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The Americans Anatomy

Le ispirazioni dietro uno dei migliori thriller di spionaggio nella storia della TV

The Americans Anatomy  Le ispirazioni dietro uno dei migliori thriller di spionaggio nella storia della TV

È il 1981. Alla Casa Bianca c’è l’ex attore Ronald Reagan e gli U.S.A. sono sospesi tra boom economico e paura che la guerra fredda con i sovietici possa concretizzarsi in uno scontro aperto e globale. 

Philip ed Elizabeth Jennings vivono in un sobborgo residenziale di Washington, sono sposati da 15 anni, hanno due figli adolescenti, un’agenzia di viaggi e la maschera della perfetta famiglia americana ben appiccicata sulle loro facce e le loro vite.

Perché Philip ed Elizabeth in realtà sono Mikhail e Nadezhda, agenti segreti al servizio del KGB, membri del “direttorato S”. Nati, cresciuti e addestrati in Unione Sovietica con lo scopo di infiltrarsi negli Stati Uniti.

Il risultato è una doppia esistenza che provoca la frammentazione dell'identità personale che si spezza e ricompone continuamente, tra menzogne, alter ego, missioni segrete, delitti e suspense, un labirinto di incertezze, laceranti problemi morali, ideali per cui combattere, una miriade di travestimenti e parrucche, una soundtrack perfetta e un affresco degli anni ’80 mai sopra le righe.

Questi sono alcuni degli ingredienti di The Americans, serie tv di FX interpretata da Matthew Rhys e Keri Russell, giunta quest’anno alla sesta e ultima stagione. 

La drammatica epopea dei coniugi Jennings, creata dallo showrunner Joe Weisberg (un ex ufficiale della CIA), non è solo uno dei migliori thriller di spionaggio mai messi in onda, ma è anche la storia di un matrimonio, di due persone costrette a portare avanti una finzione nella finzione che lentamente si trasforma in realtà.

Qualcuno ha scritto che lo show è “un prodotto fra i più densi, raffinati e narrativamente potenti del panorama televisivo” e noi lo confermiamo, suggerendone il recupero e il binge-watching.

Perché con The Americans la Guerra Fredda non è mai stata così cool. 

 

Feel like: Robert Frank

The Americans non è solo il titolo di una bellissima serie tv ambientata nel periodo della Guerra Fredda, è anche quello di un lavoro seminale della storia della fotografia, opera di Robert Frank.

Nel 1955 l’artista, definito dal New York Times “il più influente fotografo in vita”, su incoraggiamento del suo maestro Walker Evans, chiede una borsa di studio alla Fondazione Guggenheim: la ottiene e utilizza il denaro per realizzare un progetto che cambia il modo di concepire i reportage. 

Frank viaggia per un anno a bordo di una Ford Business Coupe, fotografando le strade, i volti, le piazze, i bar e i negozi di 48 stati degli Stati Uniti.

Tra le oltre 27 mila fotografie scattate, ne sceglie 83 in bianco e nero e le raccoglie nel libro The Americans pubblicato negli Stati Uniti nel 1959, con una prefazione dello scrittore Jack Kerouac.

Frank immortala un territorio e i suoi abitanti “che molti americani non potevano o non volevano vedere: un paese triste, difficile, diviso, più malinconico che eroico”.  Sul New York Time Magazine, Nicholas Dawidoff  scrive che il lavoro del creativo mostri “cosa significa essere poveri o ricchi, innamorati o soli, giovani o anziani, bianchi o neri, lavorare troppo o dormire in un parco, fare politica o pregare”.

I suoi ritratti sfocati, gli scatti mossi e i tagli apparentemente casuali sono, secondo Elliott Erwitt dell’agenzia Magnum, l’inizio di un nuovo tipo di fotografia “apparentemente sciatta, ma solo apparentemente, e molto emozionante”.

“Era un lavoro sconvolgente perché mostrava le cose com’erano”, spiega sul Guardian il giornalista Sean O’Hagan.

 

Dress like: Balenciaga by Demna Gvasalia

La maggior parte della gente quando pensa agli ’80, immagina capelli vaporosi, colori neon, spalline stile Frankenstein e make up deciso, una sorta di stereotipo esagerato, un ibrido tra qualche personaggio di un film di John Hughes e la copertina di un album del Culture Club. 

