamente goduto delle gesta sportive di un altro attaccante brasiliano di alto livello. Purtroppo, però, sin dagli esordi si capì che neanche a Napoli ‘il dottorino’ Caio si sarebbe messo in luce: l’allenatore Simoni lo manda spesso in tribuna e l’unico gol messo a segno è quello siglato nei quarti di finale di Coppa Italia contro la Lazio. Terminata la stagione, Caio decide di tornare in Brasile e terminare la sua breve carriera a soli 30 anni. 

 

9  - NICOLA CACCIA

Anche Nicola Caccia fa parte di quella schiera di calciatori arrivati a Napoli in pompa magna, preceduti da grossi titoloni sui giornali e con la fama di giocatori in ascesa inarrestabile verso le alte sfere del calcio italiano. Uno di quelli che, puntualmente, deludevano tremendamente il pubblico e terminavano la stagione tra fischi e improperi di ogni genere. La carriera di Caccia è stata in parte ostacolata dal paragone col suo ben più noto (e soprattutto molto più forte) compaesano Vincenzo Montella. Dopo una bella stagione al Piacenza, nel 1996 Caccia approda al Napoli per rivestire il ruolo di ‘punta di diamante’ dell’attacco partenopeo. Più che una punta  di diamante, Caccia si rivela una punta di matita che non scrive, un calciatore noto soprattutto per le espressioni facciali stile ‘urlo di Munch’ mostrate ogni qual volta non gli si fischiava un rigore o una punizione contro.    

 

8 - ABDELILAH SABER

Chi segue il Napoli da tanto tempo non può non ricordarsi di questo terzino marocchino arrivato dallo Sporting Lisbona con la nomea  di “nuovo Cafù” del Maghreb. Così come Husain, Saber si trasferisce in Italia nell’estate del 2000 grazie al fiuto innato per i calciatori di talento (quanta ironia in queste parole) del buon Alessandro Moggi. A dirla tutta, nell’esordio in serie A al San Paolo contro la Juve, Saber sfodera una prestazione sfavillante che dura, purtroppo per lui e per i tifosi napoletani, soltanto  45 minuti. Quel primo tempo fece credere ai sessantamila di Fuorigrotta di aver trovato realmente un terzino da sogno tanto che, nell’intervallo, in tribuna stampa si vociferava: “Se a Roma hanno ‘pendolino’ Cafù, a Napoli possiamo vantarci di ‘Intercity’ Saber”.  Peccato che, già nella ripresa, le giocate di Saber  rimasero un sogno e nulla più. Dopo quell’unica partita giocata a livelli decenti, il calciatore marocchino riuscì nell’impresa di restare per altre tre stagioni a Napoli, anni in cui collezionò soltanto 49 presenze, zero gol e tanti ‘vaffa…’ da parte dei tifosi partenopei.  

7 - FREDDY VALENCIA EUSEBIO RINCON 

Gli osservatori del Parma (società che portò Rincon in Italia per poi darlo in prestito al Napoli) descrivevano questo ‘marcantonio’ di colore alto 1.88 per 86 kg di peso con le seguenti parole:  “Quando parte in progressione è inarrestabile, sembra un treno” – e ancora -  “Con il pallone tra i piedi fa quello che vuole, è un talento purissimo”. Insomma, a detta dei collaboratori di Callisto Tanzi, il colombiano Rincon aveva le sembianze fisiche e tecniche di George Weah. A Corrado Ferlaino sembrò di aver fatto un affarone quando, nell’estate del 1994, riuscì ad ottenere  questo ‘gigante’ dell’area di rigore in prestito gratuito proprio dal club emiliano. Come consuetudine di quel periodo, Rincon riuscì a sconfessare in toto le grandi aspettative riposte in lui; tant’è, dopo l’ennesima brutta prestazione offerta, i tifosi del Napoli arrivano ad aggredirlo fisicamente mentre fa ritorno nella sua casa di Posillipo. Morale della favola, al termine della stagione Rincon torna al Parma che, una volta accortosi della mediocrità del calciatore, riesce a sbarazzarsene immediatamente, cedendolo “nientepopodimenoche” al Real Madrid (una roba degna della rubrica ‘Strano ma vero’). In Spagna aspettano fino a gennaio prima di rispedirlo in Colombia definitivamente. Come se non bastasse, ultimamente Rincon è riuscito a mettersi nei guai anche con la legge; le autorità Panamensi e l’Interpol (che ha addirittura emanato un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti) lo accusano di spaccio di cocaina insieme al noto narcotrafficante (e suo amico d’infanzia) Pablo Rayo Montano.

