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Ha davvero senso la candidatura di Kanye alle presidenziali USA?

nss lo ha chiesto a Francesco Costa, vicedirettore del Post ed esperto di politica americana

Ha davvero senso la candidatura di Kanye alle presidenziali USA? nss lo ha chiesto a Francesco Costa, vicedirettore del Post ed esperto di politica americana

Il 4 luglio del 2020, durante la festa per l’Indipendenza americana - una ricorrenza che gran parte della comunità afroamericana non riconosce, preferendogli invece Juneteenth, il giorno in cui si celebra la fine della schiavitù - Kanye ha annunciato di nuovo la sua candidatura alla Casa Bianca, sempre per il 2020, ricevendo peraltro il supporto di Elon Musk. Era il 31 agosto del 2015 quando Kanye West ha annunciato - per la prima ma non ultima volta - la sua candidatura alla Casa Bianca per le elezioni del 2020. Da quell’annuncio ne sono successe di cose, a Kanye e alla Casa Bianca: Ye è stato prima ricoverato per un mental breakdown, poi è tornato annunciando un inaspettato supporto a Donald Trump, che nel frattempo era diventato il Presidente degli Stati Uniti.

Nonostante sia stata istantaneamente ripresa dai media di mezzo mondo, la notizia della candidatura di Kanye alla Presidenza è, molto probabilmente, una non-notizia

Ad oggi non risulta ancora nessun Kanye Omari West iscritto al FEC, la commissione elettorale federale degli Stati Uniti che regola la legislazione dei finanziamenti delle campagne elettorali. Hunter Schwartz, ex giornalista della CNN, ha fatto notare come oggi sia troppo tardi per presentare una candidatura da indipendente in ben 7 stati (tra cui alcuni molto importanti, come il Texas). Ovviamente infatti, la candidatura di Kanye dovrebbe essere presentata da indipendente, essendo concluse virtualmente e fisicamente le primarie di entrambi i principali partiti politici americani, quello Democratico e quello Repubblicano. 

Nessuno sa quali potrebbero essere le idee politiche di Kanye: dall’appoggio a Trump alla sua celebre e infelice uscita sulla schiavitù, dal supporto per la scarcerazione di ASAP Rocky a quello per le battaglie sociali di Kim Kardashian, raramente abbiamo avuto la possibilità di ascoltare dalla bocca di Kanye le sue poche, e confuse, idee politiche.  Fino a qualche settimana fa, l’unica eccezione era rappresentata da un’intervista con Charlamagne tha God, in cui definì la sua eventuale piattaforma politica come «la campagna di Trump e forse i principi di Bernie Sanders. Sarebbe un mix». Poi è arrivata la lunga intervista a Forbes, in cui Kanye ha espresso diverse opinioni molto controverse, vicinissime comunque a quelle di un ultra-conservatore religioso. 

Ma se la candidatura di Kanye alle elezioni del 2020 è, praticamente, impossibile, c’è qualcosa che possiamo imparare da questa faccenda? Con questa premessa nss magazine ha intervistato Francesco Costa, vicedirettore del Post e autore del libro Questa è l’America, oltre che del progetto giornalistico Da Costa a Costa. Costa è uno dei principali esperti italiani di politica americana, e quella che segue è una conversazione sulla storia e i principi del sistema statunitense che parte da Kanye ma finisce in discorsi più certi e probabili. 

Dal principio: cosa serve, oltre un tweet, per candidarsi alla Presidenza?

Sicuramente serve avere un comitato politico. Ovviamente è il comitato politico che fa la campagna elettorale, quindi una candidatura comporta tutta una parte burocratica di cui fa parte appunto formare il comitato, assumere delle persone - e cioè consulenti, funzionari, strateghi - che si occupino della campagna. Alcuni a livello centrale ma poi anche a livello locale, persone sul territorio, qualcuno che organizzi i comizi, gli incontri e tutto il resto. 

Esistono esempi di candidature “stravaganti” che sono riuscite a rosicchiare qualche voto ai candidati Democratici o Repubblicani? E che tipo di candidature erano: folli come sarebbe eventualmente questa, o più serie?

