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L’indistruttibile margherita: Matteo Cambi ricorda Guru e gli anni 2000

Passato, presente e futuro del brand raccontato dal suo fondatore

L’indistruttibile margherita: Matteo Cambi ricorda Guru e gli anni 2000 Passato, presente e futuro del brand raccontato dal suo fondatore

«La mia storia è uno spaccato di quegli anni», dice Matteo Cambi dallo sgabello sul quale è seduto, circondato dalle t-shirt della special edition che ha firmato per il rilancio di Guru avvenuto lo scorso 21 aprile, brand che non possiede più ma di cui, indiscutibilmente, rimarrà sempre il fondatore. «La mia è una tipica storia italiana fatta da un po’ tutto: fatta dai gossip, fatta dal voler apparire, fatta dal voler partecipare o essere qualcuno che anche attraverso il lavoro poteva dire qualcosa e poteva urlare qualcosa che aveva fatto». Matteo Cambi fondò il suo brand a vent’anni, ora ne ha quarantacinque: nel frattempo il suo brand è passato di mano e, sull’onda del ritorno dell’estetica Y2K, è tornato in scena sotto una nuova proprietà e una nuova veste. Anche se alcune cose non cambiano come, ad esempio, quel mitologico logo della margherita. «Il logo è nato per caso», ricorda Matteo, «è stata disegnata questa margherita ed è stata anche contestata dagli addetti ai lavori. Allora l’ispirazione era molto surf, molto filoamericana. Cominciavamo ad assaporare il fenomeno di Abercrombie, di questo mondo che stava arrivando dagli Stati Uniti e dunque un po’ college, un po’ vintage. E quindi questa margherita non aveva una collocazione esatta. Però è nata così e piano piano è esplosa».

Naturalmente non si può parlare di Guru senza parlare di un luogo e di un tempo ben definiti: l’Italia dei primi anni 2000. Quando gli viene domandato se fu più l’Italia a rispecchiarsi nel brand o il brand a rispecchiare il paese, Matteo ha detto che è stato «l’Italia non si è adeguata al brand, è il brand che ha trovato una sua collocazione in un’Italia che funzionava così». E alla domanda su che Italia fosse quella che ha dato un successo così monumentale al brand, la sua risposta è stata: «Era un’Italia speranzosa, che credeva ancora un po’ alle favole». Per poi elaborare meglio: «Era un paese più leggero, la voglia di apparire era tanta. Non dico che era tutto più facile ma la gente aveva più sogni e forse questi sogni erano più facilmente realizzabili. A oggi trovo che è più difficile. I sogni ci sono, sono vivi, ma è più complesso realizzarli». Ma Matteo non è tipo da crogiolarsi nella nostalgia. «La nostalgia c’è sempre e c’è sempre stata. È una nostalgia sana – perché comunque tutto quello che mi ricorda Guru, dai miei tempi fino a oggi, per me sono ricordi belli, ricordi piacevoli. Tutto quello che è stato un po’ più difficile nel percorso di Guru per me è stato accantonato. Quando penso a Guru penso solo a cose belle».

Pensare alla seconda vita di Guru, coi suoi nuovi proprietari (ovvero la società monegasca GHEP, fondata e diretta da Gianluca Sessarego) e la sua nuova strategia, fa immediatamente correre i pensieri alla maniera in cui il brand divenne celebre ai tempi della sua nascita, ovvero diffondendosi a macchia d’olio in quel milieu di veline e calciatori, di soubrette e di quei personaggi televisivi che dominavano la cultura pop italiana. «Gli anni 2000 erano un mondo dominato dalla televisione, da qualche personaggio che partecipava a trasmissioni seguite», ricorda Matteo. «Ovviamente in quegli anni i social non c’erano e dunque la carta stampata, il gossip e la televisione potevano essere quello che oggi sono i canali che utilizziamo tutti. Io ho cercato di cavalcare al massimo questo fenomeno, insieme alla musica, insieme allo sport e insieme alle discoteche, ai club e ai DJ». Oggi le cose sono molto diverse, quei canali social hanno moltiplicato quel mondo, segmentandone all’infinito le audience. Eppure, nella sostanza, le cose non sono così cambiate. Secondo Matteo, «tutti quelli che stanno facendo qualcosa di buono nel loro campo hanno delle caratteristiche per avere doti comunicative e per trasmettere ai ragazzi e a chi li segue un messaggio anche attraverso quello che indossano».

Ma oltre alla comunicazione c’è di più: ci sono le persone. È lo stesso Matteo che ha definito quella di Guru come una «tribù» e, in effetti, il brand venne presto associato alla subcultura italiana dei Truzzi, particolarmente amante dei loghi giganteschi, dei colori più vistosi e, soprattutto, di un lifestyle che fu una singolarità di quegli anni. Matteo ricorda facilmente quei tempi: «Le discoteche, i club, le prime spiagge che facevano musica e feste erano popolate da persone che percorrevano e ricercavano questo tipo di vita. In quegli anni chi andava in disco aveva la t-shirt ma anche abbronzato, faceva due lampade a settimana, aveva una sua filosofia e un suo stile di vita. E su quello, essendo un fenomeno di massa, il brand ha colpito in maniera molto forte. Molto forte ha colpito verso di loro e molto forti erano loro». Un mondo che però, forse, sta tornando nello spirito. Negli anni 2000, come ricorda Matteo, il club «era qualcosa di gruppo, si andava e si condivideva quel momento con altre persone». Un intero mood che l’evoluzione dei club in luoghi che propongono musica, dove quello del DJ-celebrity è quasi un concerto, ha messo da parte per qualche anno. Ma anche un mood che, dopo il lockdown, secondo Matteo, è pronto a ritornare. In ogni caso Matteo è fiero di quel mondo, che lo ha proiettato tanto in alto: «Il merito che voglio prendermi, rispetto a Guru, è che stato il primo a credere di comunicare attraverso i personaggi, a essere presente nei posti cult e nei club d’Italia».

Un heritage, dunque, che non solo è tornato oggi con la benedizione del suo founder, presenza ormai esterna al brand, ma che già negli anni passati ha lasciato un marchio indelebile nella cultura pop del paese. L’intervista si conclude con queste parole: «Ciò che Guru ha lasciato è sicuramente la grande notorietà e la grande forza di questo simbolo e di questa margherita che è indistruttibile e indissolubile. Ormai sono passati più di vent’anni. A oggi la sua forza rimane questa e soprattutto è che tutti, o almeno quasi tutti, conoscono Guru e la margherita. E non è poco – parliamo di una storicità che è la stessa dei grandi marchi che si sono rilanciati negli anni. Tutti lo conoscono».

Credits:
Photographer: Alessandro Lo Faro
Light Assistant: Federico Terenzio
Videomaker: Gianluca Normanno
Video Editor: Maditha DpL
Sound Design: Andrea Normanno
MUA: Cinzia Trifiletti
Production: nss factory