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L'estetica del potere negli outfit delle leader politiche

Da Giorgia Meloni a Michelle Obama, cosa indossano le donne di potere

L'estetica del potere negli outfit delle leader politiche Da Giorgia Meloni a Michelle Obama, cosa indossano le donne di potere

Il codice vestimentario ha spesso un chiaro scopo comunicativo. È sempre stato così e la moda lo sa, tant’è che sono innumerevoli gli esempi di designer che nel corso della storia hanno dipanato le questioni più varie: sociali, culturali, anche antropologiche e filosofiche. Questo potere degli abiti non è solo sfruttato a livello di storytelling, di analisi o di critica, ma viene anche adoperato per esprimere leadership, come avviene nel mondo politico. E se i politici (uomini) fanno fatica a distinguersi tra pile di completi blu, le donne di potere sono invece più libere, almeno sotto il profilo estetico, di manifestare eventuali prese di posizione o specifiche ideologie, proprio attraverso la scelta del look. “Il Signor Presidente del Consiglio” Giorgia Meloni sembra averlo compreso molto bene, fin dalle prime cerimonie che hanno seguito la sua vittoria elettorale. A partire, infatti, dal giuramento del Consiglio dei Ministri avvenuto davanti al Presidente della Repubblica al Quirinale, la Presidente ha sfoggiato look evidentemente maschili, e continua a farlo senza alcun tipo di accenno al suo essere donna. Un appiattimento verso un patriarcato radicato, un modo per inviare un messaggio univoco che possa tranquillizzare tutti gli uomini che la circondano (ovviamente in numero maggioritario) e la ossequiano, rassicurati dalla sua presenza “camuffata” che non intaccherà più di tanto il volere patriarcale. Completi scuri con camicie in tinta o bianche rigorosamente senza fronzoli, décolleté in suede, frequentemente sostituite da stringate maschilissime: l’uniforme di Giorgia Meloni con fare camouflage si mimetizza senza dare mai nell’occhio, anche quando veste Armani. 

Essendo la prima donna Presidente del Consiglio nella storia della Repubblica Italiana ci si sarebbe aspettati da lei un comportamento un po’ più fiero di questo primato, specie considerato il suo passato di gonne lunghe, bluse svolazzanti, tailleur monocromatici dal rosso accesso al rosa cipria e fedele paio di sneaker McQueen, che era solita indossare durante le sedute in parlamento. Se durante la campagna elettorale, gli outfit erano studiati per darle un'aria innocua, quasi da maestra d'asilo, adesso le sue scelte sembrano rievocare Hatshepsut, unica regina egizia che divenne faraone e che fu poi raffigurata come un uomo. Nel suo discorso per la fiducia al Senato, Meloni ha indossato ancora una volta un tailleur blu Armani, estremamente rigoroso, accompagnato però da una “Padded Cassette” bianca di Bottega Veneta, allentando solo per un breve attimo la presa sulla sua mascolinità. Altra concessione sono spesso i gioielli che, sempre molto sobri, addolciscono i suoi look, grazie allo scintillio dei diamanti che li adornano. Proprio perché la comunicazione attraverso i look è davvero importante è bene chiarire che non ci si aspetta paillettes e volant, che chiaramente sarebbero inadeguati visto l’importante ruolo istituzionale al quale deve necessariamente corrispondere un’opportuna traduzione vestimentaria, ma le altre donne che nel mondo ricoprono ruoli apicali ci sono e non si mascherano da uomini per evitare di spiccare.

Basti pensare alla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen che, senza intaccare la sua autorevolezza, sfoggia in ogni occasione completi dai toni sgargianti o pastello. Tra le sue scelte più ricorrenti ci sono blazer smerlati che ne evidenziano la femminilità, seppur austera, rimarcando la sua immagine di donna di potere alla guida di una delle istituzioni più importanti d’Europa che più volte ha dimostrato di saper intervenire con sagge decisioni, sempre accompagnata da look in linea con il suo agire. Un altro esempio è Nancy Pelosi, Speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti che indossa sempre tubini dai colori brillanti, tailleur monocromatici dalle tinte accese, con ricchissime spille e preziose collane che li completano con eleganza. Anche in questo caso, senza scalfire minimamente il suo carisma e la sua tempra, entrambi ben noti come ha dimostrato, per esempio, nel celebre episodio in cui ha strappato la copia del discorso appena concluso dall’ex Presidente Donald Trump, proprio stando alle sue spalle, supportata dal suo candido, ma autorevole completo doppiopetto total white. O ancora la ex First Lady degli Stati Uniti d’America, Michelle Obama che è diventata un’icona corteggiata e vestita dai più grandi brand di moda, pur rimanendo particolarmente influente. Il supporto che ha dimostrato nei confronti di Joe Biden, indossando un completo color prugna firmato Sergio Hudson – il viola è un simbolo di unione in questa occasione – durante il discorso di insediamento del neo Presidente americano, non è di certo passato inosservato, così come il sostegno di Mrs. Obama nei confronti di diversi designer Black emergenti. Questi esempi hanno il semplice scopo di corroborare la tesi che afferma l’importanza dell’identità che in qualsiasi circostanza viene ribadita dall’abbigliamento che si sceglie e che non si esime dall’esprimere chiare prese di posizione, spesso al posto di chi porta quei capi. La Regina Elisabetta che indossa un cappellino blu con un cerchio di fiori gialli sul davanti, esattamente nei giorni della Brexit può chiarire ulteriormente il concetto? 

Anche la storia della moda viene in supporto a questo discorso. Come non riferirsi al Power Dressing introdotto con forza da Armani negli anni Ottanta con il desiderio di vestire le donne al pari degli uomini – attenzione, non da uomo – per contrastare quell’idea ridicola e desueta secondo cui l’unico ruolo al quale potessero ambire era quello da segretaria e non certo da CEO. Gli abiti quasi intercambiabili di Re Giorgio hanno inviato per decenni un messaggio di intercambiabilità, appunto, anche delle figure maschili e femminili, senza relegare in alcun modo le seconde a cariche di poco rilievo. Affiancato da una rigorosa Jil Sander che ha scolpito nella sua essenzialità purissima le geometrie perfette di cui vestire le sue donne, fiere, potenti e soprattutto autentiche. Per non parlare, su un versante completamente opposto, delle supereroine celebrate da Thierry Mugler, come le sensualissime fembot dell’indimenticabile Haute Couture Autunno/Inverno 1995-96 Cirque d’Hiver o le spietate donne-insetto della collezione Les Insectes Haute Couture Primavera/Estate 1997; e ancora dei tailleur surrealisti e dal piglio ironico, ma sempre intellettuale di Elsa Schiaparelli che li ha realizzati tra gli anni Trenta e Quaranta, collaborando con artisti del calibro di Alberto Giacometti e Salvador Dalí. Questi sono tutti esempi storici, ovviamente riscontrabili per eguale forza comunicativa anche nelle proposte della moda contemporanea che, senza affievolire l’espressione di potere di chi le veste, ne esaltano la personalità e l’identità. Perché, dopotutto, senza queste due componenti come si può fare davvero la differenza?