The Americans, però, non è ambientato nel Greenwich Village al culmine della scena punk, ma nella Virginia suburbana del 1981 e ha per protagonista una coppia di spie russe mimetizzata negli Stati Uniti come agenti di viaggio. Il che, tradotto in termini estetici, significa nessun eccesso o dettaglio che attiri troppo l’attenzione.

Per cercare di creare una serie di look autentici, Jenny Gering (28 episodi, 2013-2016) e Katie Irish (36 episodi, 2016-2018), che si sono avvicendate come costume designer nelle 6 stagioni dello show, hanno consultato ogni fonte possibile.

Nel comporre i vari outfit sono stati fondamentali i materiali vintage di eBay, Etsy e dei negozi di New York; film come Ordinary People, Fast Times a Ridgemont High o Eyes of Laura Mars; vecchie edizioni di Vogue, Playboy e Life; il catalogo di Sears; le pubblicità dell’epoca; gli annuari delle scuole superiori; vecchie foto di famiglia e persino immagini della Casa Bianca guidata da Reagan.

Così, nella serie i personaggi maschili (per lo più membri dell'FBI, diplomatici e businessmen) sono in giacca e cravatta, spesso completi a tre pezzi con silhouettes larghe.

Molto più eclettico è il guardaroba di Elizabeth Jennings.

"È una silhouette completamente opposta rispetto a quella che la gente considera essere "gli anni '80”. Volevo la fine degli anni '70, una donna forte primi anni '80, taglio classico, tessuti bellissimi, un look tipo Faye Dunaway, Charlotte Rampling - una specie di sexy senza cercare una donna troppo dura" - spiega Gering e continua – “…l'occasione per mostrare davvero le figure femminili e la bellezza sartoriale. Tutto è molto tattile - c'è un sacco di pelle e pelle scamosciata. E la tavolozza è adorabile, c'è pochissimo nero e grigio, è molto autunnale, molto terroso, molto ricco ..."

Il personaggio interpretato da Keri Russell indossa mom jeans, camicette di seta, lupetti, stivali alti fino alle ginocchia, soprabiti dalla linea maschile, catene dorate, alcuni pezzi vintage Gucci, Yves Saint Laurent, Valentino e Harve Benard.

I look che catturano veramente l’attenzione e vengono commentati dai fans stagione dopo stagione sono quelli usati come travestimenti.

Nel corso di The Americans, il reparto costumi ha creato oltre 120 pezzi per i diversi alias di Philip ed Elizabeth, dando vita a Patty, la venditrice di prodotti di bellezza Mary Kay; Brenda, la fashion buyer col taglio di capelli ispirato alla modella Linda Evangelista; il biondo Clark Westerfield, un investigatore degli affari interni che finisce per sposare la sua informatrice Martha; Stephanie, l’infermiera a domicilio con la permanente, i grandi occhiali da vista, i maglioni informi in pile e i pantaloni della tuta; il cowboy texano;…

Osservando tutti questi travestimenti, viene un solo grande dubbio: la Guerra Fredda è stata la causa del più grande boom di parrucche nella storia?

 

Think like: Deep Undercover: My Secret Life and Tangled Allegiances as a KGB Spy in America by Jack Barsky

Lo showrunner di The Americans Joe Weisberg cita come fonte d'ispirazione Deep Under Cover: My Secret Life and Tangled Allegiances as a KGB Spy in America, la storia di un uomo che ha lavorato per decenni sotto copertura come spia del KGB in America.

Albrecht Dittrich nasce nel 1949 nella Germania orientale. All’università si unisce al partito comunista e qui fa il suo primo incontro con il lato oscuro del comunismo, quando un misterioso uomo assunto dalla Stasi, la polizia segreta della Germania dell'Est, bussa alla porta del suo dormitorio e lo recluta per un programma di addestramento del KGB. Lo scopo? Un futuro sotto copertura a New York.

Nel periodo di training come spia l’uomo prende lezioni di inglese, cancellato il suo accento, studia ogni dettaglio della cultura americana, ma anche la crittografia, i metodi di sorveglianza e tutti gli altri “trucchi” che i Jennings usano nella serie tv.

