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Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti  

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti  

«La storia dell'arte è una nuvola: si espande in tutte le direzioni contemporaneamente. Io avrò l'artista che mi piace. Voi avrete il vostro. I vostri non sono migliori dei miei. Perciò non mi piangerò addosso. In quest'epoca di estetica bianca, non piangerò la scomparsa di questa categoria. Celebrerò l'inizio. L'inizio della diversità. Voglio che tutti abbiano la stessa stupida possibilità di fallire e di ricominciare che ho avuto io.»

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti  

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Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti  

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti  

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti

Perché tutti abbiamo bisogno di Jerry Saltz Critico d’arte, premio Pulitzer, guida per una generazioni di ventenni impauriti  

«Ok, giovani artisti, ascoltate bene. Prima di tutto. Mettetevi al lavoro e lavorate, lavorate, lavorate… Dovete lavorare. Non sono interessato a persone che fanno ricerca tutto il tempo. Ho bisogno che lavoriate. A tutti quelli che vi dicono di rimanere nella vostra corsia, di fare solo una cosa ristretta, non ascoltateli mai, non fate mai quello che vi dicono di fare. Stanno cercando di trattenervi, di tenervi giù o di mettervi in riga. E io sono contrario a tutto questo.»

Era l’estate del 2018 in una provincia abruzzese del tutto dimenticabile, avevo appena finito il liceo classico, ogni giorno mi svegliavo nel letto della mia camera con un cerchio alla testa, madida di sudore, con l’ansia di dover decidere di lì a poco, cosa avrei fatto per il resto della mia vita. La scelta ricadeva tra scrittura e recitazione, entrambe pessime se sei cresciuto in un provincia abruzzese del centro Italia, specie se tuo padre vanta appena un diploma di scuola elementare. Ho sempre pensato che avrei scritto per vivere, ma per chi cresce circondato da gente pragmatica, l’arte o tutto ciò che vi somiglia è un lusso che non sempre possiamo permetterci. In quegli anni mi sono imbattuta, per la prima volta, nella pagina instagram di Jerry Saltz, critico del New York Magazine, vincitore di un premio Pulitzer, nonché instancabile motivatore per chiunque abbia una qualsivoglia velleità artistica. In merito, ha all’attivo due libri: How to become an artist del 2020 e Art is Life del 2022. Dopo aver seguito per anni post appassionati in cui una delle personalità più importanti del settore dispensava gratuitamente consigli di vita su come farcela in un mondo sempre più competitivo e complesso, eccolo, di fronte a me in Zoom call, a sei ore di fuso orario (organizzarci, in effetti, è stato un pò difficile) e una casa in Connecticut come sfondo, in primo piano una gigantesca bottiglia di seltzer water. Niente caffè del 7-Eleven questa volta.

«Ok, giovani artisti, ascoltate bene. Prima di tutto. Mettetevi al lavoro e lavorate, lavorate, lavorate… Dovete lavorare. Non sono interessato a persone che fanno ricerca tutto il tempo. Ho bisogno che lavoriate. Ho bisogno che facciate arte mediocre. Non è così difficile. Io scrivo in modo mediocre ogni settimana, quindi voglio che lo facciate anche voi. A tutti quelli che vi dicono di rimanere nella vostra corsia, di fare solo una cosa ristretta, non ascoltateli mai, non fate mai quello che vi dicono di fare. Stanno cercando di trattenervi, di tenervi giù o di mettervi in riga. E io sono contrario a tutto questo.» Tra i dettami più importanti per diventare artisti per Saltz lavorare è sicuramente il primo, indipendentemente dal fatto che tale lavoro sia valido o meno, perché ci sarà sempre tempo di raddrizzare il tiro strada facendo e perché è meglio fare una cosa male piuttosto che non farla affatto. L’ha imparato forse sulla sua stessa pelle, dopo anni passati a condurre camion di lunga percorrenza, visitando centinaia di studi di artisti tra un turno e l’altro, guardando mostre, scrivendo per ore e ore, notte e giorno, passando infine da bambino povero e discriminato della periferia di Chicago a premio Pulitzer: «cercate di trovare il tempo per il vostro lavoro. Questa è la cosa fondamentale.»

«Diventa radicalmente vulnerabile nella tua arte. Ciò significa essere aperti, onesti e reali, senza paura e senza imbarazzo. Tutti abbiamo paura. Io oggi ho paura. Sono terrorizzato dal lavoro che devo fare. Anche voi lo siete. Non ci sono eccezioni. Dovete quindi essere disposti ad imbarazzarvi e ad avere paura» aggiunge, sottolineando poi l’importanza di «stare svegli fino a tardi ogni singola notte e commiserare e ruminare e fare comunella e dormire e discutere con i propri simili» perché «tutti gli artisti sono vampiri in connessione telepatica tra loro, tutto il tempo.» Il vostro peggior nemico? L'invidia«Un coltello che si tiene alla gola e chi vi renderà noiosi. L'invidia non vi renderò degli artisti. Rovinerà il vostro lavoro.»

