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Tutto quello che ci ha lasciato Non è la Rai

Torna in tv la trasmissione cult che ha segnato gli anni Novanta italiani

Tutto quello che ci ha lasciato Non è la Rai Torna in tv la trasmissione cult che ha segnato gli anni Novanta italiani

In questo periodo di quarantena il passato può essere un rifugio. Mediaset Extra, canale che dell’effetto nostalgia ha fatto il focus del proprio palinsesto, ha annunciato il ritorno di uno dei programmi cult della televisione anni ’90: Non è la Rai. A partire dal 13 aprile, ogni lunedì, dalle 21 alle 2 di notte, sarà possibile rivedere tutte le puntate più belle del programma ideato da Gianni Boncompagni e Irene Ghergo.

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Non è la Rai: come è iniziato?

Tra il 1991 e il 1995, Non è la Rai era l’appuntamento fisso dopo la scuola per milioni di teenager italiani. Poco meno di due ore, dalle 14 e 15 alle 16.00, durante le quali un gruppo di ragazze - aka le Spice Girls di Cinecittà - si esibisce davanti alla telecamera in giochi come lo zainetto o il cruciverbone (tra i momenti topici la truffa sventata in diretta), balla sulle note di Please don’t go, canta in quello che è stato definito “il più esemplare e sfacciato caso di playback mai mandato in onda sulla tv italiana”. È il primo programma fatto da teenager per teenager, il primo format di intrattenimento delle reti Fininvest (ora Mediaset) ad usare la diretta, il primo fenomeno interamente italiano degli anni ’90, trampolino di lancio per numerose attrici e showgirl, da Ambra Angiolini a Claudia Gerini, da Sabrina Impacciatore ad Antonella Elia

Il backstage

Dietro le quinte, a muovere i fili, ci sono Irene Ghergo e Gianni Boncompagni, uno che, con progetti come Alta fedeltà o Bandiera Gialla, ha inventato l'intrattenimento quasi da zero e ha avuto la brillante intuizione di mettere alla conduzione del programma una sedicenne con le auricolari nelle orecchie. L’autore e regista riguardo alla scelta di sostituire Paolo Bonolis con Ambra racconterà in seguito: 

Tutti credevano che io suggerissi le battute, invece le dicevo delle cose tremende, irriferibili, e lei doveva fare finta di nulla. 

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Lo show che rese famosa Ambra Angiolini

La Angiolini è la capoclasse, la ragazzaccia cresciuta troppo in fretta che fa il verso ai grandi, impertinente come solo a quell’età si può essere. È la lolita grunge che conversa con un diavoletto cartoon, incolla davanti alla tv schiere di spettatori curiosi di sapere cosa c’è nel suo zainetto, quella che chiama Umberto Eco collega, quella che canta, auto-riferita, con tanto di tee manifesto, The best di Tina Turner o l’hit generazionale T’appartengo (“ed io ci tengo e se prometto poi mantengo. M’appartieni e se ci tieni tu prometti e poi mantieni”), mentre, da casa, tutti ripetono gli stessi versi e persino il modo in cui la presentatrice scuote la testa facendo ricadere un ciuffo di capelli sull’occhio.

Ambra e il resto della crew sono seguite ogni giorno da 3 milioni di ragazzi che vedono in loro l’incarnazione del sogno proibito, il paradiso terrestre (come lo definisce Silvio Berlusconi) e ragazze che, con uno spirito emulativo mai così marcato fino ad allora, si identificano in Pamela Petrarolo, Emanuela Panatta, Ilaria Galassi e tutte le altre. È esattamente questo il vero segreto del loro successo: l’azzeramento della distanza tra chi la televisione la fa e chi la vede. Le protagoniste di Non è la Rai non sono teenager speciali, sono come noi, si vestono con gli stessi abiti di Phard e Onyx, ballano scoordinate e parlano come noi.

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Non è la Rai: le polemiche

Se da un lato il fenomeno inizia presto ad assumere proporzioni colossali, con orde di fans che ogni giorno aspettano di incontrare le lolite di Fininvest fuori dal centro Palatino, dall’altro si moltiplicano le polemiche che toccano l’apice quando in pieno clima elettorale Ambra, su suggerimento di Boncompagni, sottolinea che il Diavolo vota Occhetto e che il Padreterno vota Berlusconi. Tutti hanno qualcosa da ridire: da Famiglia Cristiana alle femministe che l’otto marzo del 1994 marciano al grido di “Non siamo ambranate, ma studentesse laureate” e persino Vasco Rossi che nel 1993 dedica alle fanciulle più famose della tv la canzone Delusa. Lo chiamano “programma-spazzatura”, “origine del Bimbominkismo”, esempio di "egemonia culturale-televisiva berlusconiana", “della propaganda a bassa intensità delle reti Mediaset”. In risposta, tempo dopo, Boncompagni sosterrà, fiero e ironico, di aver fatto una televisione “del vuoto pneumatico”, del nulla, ruffiana, opportunista, ma anche autenticamente pop.

"Faccio un programma privo di contenuti, non voglio lanciare nessun messaggio. Dicono che propongo “un insopportabile clima da gita scolastica in torpedone”. E allora? Cosa c’è di male? Sono d’accordo, solo che toglierei il termine insopportabile. E poi abolirei la parola volgare."