Quando Dittrich arriva nelle Grande Mela, nell'ottobre 1978, ha 29 anni e una nuova identità: Jack Barsky. Dopo una laurea in sistemi informatici al Baruch College, trova lavoro nel dipartimento di tecnologia dell'informazione della Metropolitan Life Insurance Co. La sua “finta” carriera decolla e lo stesso quella nel KGB, fino al momento in cui accade la cosa più pericolosa di tutte: Barsky si innamora dell'America.

Scrive: "Le fessure della mia armatura ideologica cominciarono a crescere in spaccature spalancate".

Se volete sapere come procede la storia, dovete leggere il libro.

 

Sound like: Peter Gabriel We Do What We Told

Per sei stagioni consecutive, i music supervisors P.J. Bloom e Amanda Krieg Thomas hanno usato le canzoni come uno strumento primario nell'economia della narrazione e della messa in scena, riuscendo a rievocare un'epoca ben precisa.

Questa incredibile capsula del tempo ha suonato Fleetwood Mac, Queen, U2, Phil Collins, Roxy Music, Cure, Roberta Flack, Yazoo, Devo, Rolling Stones, Bauhaus e molti altri, ma nessun artista ha incanalato il complesso tono emotivo di The Americans come Peter Gabriel. Le sue canzoni Games Without Frontiers, Here Comes the Flood e Lay Your Hands on Me sono apparse in diverse puntate dello show, ma We Do What We Told, sentita nella premiere dell’ultima stagione, tratteggia perfettamente lo stato d’animo di Elizabeth Jennings.

La donna ha appena ricevuto le istruzioni da un'ala canaglia del KGB per contrastare i negoziati per la riduzione delle armi che si svolgono tra il governo di Reagan e i riformisti di Mikhail Gorbaciov e la canzone segue il suo viaggio verso casa.

Nel bagno dell’aereo, con al collo una pillola di veleno da inghiottire in caso di cattura, Elizabeth è tormentata. Non è sicura di volere fare quello che la Russia le chiede, ma è stata addestrata a obbedire per il bene del proprio paese. 

In sottofondo la voce di Gabriel ripete: “One doubt, one voice, one war, one truth, one dream”  ("Un dubbio, una sola voce, una guerra, una verità, un sogno") e “We do what we’re told” ("Facciamo quello che ci viene detto"), sottolineando la sequenza più riuscita dal punto di vista della diegesi musicale.

Questa particolare scelta è ancora più significativa se si considera che la canzone è stata ispirata dagli esperimenti condotti dallo psicologo di Yale Stanley Milgram per esplorare "il conflitto tra obbedienza all'autorità e coscienza personale”. Negli anni '60 lo studioso chiese a 40 uomini di diversa estrazione sociale e di età compresa tra 20 e 50 anni di insegnare degli abbinamenti di parole a degli "allievi" e successivamente a interrogarli su quello che avevano appreso. Gli "insegnanti" avevano a disposizione una pulsantiera con cui potevano infliggere all'allievo, come punizione per ogni errore, una scossa elettrica. 

Fortunatamente, gli shock non erano reali, ma sembravano esserlo e una grande percentuale di persone nello studio continuava a provocare dolore perché una figura autorevole aveva detto loro che dovevano farlo. 

 

Taste like: Caviale vs McDonald

Love like: The chemistry between Matthew Rhys and Keri Russell

The Americans è una delle serie più belle e sottovalutate degli ultimi anni.

Ha un’ottima sceneggiatura, una colonna sonora perfetta, un reparto costumi efficiente, un modo raffinato di descrivere i rapporti umani, in particolare le dinamiche interne ad un matrimonio. Ma non sarebbe stata così interessante senza Matthew Rhys e Keri Russell. La chimica tra i due attori è palpabile (tanto da essere sfociata in un reale rapporto d’amore), così come il loro talento. 

Senza Rhys, già famoso grazie a Brothers & Sisters, Philip non avrebbe avuto la stessa umanità, le stesse sfaccettature, che rendono il suo personaggio più di una spia.

E che dire della Russell? La Felicity della popolare serie tv anni ’90 prodotta da J.J. Abrams è diventata una donna bellissima, talentuosa e anche molto fashion (guardate i suoi look sul red carpet per verificarlo). Le sue microespressioni e i suoi silenzi danno corpo ad una donna spesso dura e anaffettiva, combattuta tra l’obbedienza ad un ideale inculcatole sin da bambina e la realtà in cui quella stessa illusione si sta frantumando davanti ai suoi occhi.