Nessun membro dell’intelligentia newyorkese era mai riuscito a massimizzare il proprio lavoro sui social tanto quanto Saltz, che tra Facebook e Instagram è riuscito a costruire una community da un milioni di utenti, sempre pronti a commentare e confrontarsi. La prima volta che ho pensato di intervistarlo è stato quando, scorrendo la mia fyp di TikTok mi sono imbattuta in una miriade di artisti ottantenni, pressoché sconosciuti, intenti a mostrare la propria arte «until I became famous.» Ho pensato subito che Saltz fosse in ritardo, che un luminare della cultura sui social come lui non poteva non avere TikTok e non poteva non esprimersi su questo fenomeno con i suoi modi schiettissimi: «Voglio disperatamente TikTok, ma non so come iscrivermi. Al New York Magazine nessuno mi aiuta perché ogni volta che chiedo loro "Come faccio a entrare su YouTube? Come faccio a entrare su TikTok?" mi ridono in faccia, pensano che stia scherzando. Invece penso che TikTok sia molto, molto più grande di Instagram, Facebook, e di tutto il resto. Ma in realtà penso che sia solo un altro strumento, un'altra porta aperta per gli artisti. Agli artisti dico esponetevi sui social media. Non limitatevi a postare i vostri lavori idioti. È noioso, noioso, noioso. Postate cose che vedete. Pubblicate uccelli morti, piazze, opere d'arte di altre persone. Pubblicate meme. Gli artisti hanno bisogno di una comunità. Non ce la farete da soli.»

Degli NFT e della crypto art - un campo in cui si è cimentato in prima persona vendendo un token digitale per 100 mila dollari e devolvendo prontamente il ricavato ad un ospedale di New York specializzato nella lotta al cancro - dirà lo stesso: «è uno strumento. Tutto qui. Non è rilevante o irrilevante. È come una matita o una macchina fotografica.» Parliamo anche di Open to Meraviglia, la controversa campagna frutto del lavoro del Ministero del Turismo e dell’agenzia Armando Testa (recentemente sotto indagine secondo Repubblica per spreco di fondi pubblici), in cui la Venere di Botticelli yassificata sorride mangiando una pizza in Costiera. «Se fosse opera di buon governo, lo amerei. Ma si può impedire alla gente di fare qualcosa solo perché è banale. Non sopporto l'ascesa della destra. La trasformazione della Venere in un influencer: è quello che succede quando i vecchi come me non scendono dal palco.»

Divaghiamo poi sullo stato dell’arte contemporanea, sulle derive del postmoderno, di un periodo storico che si sta facendo, in un unico grande paradosso sempre più inclusivo e sempre più escludente, in cui la discriminante sta diventando man mano più economica che sociale. «La storia dell'arte è una nuvola. Si espande in tutte le direzioni contemporaneamente ed esiste ovunque nello stesso momento. Io avrò l'artista che mi piace. Voi avrete il vostro. I vostri non sono migliori dei miei. Perciò non mi piangerò addosso. In quest'epoca di estetica bianca, non piangerò la scomparsa di questa categoria. Celebrerò l'inizio. L'inizio della diversità. La Biennale di Venezia era composta per l'85% da donne. E credo che ora le donne possano essere mediocri quanto gli uomini. E credo che questo sia l'obiettivo. Voglio che tutti abbiano la stessa stupida possibilità di fallire e di ricominciare che ho avuto io.» E questa intervista nasce per questo, per far scoprire anche solo ad una persona in più al mondo una personalità unica nel suo genere, che nonostante i suoi 72 anni potrebbe essere la guida ideale per una generazioni di ventenni frustrati, paralizzati dalla paura, persi in un mare di input e schiacciati dai ritmi di una società sempre pronta a farci sentire banali e scontati. Perché tutti lo siamo e nessuno lo è. In un’epoca in cui le istituzioni e i politici hanno smesso di comunicare e interessarsi ai giovani forse abbiamo bisogno di più persone che si mettano in piazza e ci parlino in faccia, che ci considerino per quello che siamo, che ci dicano «fai schifo» o «sei un grande,» poco importa se poi ci forniscono gli strumenti per migliorarci. Il mondo sa ancora essere un posto ricco di opportunità per chi impara a saltare nel vuoto. E fallire non è un problema se abbiamo tutti lo stesso diritto di ricominciare. 

Intervista di Maria Stanchieri, foto gentile concessione di Jerry Saltz.