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Il caso “Cuties” è colpa del marketing di Netflix?

Una controversia immotivata che parte da premesse più che motivate

Il caso “Cuties” è colpa del marketing di Netflix? Una controversia immotivata che parte da premesse più che motivate
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
Poster originale di 'Mignonnes' vs. Poster del film su Netflix

Uno degli ultimi titoli del catalogo Netflix è un film francese, vincitore del premio alla regia del Sundance Film Festival, di nome Cuties, titolo originale Mignonnes. Il film è stato presentato su Netflix lo scorso 9 settembre e, nonostante le molte critiche positive, è stato circondato da una furiosa controversia dovuta alla strategia con cui Netflix ha deciso di pubblicizzarlo sul mercato. Il film parla di un’undicenne francese, emigrata dal Senegal, che si unisce a una troupe di danza andando contro i valori della propria famiglia musulmana. I temi del film riguardano l’emporwent e la scoperta di sé, oltre che dipingere un quadro del dissidio culturale fra immigrati di prima e seconda generazione sullo sfondo della banlieue parigina. Fin qui, nulla di grave. Se non fosse che Netflix, nel promuoverlo sui propri social, abbia deciso di mostrare le protagoniste in pose provocanti sul poster (cambiando quello originale, che era parecchio più innocente) e dando al film una sinossi ambigua e suggestiva che lo fa sembrare più provocante di quanto non sia in realtà:

«Amy, 11 anni, rimane affascinata da una troupe di twerking, Nella speranza di farne parte, inizia a esplorare la sua femminilità, andando contro le tradizioni della sua famiglia».

Poster originale di 'Mignonnes' vs. Poster del film su Netflix

Il tribunale di Internet, con la sua consueta irruenza, ci ha messo poco a farsi sentire, bollando il film come pro-pedofilia e invocando la cancellazione di Netflix. Il polverone sollevatosi dalla questione, sebbene immotivato data la natura del film, parte da premesse corrette: non è infatti il film in sé a sessualizzare le proprie protagoniste minorenni, ma è stato il dipartimento marketing di Netflix a volerlo vendere come un film provocante. A favore del film, contro cui molti utenti Netflix si sono scagliati direttamente, è intervenuta persino Tessa Thompson che era presente alla premiere del film allo scorso Sundance Film Festival e aveva detto del film in un tweet:

«Cuties è un film meraviglioso. Mi ha lasciata senza parole al Sundance. È un film con un volto nuovo al timone. [Maïmouna Doucouré, la regista, ndr] è una donna nera Franco-Senegalese che parla della sua stessa esperienza. Il film è un commento sulla iper-sessualizzazione delle ragazze preadolescenti. Sono delusa dal vedere come se ne parla».

A questo tweet, Thompson ne ha fatto seguire un successivo in cui incolpava (indirettamente) il marketing di Netflix di aver suscitato la controversia e affermando di comprendere i motivi per cui il pubblico era rimasto basito. Il fatto che Netflix abbia commercializzato un film che critica l’iper-sessualizzazione delle ragazze più giovani sessualizzando le sue giovani protagoniste possiede in effetti una certa ironia tragica. Tutte le critiche piovute sulla release, dunque, sono critiche di chi non ha visto il film – basterebbe in fondo guardarlo per capire di cosa parla, considerato anche come non solo il film sia diretto da una donna (fatto significativo dato che commenta sul modo in cui le giovani donne sono trattate dalla società odierna) ma che quella stessa donna ha vinto il premio della regia in uno dei festival cinematografici più importanti del circuito internazionale e ora ha ricevuto minacce di morte oltre che infiniti attacchi verbali diretti solo per la pessima decisione di un team di marketing dall’altro lato dell’Oceano Atlantico. 

La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré
La regista del film, Maïmouna Doucouré

Il problema della sessualizzazione dei minori al cinema e in tv esiste da decenni, come ben documenta Francesco Abazia nel suo articolo su Millie Bobby Brown pubblicato in Rolling Stones. Si capisce francamente poco però il motivo per cui un film come Cuties debba subire tanti lanci di pietre quando la pellicola polacca 365 Days, che glamorizza apertamente l’abuso sessuale (per non dire il sequestro di persona), è stata fra le più viste nella Top 10 di Netflix della scorsa estate tanto in Italia come nel resto del mondo. Colpisce inoltre il fatto che la cancel culture abbia tempestivamente decretato il boicottaggio di Cuties quando, su una app popolare come TikTok, l’iper-sessualizzazione di minorenni di entrambi i sessi è un fenomeno che avviene quotidianamente, tanto da indurre il The Sun a definire la app «una calamita per pedofili». Il quotidiano Telegraph lo scorso luglio ha rivelato poi in un reportage come i pedofili colti a mandare messaggi a utenti minorenni vengono bannati dall’app solo per una settimana – rendendo virtualmente inefficace ogni misura di sicurezza.

Come al solito il tribunale di Internet ha emesso la sua sentenza con fretta e superficialità – ma a differenza di molte altre polemiche, questa era condotta con lo spirito giusto. Il popolo di Twitter e Instagram fa bene a muovere guerra contro il fenomeno dell’iper-sessualizzazione dei minorenni – dovrebbe solo scegliere con più cura le proprie battaglie.