6 - EDMUNDO ALVES DE SOUSA NETO 

‘O Animal’. Basterebbe il solo soprannome per descrivere esaustivamente questo calciatore brasiliano ‘sopra le righe’. Eppure, nei primi anni di carriera in Brasile, Edmundo si era guadagnato quel ‘nickname’ non tanto per il carattere irriverente quanto per il suo talento ‘fuori dalla norma’. Arrivato a Napoli nel gennaio del 2001 dopo una precedente parentesi (fallimentare) alla Fiorentina, viene presentato al San Paolo davanti a 20.000 spettatori festanti; un’immagine che ricorda tanto la presentazione di Maradona avvenuta in quello stesso stadio nel 1984. Si può affermare con certezza che i due calciatori siano accomunati sia dal grande affetto riservatogli dai tifosi partenopei  al loro arrivo in città, sia per le loro abitudini extracalcistiche ‘poco professionali’. E si, perché lo scapestrato Edmundo, a differenza del Pibe de Oro, in campo non dimostra granché.  Nei pochi mesi in cui veste la maglia azzurra il brasiliano si fa notare soprattutto per la sua vita privata scriteriata, caratterizzata da notti brave passate nei locali della città, fughe improvvise al Carnevale di Rio e risse con i compagni (come col malcapitato portiere Mondini, vittima di un calcio volante scagliato da Edmundo durante un allenamento del venerdì). Le sue prime parole nella conferenza stampa di presentazione come nuovo calciatore del Napoli furono: “Napoli, ti porterò in alto!”. E infatti, al termine di quella stagione, i partenopei si guadagnarono, sul campo, una bella retrocessione in serie B. Ipse Dixit.

 

5 - ALESSIO BANDIERI 

La ‘top five’ di questa classifica si apre con uno degli estremi difensori  più scarsi che (la pur nobile) scuola  italiana dei portieri abbia mai prodotto. Arriva al Napoli nel 1999 dietro suggerimento dell’allora tecnico azzurro Walter Novellino, il quale (stranamente) non faceva che parlarne bene. “Vi accorgerete presto delle qualità di Bandieri” - dichiarava con fare sicuro l’allenatore. Lo stesso Bandieri non vedeva l’ora di buttarsi a capofitto in questa nuova e importante esperienza: “Quando mi è stato proposto di venire a Napoli ho immediatamente chiuso gli occhi e sono partito, senza nemmeno pensarci un istante” Peccato che,  al povero Bandieri, erano proprio gli ‘occhi’ a non funzionare tanto bene (ironia della sorte); infatti, tra le  tante ‘leggende metropolitane’ che circolavano su questo ragazzo,  una riguardava il problema di miopia che lo costringeva  a giocare con le ‘lentine’. Un difetto oculare che non gli permetteva di calcolare bene la traiettoria dei tiri da fuori area (clamoroso il gol da centrocampo che subì contro il Monza). Inoltre, in città, circolava la voce che Novellino lo facesse giocare solo perché era il fidanzato della figlia. Sta di fatto che, dopo pochi mesi dal suo arrivo, fioccarono i soprannomi ironici per il povero Bandieri: ‘Guardiano Miope’ e ‘Portiere Talpa’ erano i più gettonati.  

