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Che fatica essere Pete Davidson

Il comico del SNL è protagonista di 'The King of Staten Island'

Che fatica essere Pete Davidson Il comico del SNL è protagonista di 'The King of Staten Island'

Se lo vedete sul palco del suo special Netflix Alive from New York, Pete Davidson somiglia a quel compagno di classe sempre pronto a far ridere tutti. Non ha la forza dialettica di Dave Chapelle o la cattiveria di Ricky Gervais, ma dall’alto dei suoi 26 anni Davidson mette sul palco, così come nella vita, tutta la sfrontatezza di chi lì sopra ci è finito un po’ per caso.

Nel cast del Saturday Night Live dal 2014, uno dei più giovani a far parte dello show, Davidson deve parte del suo successo al regista Judd Apatow e a Bill Hader. Se il primo aveva deciso di ingaggiarlo per un piccolo ruolo in Trainwreck (su consiglio di Amy Schumer), è stato Hader a raccomandarlo a Lorne Michaels, creatore dell’SNL. Nonostante l’ingresso da record e il successo del suo segmento Weekend Update, l’impiego di Davidson negli sketch del programma comico non è mai stato il massimo, come detto dallo stesso Pete durante il suo special. Sarà forse per quella volta in cui ironizzò sulla benda del senatore repubblicano Dan Crenshaw paragonandolo al “sicario di un film porno”, o forse per quella volta in cui prese in giro Kanye West con lo slogan “Make Kanye Great Again”.

E se Davidson è stato poi costretto a pagare per la battuta su Crenshaw con delle scuse ufficiali, lo stesso si può dire per quanto fatto con West. Letteralmente. Ospite di Kid Cudi per la sua festa di compleanno da Nobu, Davidson aveva deciso di pagare per quelli che pensava fossero gli unici tre ospiti della serata: lui, Cudi e Timothée Chalamet. Non aveva però fatto i conti con l’arrivo a sorpresa di Kanye, che oltre a chiedere la saletta privata decise di prendere “qualcosa di speciale, qualcosa che non è nemmeno nel menu”. Conto alle stelle. 

Poco importa, perché l’amore di Davidson nei confronti di Cudi non è certo un segreto. Tutt’altro. La passione per l’autore di Pursuit of Happiness è forse uno degli aspetti più forti della vita di Pete, che non ha mai perso l’occasione di definire Kid Cudi “il più grande rapper mai esistito”. Dopo aver perso il padre durante l’11 settembre Pete Davidson ha combattuto a lungo con depressionemanie di suicidio, come ha spiegato più volte nel corso degli anni. “Mi sarei ucciso. Assolutamente al 100%. Penso seriamente che se Man on the Moon non fosse uscito, io non sarei qui”, facendo riferimento al disco di Cudi uscito nel 2009. Un discorso tornato d’attualità anche lo scorso anno, quando Davidson scrisse sul suo account Instagram di non voler vivere più su questo pianeta, decidendo poi di chiudere il suo profilo social. Conseguenze della sua rottura con Ariana Grande dopo uno dei fidanzamenti più rapidi e improbabili di Hollywood. Dopo essersi conosciuti sul set del Saturday Night Live, i due iniziarono a frequentarsi sempre più assiduamente, arrivando ad ufficializzare il proprio fidanzamento e la convivenza dopo pochissimi mesi. Davidson dal canto suo aveva affrontato la relazione nel migliore dei modi, affidandosi alla sua impulsività punk per tatuarsi il cognome di Ariana, il suo logo del coniglio e la frase “Mille tendresse”, un riferimento al film Colazione da Tiffany già presente sul collo della cantante. Per conoscere l’epilogo della relazione vi basta sapere che proprio quest’ultimo tatuaggio è stato coperto con un altro, un enorme “Cursed” scritto in stampatello. 

Non sappiamo bene a quale maledizione faccia riferimento Davidson: se a quella sulle false aspettative sulle sue doti sessuali dopo le frasi di Ariana Grande (cercate Big Dick Energy se proprio siete curiosi) o se a quell’attitudine autodistruttiva che ti permette di uscire a pezzi dalla relazione con una delle più grandi popstar in vita. Ma c’era da aspettarselo, perché nonostante il braccialetto con le iniziali AGD (Ariana Grande Davidson) e gli articoli che li definivano “a perfect fit”, vederli assieme è sempre stato difficile. Lei con il suo portamento da reginetta pop e lui con il suo look da Scumbro, così come l’aveva definito Vanity Fair due anni fa. 

Ignorando l’appellativo di “First Couple of Streetwear” datogli da Rachel Tashjian, non serviva certo la presenza di Ariana Grande per mettere sotto i riflettori l’attitudine street di Davidson. Se street si può definire. Diretta evoluzione del normcore, lo Scumbro è quell’hypebeast che mixa brand come Supreme e Palace ad altri da “Vermont mom” come REI e Patagonia. Unire una t-shirt vintage con un paio di slides Gucci, riunire nello stesso outfit Demna Gvasalia, Virgil Abloh e il vostro mercatino dell’usato di fiducia. Pete Davidson si è trasformato senza volerlo in un’icona di stile, un ”fashion It boy” che non corre il rischio di diventarlo davvero secondo Lawrence Schlossman, brand director di Grailed che da anni spia gli outfit di celebrities come Jonah Hill, Shia Labeouf e Davidson. Ma se i primi due per Schlossman hanno abbracciato il loro status di fashion icon, Davidson porta avanti la sua filosofia di vita anche nell’abbigliamento, "I dress how I dressed when I was, like, 10”. 

In realtà l’approccio infantile alla vita non è una novità per Pete, che a soli 26 anni si è trovato ad affrontarlo in quello che potrebbe essere definito il suo biopic. The King of Staten Island, il film diretto da Judd Apatow e scritto da Apatow insieme allo stesso Davidson, racconta proprio la difficoltà e la paura di crescere e uscire fuori dalla propria confort zone. E poco importa se il protagonista si chiama Scott e non Pete, quella che vediamo sullo schermo è la crescita di Davidson fuori dal mondo patinato fatto di outfit e relazioni con le star. Un ritorno al seminterrato nella casa della madre (con cui tuttora vive), Kid Cudi come ancora di salvezza e l’enorme difficoltà nell’essere se stesso. Pete Davidson, Re di Staten Island.