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Daniel Arsham

The Mastermind

Daniel Arsham The Mastermind
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Digital cover n°11  

«Fin da quando ero alla scuola d’arte avevo l’obiettivo di creare cose che avrei voluto esistessero. All’inizio era difficile perché io stesso stavo provando a esistere nel mondo dell’arte – un mondo che al tempo non aveva nessun punto di contatto con tutta la cultura con cui ero io in contatto, e quindi l’hip hop, le sneaker o lo stesso streetwear». Così come Daniel Arsham, un nuovo pubblico cresciuto con l’NBA e il rap e lo streetwear ha cominciato a interessarsi all’arte e al design. Se le immagini del nuovo divano di Frank Ocean hanno fatto il giro del mondo e se la Milano Design Week si è fusa alla Fashion Week, è perché un nuovo segmento demografico è entrato nella conversazione. Un mondo dove arte, moda e design e sport e chissà quante altre cose sono diventate una cosa sola: cultura moderna. Per questa ragione Daniel Arsham è il protagonista dell'undicesima Digital Cover di nss magazine, la prima dedicata interamente a un personaggio, uno dei più influenti della attuale cultura pop.

Tutto o quasi quello che Daniel Arsham produce può essere ricondotto a un unico gradiente di colori. È una palette che oscilla tra il bianco, il grigio chiaro e il verde, quell’insieme di colori che rappresentano l’evoluzione dell’Earth Tone e che in tanti profili Instagram vengono associati all’idea di feed perfetto, pratica diventata oramai obsoleta e addirittura noiosa. Il profilo Instagram di Daniel Arsham non è né perfetto né tanto meno noioso. Così come non lo è l’utilizzo di quella che lui stesso ha scelto di rendere la sua palette colori: «Sono daltonico: ci sono quindi certe aree di colori che non vedo molto bene e credo quindi, nel tempo, di essere gravitato in modo naturale su certe aree di colore e color palette che vedo meglio. Lavoro anche tanto con il bianco che è un colore che non nasconde sfumature ed è così come lo vedi. Ho anche imparato nel tempo che lavorare in palette rende le cose che fai più riconoscibili per tutto il resto del mondo», racconta Arsham a nss magazine.

E oggi, in effetti, le opere di Arsham sono sicuramente tra le più riconoscibili al mondo.

Daniel Arsham fa parte di quel gruppo di artisti, insieme a Kaws, Murakami e pochi altri, che sono stati in grado di riscrivere i canoni dell’idea stessa di arte per un intero - e numeroso - gruppo di persone. Qualcuno li chiama Insta-artist, come a voler minimizzare il loro valore artistico con (l’enorme) numero di follower, ma la realtà è che Daniel Arsham ha saputo aspettare il momento giusto in cui far collassare tutto il suo enorme bagaglio di cultura pop all’interno del mondo dell’arte: «I social media danno agli artisti la possibilità di raggiungere chiunque, ma dall’altra parte tutti hanno quella possibilità. C’è quindi molta più competizione e quel mare può essere difficile da navigare per un artista giovane. Qualche tempo fa ho fatto delle lezioni alla Cooper Union con degli studenti senior di circa 22 anni, e quello che volevo spiegargli era che tutto ha un suo tempo, mi sono laureato 18 anni fa e ho dovuto aspettare per arrivare qui, quindi essere pazienti è molto importante». In questi 18 anni Daniel Arsham ha fatto un po’ di tutto: ha dipinto, ha formato un collettivo artistico, Snarkitecture, con il quale si è fatto conoscere dal mondo, ha collaborato pressappoco con tutti, è diventato direttore creativo di una squadra NBA – i Cleveland Cavs, di cui è anche tifoso – il primo tra i creativi del nuovo millennio, ha lavorato per Tiffany e ha creato una estetica incredibilmente riconoscibile, fatta di Pokémon e arte classica, lava vulcanica e decostruzione.