4 - MASSIMILIANO ‘ acciughina’ ALLEGRI 

Forse non tutti sanno che… tra le tante meteore calcistiche apparse nella storia del Napoli calcio, c’è anche l’attuale allenatore del Milan, Massimiliano Allegri. Solo 7 presenze per lui con la casacca azzurra eppure, il caro ‘conte Max’, è riuscito a mostrare il peggio di sé sia in campo che fuori. Voluto fortemente dal neo tecnico partenopeo Giovanni Galeone (uno dei tanti subentranti nella stagione 1997/98) per dare ordine e qualità allo sgangherato centrocampo del Napoli, Allegri mostra sin dalle prime uscite una condizione fisica a dir poco approssimativa. Indimenticabile la prova ‘raccapricciante’ offerta in un Napoli-Brescia 0-3, quando i gemelli Filippini lo surclassarono letteralmente con tunnel e dribbling in velocità. Anche su Allegri circolavano voci poco simpatiche: si  diceva, infatti,  che nutrisse dei pregiudizi nei confronti  del Sud (noto a tutti l’epiteto ‘terrone’ con cui si rivolse ad un carabiniere qualche anno fa) e che avesse accettato di venire a giocare a Napoli solo per il buon stipendio offertogli da Ferlaino; un’occasione da non perdere per uno che, come lui, era ormai a fine carriera. 

3 - WILLIAM PRUNIER 

Un brivido di freddo gela la schiena di tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di veder giocare questa imitazione malriuscita di un calciatore. Il volto squadrato e la pelata lo facevano assomigliare ad un Serial Killer. Il presidente Ferlaino, suo grande (inspiegabilmente) estimatore, dichiarò: “Non sarà un adone. Ma vi assicuro che è un giocatore di grande efficacia”. Lascia a dir poco esterrefatti il pensiero che, a pronunciare queste parole fu la stessa persona  che riuscì a portare Maradona a Napoli. Prunier arriva a Napoli con un curriculum di rispetto; può vantarsi, infatti, di aver giocato in un club di livello europeo come il Manchester United (fu Eric Cantona, suo grande amico, a volerlo in squadra) e addirittura, con i Red Devils fu in grado di scendere in campo per ben due partite prima di esser rispedito nel campionato francese. Il calcio italiano si accorge delle sue (in)capacità di difensore già in occasione del suo esordio in campionato: il Napoli va a Roma e ne prende sei dai giallorossi di Zeman, Prunier risulta il peggiore in campo (impresa ardua da raggiungere visto il livello dei compagni) e viene ironicamente definito dai giornalisti come “un giocatore forte e statico come una quercia”.  L’episodio che avrebbe dovuto convincere il buon Ferlaino a desistere dall’acquisto del francese è il seguente; siamo nel 1993 e Prunier gioca nelle fila dell’Auxerre. Alla seconda di campionato la squadra francese affronta il Monaco guidato dall’attaccante tedesco Jurgen Klinsmann. Nei giorni precedenti alla gara, Prunier pensa bene di minimizzare la forza del ‘panzer’ tedesco rassicurando tutti a mezzo stampa: “Non mi fa paura, so come fermarlo”. Morale della favola, quella partita vide il Monaco vincere 4 a 0 e indovinate chi segnò le quattro reti dei monegaschi? Fu proprio l’ex interista Klinsmann. La vergogna provata da “la Prune”  ( soprannome del calciatore che in francese significa ‘la prugna’) per la prestazione offerta fu grande e insostenibile, tanto che Prunier convocò una conferenza stampa in cui dichiarava che avrebbe lasciato la Francia e, probabilmente, anche il calcio giocato. Peccato che quelle parole, purtroppo per i tifosi del Napoli, non furono seguite dai fatti.   

