Vedi tutti

FUCT ha vinto la sua battaglia sul copyright

L'O.G. brand di Erik Brunetti ha portato il caso di copyright fino alla Corte Suprema americana

FUCT ha vinto la sua battaglia sul copyright L'O.G. brand di Erik Brunetti ha portato il caso di copyright fino alla Corte Suprema americana

*** AGGIORNAMENTO ***

La Corte Suprema americana ha dato ragione a Erik Brunetti: FUCT potrà essere registrato legalmente come brand. Il tribunale si era precedentemente pronunciato contro il marchio nel 2011 che a causa della natura "immorale" e "scandaloso" non poteva essere registrato legalmente presso all'US patent and trademark office.

 

Prima di Supreme, di Virgil Abloh e dello streetwear, c'è stato un brand che inventò negli anni '90 la tendenza e l'estetica che domina oggi la cultura globale.
Non sentitevi in colpa se non lo conoscete, il loro obiettivo era proprio quello: essere avanguardia, davanti a tutti da passare inosservati. Sto parlando di FUCT e del suo creatore Erik Brunetti.

Dai rip-off dei loghi delle grandi corporate fino ai fit baggy e alle graphic tee, dal 1990 FUCT ha battuto la strada per lo streetwear contemporaneo. La maggior parte dei trend che oggi spopolano nel mainstream global sono infatti riconducibili alla mente di Brunetti. Ma l'unico aspetto di FUCT che è stato perso dallo streetwear contemporaneo è forse il più importante: la sua autentica narrazione controculturale, che gioca brillantemente con la cultura pop per criticare ferocemente il capitalismo e la società americana.

 

Visualizza questo post su Instagram

Tag tha brands that stay biting

Un post condiviso da FUCT (@fuct) in data:

Oggi il mercato è saturo di magliette con grafiche edgy, frasi provocatorie e riferimenti spicci alle controculture del passato, per questo Brunetti ha deciso di combattere una battaglia diversa, cercando di registrare legalmente il marchio. Come il resto della produzione artistica e commerciale di Brunetti, ha iniziato l'iter legale nel 2011 senza proclami e prime pagine, essendosi sempre definito uno da "dietro le quinte".
I tribunali americani per ora hanno sempre rifiutato la sua registrazione in quanto "scandaloso", ma Brunetti non si è arreso arrivando ad appellarsi alla Corte Suprema - il più alto grado della giustizia americana - che ha accolto la sua pratica e ora deciderà se concedere la registrazione del marchio a Brunetti.
Come per il caso Supreme NY vs Supreme Italia, i tribunali e le registrazioni del marchio stanno assumendo un ruolo nuovo e un peso più rilevante nel mercato: ma se per Supreme è una questione di business, per Brunetti è una questione ideologica, un'altra delle sue battaglie.

  

L'influenza di FUCT sullo streetwear mondiale

Se Brunetti e Natas Kaupas avessero fondato FUCT nel 2018, sarebbe stato solo un altro brand street che cerca di sgomitare nel mercato rubbacchiando idee un po' di là e un po' di qua. Ma quando FUCT fu fondato era il 1990 e neanche a Los Angeles esisteva la parola Streetwear.
Il nome giocava con l'assonanza con la parola fucked ("fottuto") ma le iniziali stavano per “Friends U Can’t Trust” (amici di cui non ti puoi fidare). Fin dalle prime creazioni, Brunetti mise in chiaro l'estetica ironicamente anti-sistema di FUCT: ispirandosi ad Andy Warhol, inaugurò la stagione del rip-off dei loghi di grandi aziende e still da film iconici. Il più famoso fu quello di Ford, ma tra le vittime finirono tra gli altri Fila, Pirelli, Nike, Carhart, Planet of the Apes e Apocalypse Now. Non si tratta solo di un furto provocatorio, ma di un'appropriazione che porta dentro di sé le critiche sociali disilluse e post-capitaliste della fine degli anni '80.

L'estetica di Brunetti - che fino agli anni '80 si era dedicato ai graffiti - colpì gli occhi più attenti nel mercato: James Jebbia - fondatore di Supreme - iniziò a vendere il brand da Union NYC e fu chiaramente una delle principali ispirazione di Jebbia sia nei design di Supreme che nell'ethos controculturale e arty-oriented del brand. Il carattere cangiante e adattabile del logo, fu utilizzato dal resto dell'industria come anche le grafiche sulle maniche, che Virgil Abloh riprese per OFF-WHITE.

Rimanendo fedele al carattere provocatorio del brand - che toccò vette inarrivabili come le magliette per commemorare la morte di Saddam Hussein o il rip-off del logo del gruppo paramilitare Esercito di Liberazione Simbionese - FUCT non è mai stato interessato ad entrare nel mainstream della moda aumentando la produzione e ammorbidendo la propria identità. Piuttosto Brunetti non risparmiò attacchi e sfottò più o meno diretti ai brand che hanno democratizzato lo streetwear: definì A Bathing Ape "A fuckin' joke", consigliò di fare i soldi come Virgil Abloh e ovviamente prese in giro Supreme con la loro stessa arma.

Visualizza questo post su Instagram

Do y’all want safety or nah?

Un post condiviso da FUCT (@fuct) in data:

 

La Libertà di dire FUCT

La storia del brand aiuta a capire il perché Brunetti stia da anni portando avanti la battaglia di registrazione del marchio. Non è per evitare falsi - che comunque esistono, ha detto in un'intervista con GQ USA - ma piuttosto una battaglia ideologica per la libertà d'espressione. FUCT non può essere registrato negli Stati Uniti per un cavillo legale dell'era Truman (che fu presidente tra il 1945 e il 1953) che vieta di registrare parole "scandalose" e "immorali". Brunetti - aiutato dall'avvocato John Sommer, che è anche un chief counsel di Stüssy - si sta appellando al primo emendamento della costituzione americana, cioè il diritto alla libertà di linguaggio.

 

Brunetti ha accumulato esperienza dai casi di logo rip-off in cui è stata coinvolta FUCT, difendendo sempre la possibilità di "appropriazione" di un brand, ma in questo caso si tratta più di un riconoscimento formale di quella che ormai è diventata la cultura dominante nell'estetica globale.
I brand come Supreme che hanno surfato sull'onda dello streetwear controculturale negli anni 90 e 00, e a differenza di FUCT sono entrati nel mercato globale, oggi si trovano in una scomoda posizione a cavallo tra il mainstream e l'underground. Nel caso di Supreme, per difendere la propria identità hanno lasciato spazio alla cultura del counterfeit e oggi scontano le conseguenze di un problema diventato molto più grande del previsto.

La battaglia legale di FUCT, non è solo fine a se stessa, aiuterebbe senza dubbio anche altri brand - tra cui Fuckin Awesome per esempio - che sono incastrati nella stessa situazione di limbo legale. 

La Corte Suprema americana ha accolto il caso di Brunetti e lunedì scorso ne ha discusso con le parti, la sentenza è attesa per quest'estate e sarà forse l'ultimo spettacolare gesto di FUCT. Nel dubbio Brunetti ha già fatto la maglietta: Fuct is free speech. Free speech is Fuct™.