Le candidature più famose, in tempi recenti, come indipendenti sono due. Quella di Ross Perot, che si candidò nel ‘92 e poi nel ‘96 sottraendo qualche voto a Bush. Perot era un imprenditore, una sorta di prototipo di Donald Trump: quindi molto ricco, molto populista, evidentemente di destra per quanto privo dell’appariscenza di Trump. Nel ‘92 prese circa il 20% dei voti, nel ‘96 molti meno, attingendo soprattutto ai conservatori e quindi indebolendo la posizione di George Bush padre. L’altra candidatura famosa in tempi recenti è quella nel 2000 di Ralph Nader, un attivista ambientalista che prese molto poco - intorno al 4/5%. Le elezioni del 2000 erano state comunque delle elezioni particolari, quelle del riconteggio in Florida, decise davvero da pochissimi voti, e quindi si può pensare che Nader sia stato in qualche modo decisivo. 

Furono però due campagne “vere”, annunciate almeno un anno prima del voto, con un comitato politico in tutti gli stati, con un candidato che faceva tre comizi al giorno in diverse città d’America, con gli spot elettorali. Furono due campagne elettorali che per quanto perdenti - perché oggi, di fatto, un candidato indipendente non può vincere nel sistema americano - ebbero delle grosse conseguenze politiche. 

Quello di Kanye sarebbe l’esempio più eclatante di candidatura di una celebrity. Negli ultimi giorni si è parlato delle candidature di Reagan e Schwarzenegger come altri esempi di candidature di persone senza background politico. I due però non erano esattamente Kanye quando si sono candidati…

Anche Trump se vogliamo è una celebrità prestata alla politica. La fama è un’arma molto potente perché permette a una persona, in un paese che è grande più della Cina e in cui vivono 320 milioni di persone, di essere riconosciuto, di non doversi presentare agli americani come i politici alle prime armi. Il punto è: sei conosciuto per cosa? Reagan e Schwarzenegger erano due attori, due persone di successo, e i ruoli che avevano interpretato avevano dato loro una certa immagine che poi loro hanno sfruttato in sede elettorale, anche se poi quella era un'immagine fittizia, finta. Questo è molto valido per Trump: Trump è un imprenditore che non è particolarmente ricco per gli standard americani, soprattutto non è per niente di successo. Trump ha fatto bancarotte su bancarotte, ha fatto fallire dei casinò, non è un imprenditore di successo per nessuno standard odierno. E’ un immobiliarista come tanti altri. Avendo fatto per 10 anni “The Apprentice”, il reality show di successo dove lui insegnava agli altri come fare business, per 10 anni lui ha potuto godere di una trasmissione televisiva che gli ha dato una immagine dell’uomo di affari spietato, senza scrupoli, efficientissimo, che non era sua, ma che lui ha molto utilizzato, perché Trump in campagna elettorale si è presentato come il Trump di The Apprentice. La celebrità dunque è un grosso veicolo di popolarità anche politica, però  Kanye cosa ha costruito negli ultimi anni,  un'immagine che dal punto di vista politico gli può portare dei vantaggi? Un'immagine di efficienza? Di idee creative per risolvere problemi complicati? La celebrità può essere importante, ma dipende per cosa sei celebre. 

Kanye non ha mai mostrato un vero e proprio attivismo politico, se non quando andrò contro George W Bush per la gestione dell’uragano Katrina e recentemente per la vicinanza a Trump, da cui si è poi staccato. Quando è cominciato il gioco di indovinare a chi Kanye potrebbe sottrarre voti, da una parte c’è chi ha detto che li avrebbe senza dubbio sottratti a Trump, perché i Candace Owens di questo mondo lo avrebbero votato e supporto, e chi invece ha detto che di certo li avrebbe sottratti a Biden, portandogli via tutti i voti degli afroamericani. 

Quanto è giusto, ad oggi, rappresentare gli elettori neri come un unico blocco monolitico?

Se fosse così, il candidato del Partito Democratico sarebbe sempre nero, perché gli afroamericani votano in gran parte per il partito Democratico - non perché siano tutti di centrosinistra ma perchè è l’unico partito che gli da rappresentanza e ascolto. Eppure il candidato del partito Dem è stato nero solo una volta. Poi, che un pezzo di quell’elettorato possa essere attratto da una candidatura diversa da quella di Biden, perché demografia, per temi, per età, ci può stare. Così come ci può stare che Kanye West - perché ha espresso delle parole di sostegno per Trump, oltre ad averlo sostenuto in una riforma delle carceri americane insieme a sua moglie - potrebbe togliere voti da lì. Il punto è che il voto per un personaggio come Kanye sarebbe in qualche modo un voto di protesta, come fu per Trump. Questo turno elettorale a me non sembra un turno da voto di protesta, con la pandemia, la peggiore crisi economica da cent’anni. Chi vota è mosso da esigenze più “terrene” del voto di protesta. Quindi, Kanye o non Kanye, non credo che questa tornata elettorale sarà caratterizzata da un voto di protesta.