 

2 - IGOR PROTTI 

Tra i tanti ‘abbagli’ presi dal presidente Corrado Ferlaino in quel dissennato campionato 1997/98 c’è sicuramente l’acquisto di questo ‘bomber di provincia’. Il suddetto appellativo spiega perfettamente la storia calcistica di Protti; una carriera caratterizzata da tante reti siglate in squadre minori come Bari e Livorno, dove riesce a guadagnarsi rispettivamente il soprannome di ‘Zar’ e ‘Re’. In quelle realtà dimostra di avere il gol nel sangue e, infatti,  vince la classifica cannonieri in ben tre categorie diverse (Serie A, B e C); i numeri collezionati in “provincia” gli permettono di indossare (udite udite) la ‘santificata’ numero 10 del Napoli. Il giorno del suo acquisto, il Corriere dello Sport ha il coraggio di pubblicare un articolo in cui è presente una foto di Maradona con l’indice rivolto verso un’altra istantanea raffigurante proprio Igor Protti; il tutto a voler rappresentare una sorta di passaggio di consegne extra temporale tra i due. I paragoni estivi lasciano spazio alla realtà dei fatti sin dalle prime giornate. Protti, infatti, dimostra da subito di esser un calciatore sul viale del tramonto: in campo si regge a malapena in piedi e il San Paolo non perde occasione per bersagliarlo con cori di scherno. Unica nota lieta (per lui e per i tifosi azzurri) è il gol del 2 a 2 segnato contro la Juventus al Delle Alpi. 

1 - JOSE LUIS CALDERON 

Arriviamo, finalmente, al gradino più alto del podio. E chi se non ‘El Caldera’ Calderon poteva aggiudicarsi la palma di ‘Top Bidone’  del Napoli anni ’90. Con il suo acquisto, il presidente Ferlaino superò le più ‘marronee’ aspettative dei tifosi napoletani. L’attaccante argentino venne prelevato dall’Indipendiente per 7 miliardi di lire, una spesa non indifferente giustificata dalle 30 reti siglate nel campionato argentino da questo ‘corpulento’ attaccante sudamericano. Nonostante i chili di troppo con cui si presenta nel ritiro del Napoli, Calderon fa capire a tutti che la modestia non è una qualità che gli appartiene: “Sono qui per vincere tutto quanto è possibile. So che in Italia il grande Angelillo fece 33 reti, io punto a battere il suo record ma, tutto sommato, mi accontento di mettere a segno anche solo 30 gol”.  In patria è considerato al pari di Balbo e Batistuta, tanto che il ct dell’albiceleste Passarella lo convoca per la Coppa America e, per di più, lo fa partire titolare nella gara d’esordio dell’Argentina. Un errore grave che non verrà ripetuto nelle successive partite. Peccato che fu il solo Ferlaino a non rendersi conto dell’errore madornale che stava facendo con  l’acquisto di Calderon. El Cladera riuscì a totalizzare solo sei presenze in campionato e, suo malgrado, si rese protagonista di un episodio spiacevole insieme al compagno Bellucci; durante un Bologna-Napoli, infatti,  i due compagni si contendono la battuta di un calcio di rigore. Inscenano un litigio come accade al parco tra i bambini fino a che, l’attaccante romano, decide di risolvere la disputa sputando in faccia al malcapitato Calderon. Bellucci, alla fine, sbaglierà quel rigore e il Napoli perderà ben 5 a 1.  Durante la sessione invernale di calciomercato, la società azzurra pensa bene di rivenderlo all’Indipendiente per 2 miliardi; il calciatore fu contento di ritornare nella madre patria (ed anche i tifosi del Napoli lo furono) ma, prima di lasciare l’Italia, dichiarò: “Non mi è stata data la possibilità di dimostrare le mie capacità. Anche Balbo, Crespo, Batistuta hanno avuto bisogno di 6 – 7 mesi di tempo per ambientarsi. Persino uno come Maradona ebbe problemi nel primo anno di Napoli. Io sono stato bocciato subito, senza prova d’appello”. ‘D10S’ perdonalo, poiché non sa quello che dice.