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Perché si parla così tanto della biografia di Anna Wintour

Il libro che rivela tutti i segreti dell'editor in chief di Vogue USA

Perché si parla così tanto della biografia di Anna Wintour  Il libro che rivela tutti i segreti dell'editor in chief di Vogue USA

Il mito e, senza troppi giri di parole, la mitomania che può scaturirne di riflesso toccano da vicino le sorti del mondo della moda. Fra le tante references d’ispirazione regale che abbondano nell’editoria di moda, quella di imperatrice spetta ad Anna Wintour, l’inscalfibile editor in chief di Vogue USA. Cinema, media e stampa ne hanno alimentato la divinizzazione, creando un cultural trend intorno alla sua carriera ultra trentennale da Condé Nast. Esce infatti una nuova biografia dal titolo How Anna: The Biography, scritta da Amy Odell (ex direttrice di Cosmopolitan) e si prefigge l’obiettivo di fornire una nuova prospettiva sulla donna le cui decisioni passano letteralmente per un acronimo che tuona A.W.O.K. (for Anna Wintour ok). Gli occhialoni scuri, l’amore per gli abiti di Oscar della Renta e la strana abitudine di pranzare con una caprese senza pomodori (?) sono solo il retaggio di una letteratura - la meno interessante secondo l’autrice - intorno all’editrice britannica su cui si innesta l’indagine della biografia.

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Più di 250 interviste raccolte a partire dal 2018 e un lavoro di ricostruzione filologica condotto attraverso la consultazione delle lettere di Charles Wintour, il padre di Anna, reperibili presso la Public Library di New York, hanno portato alla luce retrovie sulla vita professionale dell’innominabile editor in chief. Al di là di una dedizione al lavoro che supera i limiti dello stachanovismo più spinto, pare che Anna Wintour conservi l’abitudine di giocare a tennis ogni mattina per poi accompagnare i figli Charles e Katherine in auto (con autista ovviamente). O trapela il fatto che in passato abbia trovato attraente Bill Gates. Ma soprattutto viene fuori che la temibile caporedattrice di Vogue USA sia stata persino licenziata più di una volta: da Haper’s Bazaar per eccesso di caparbietà e dal New York Times per essere stata semplicemente assunta nel posto sbagliato. Viene difficile da pensare che Anna Wintour sia stata una sorta di outsider del fashion system, che ha dovuto fare i conti con ordinarie delusioni come insuccessi o licenziamenti.

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Eppure la biografia, che non è stata concepita come memoire dell’editrice, evidenzia come Anna sia stata in grado di costruirsi una fitta rete di rapporti professionali che rasenta l’idolatria. Ancora oggi, nonostante la crisi editoriale post digitale, l’autrice insiste su quanto il fashion system penda dalle sue labbra e dai suoi occhialoni scuri parlanti. Anna Wintour, senza girarci troppo intorno, è ancora la regina indiscussa della moda. Il punto, però, è proprio questo: chiunque si appresti a raccontare una nuova versione dell’editrice, non riesce ad accantonare il personaggio mitologico. Nessuno, fino ad ora, è riuscito a fornire un ritratto di Anna Wintour che esuli da pratiche di divismo che finiscono con l’essere rielaborate da una pop culture fatta di meme e aneddoti. Ci sarà mai allora una biografia o un film che rifletterà sulle modalità con cui Anna ha gestito effettivamente il suo potere?