Già, perché le sue regole sono severe e se qualcuna sgarra viene rimandata a casa. Come in un collegio catodico dove tutte sono vestite uguali e devono avere un comportamento corretto, ma, allo stesso tempo, regna un clima gioioso, fresco, spensierato. Ancora oggi, a oltre 25 anni di distanza, quel blando inno alla femminilità diventato il maggiore fenomeno italiano del decennio nineties, con le sue protagoniste, antesignane della Britney Spears di Baby One More Time, è oggetto di culto e continua, grazie all’effetto nostalgia di quel periodo che spopola ovunque, da Instagram alle passerelle, a dettare trend che, se un tempo seguivamo pedissequamente, ora i millenials reinterpretano in maniera più personale. nss vi ricorda i più iconici.

Lo Zainetto

 

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Cosa c’è nello zainetto di Ambra? È questo il quiz che ha appassionato e fatto impazzire tutti in fan di Non è la Rai, prima che andasse di moda fra gli Youtuber la serie di video What’s in my bag. Chiavi? Quaderni? Make up? Calzini? Pentole? Fagioli? La domanda, a lungo senza risposta, assilla per mesi l’intera popolazione nazionale che, non riuscendo a trovare una valida soluzione all’arcano, reagisce facendo la fortuna dell’accessorio, oggetto irrinunciabile di ogni ragazzo che si rispetti. Se all’epoca a dominare il mercato sono Invicta e Seven, oggi funzionano marchi come Fjällräven e Herschel Supply che, con il loro DBA avventuroso, trasformano la città in una natura selvaggia da esplorare. Ah, dimenticavo, nello zaino di Ambra c’era il dizionario di sanscrito!

Phard, Onyx e il Non è la Rai style

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Ambra, Pamela, Laura e tutta la crew del programma erano le fashion blogger, le influencer degli anni ’90. Tutto quello che indossavano lo si poteva vedere addosso qualunque ragazzina: i jeans a vita alta, le camice legate in vita, le cravatte e le bretelle da uomo sulle canotte, gli shorts sotto gli abiti, le tutine corte stile bebè, le minigonne in jersey, i minidress stretch, spesso in velluto, e i crop top di Phard e Onyx (i brand più ambiti da ogni fashionistas in erba),…tutti capi tornati nell’armadio delle ragazze di oggi. 

Una curiosità: il potere delle protagoniste di Non è la Rai di influenzare lo stile delle coetanee era talmente grande che si vocifera non solo che i brand facessero a gara per vestirle, ma anche che dietro le quinte c'erano le redattrici di moda dell'editore Mondadori, mandate in spedizione per alimentare il culto del programma.

Merch

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Ora è normale. Anzi è un trend di cui personaggi famosi come Kim Kardashian hanno fatto un’arte, ma negli anni ’90 lo show di Boncompagni aveva capito molto prima di altri come sfruttare commercialmente il suo successo, fidelizzando gli spettatori inondandoli di gadget e merchandising: dischi, carte da gioco, t-shirt, poster e cards (spesso allegate a riviste giovanili come TV Stelle e Cioè), album di figurine o accessori per la scuola, come quaderni e diari. I risultati sono strepitosi, ad esempio T’appartengo, il primo disco solista di Ambra, ha 370 mila copie vendute, 100 mila solo nella prima settimana (11-17 novembre del 1994), tre dischi di platino, sesto in classifica per settimane. Una curiosità: la giovane presentatrice viene citata in diverse canzoni, Marco Giusti e Alberto Piccinini le dedicano un libro e Blob di Rai 3 un cartone animato.

Camp

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Uno degli ultimi temi scelti dal Met di New York è il camp, cioè l’amore per l’innaturale, l’artificio, l’eccesso che diventa sublimazione artistica del cattivo gusto. E quale miglior esempio di un gruppo di ragazze in sgargianti abitini stretch riprese in scene di ordinaria follia tra fiumi di lacrime e momenti di danza indemoniata su una hit tunz tunz? Boncompagni, parlando del fenomeno che per molti ha preparato il pubblico all’invasione di reality show e talent nei quali chiunque ha diritto ai suoi 15 minuti di popolarità, lo ha sempre dichiarato, la sua era una tv del “vuoto pneumatico”, del nulla, certo, ma creativo, gioioso, ironico, spensierato.

Teen power

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Lo abbiamo ripetuto più volte: con Non è la Rai per la prima volta nella storia nazionale c’è una televisione fatta da adolescenti che si rivolgono direttamente a loro coetanei, annullando, almeno in apparenza, lo schermo che li divide. Ma c’è di più. Quel filo diretto che sembra unire i due gruppi è talmente forte da scatenare un potere emulativo duplice: da un lato apre la strada ad un marketing e un mercato non solo indirizzato, ma direttamente influenzato dai più giovani; dall’altro è parte di un più ampio fenomeno di teen star. Ok, il programma Mediaset e le sue ragazze non hanno inventato nulla (mia madre direbbe "mai sentito parlare di Rita Pavone o Patty Pravo"? Io lo so, però spiegalo a un millenial…), ma prima di loro quello che mancava era la percezione della portata dell’evento nel momento in cui si verificava. Negli anni ’90 ce ne accorgevamo.