Nel tempo libero, qualcuno su Internet crede abbia anche dato vita a @hidden.ny, il “worst kept secret” per i mood post di qualsiasi media di street culture. Qualche anno fa Arsham ha anche iniziato una lunga collaborazione con StockX, non per la creazione di una capsule o di opere, ma per un progetto di residency digitale e fisica arrivata fino al Salone del Mobile. «L’obiettivo della partnership con Daniel Arsham è sempre stato quello di creare uno spazio nuovo. Lui è uno dei pochi artisti multidisciplinari capaci di tenere insieme mondi diversi: dal footwear all’apparel ai collectibles, accessori, dipinti, furniture e tutte quelle cose che abbiamo visto che nel mondo della sneaker culture e di quello di StockX si sono evolute. Ci siamo dunque detti: vogliamo essere parte di quella evoluzione e di quel cambiamento e non solo fare un prodotto che ogni altro brand e ogni altra piattaforma avrebbe potuto fare. E penso che l’inizio di Art e Residence in questo senso è un punto di partenza incredibile ed è bello che accada proprio al Salone che è dove quei trend nascono», racconta Tom Woodger, VP of Cultural Marketing di StockX. All’interno di Spazio Maiocchi infatti Arsham e StockX hanno presentato una curatela di opere che riflettono sull’importanza del tema della sedia: da Snarkitecture, che per l’occasione è tornata a collaborare con Gufram, a hidden.ny passando per Playlab, Rhee Studio e Grace Wales Bonner, che ha collaborato con l’azienda africana Mabeo.

L’idea della sedia è venuta ad Arsham, che da tempo – attraverso il progetto di Arsham Living – riflette proprio sull’interazione tra opere ed esseri umani, e non c’è niente di più interattivo di una sedia. «Lavorare sulla parte di living e/o furniture è in un certo senso per me più personale, soprattutto se ripenso a come è nato il progetto di Arsham Living. Ho un cliente a NY che è un collezionista del mio lavoro da tanto tempo e una volta era a casa mia e c’erano un numero di pezzi che avevo disegnato solo per casa mia e non avevo intenzione di vendere o altro. Erano appunto pensati per integrarsi al meglio in quell'ambiente, e da quel momento ho cominciato a pensare e progettare pezzi per andarsi a inserire all’interno di un dato ambiente. La cosa più interessante del lavorare in quel settore è pensare all’interazione tra la persona e l’oggetto, un'interazione viva, completamente diversa da quella che avviene nel mondo dell’arte. Mi piace anche offrire, come in questo progetto, uno spazio per altri designer che è davvero il concept dietro il concept. In un certo senso StockX è nato come un posto dove si scambiavano sneaker, e la sneaker è un oggetto che sembra dato ma che in realtà offre mille volti diversi. Una sedia è un po’ come questo: è un oggetto d’arte e design con un obiettivo molto specifico, ma le modalità con cui si può esprimere e rappresentare possono essere molto diverse. Mi piaceva questo del progetto: ripensare una sedia è allo stesso tempo un brief molto chiaro e specifico, ma con una possibilità di esecuzione e applicazione infinita». L’arrivo della Pandemia ha completamente stravolto il modo in cui ci si approccia al design, portando un certo tipo di pubblico a riscoprirlo anche grazie all’aiuto di tutto quelle pagine Instagram riempitesi di notizie riguardanti quello che viene comunemente definito “living”. «Credo che più in generale gli ultimi anni ci abbiano portato a prestare più attenzione al modo in cui la nostra casa è composta, a riconsiderare un po’ tutto. Durante quel periodo ho disegnato tanti nuovi pezzi di furniture. Passare così tanto tempo all’interno di uno spazio domestico porta le persone a ripensare tutto.», ha aggiunto Daniel Arsham.

Per certi versi è come se un nuovo pubblico si fosse affacciato al mondo del design e dell’arte, una riflessione che ha portato StockX ha puntare forte prima sul mondo dei Collectibles e poi su quello dell’arte vera e propria – qualsiasi cosa significhi – attraverso la sezione Art & Prints: «Sapevamo che c’era una domanda, perché avevamo già venduto tanti prodotti di Daniel ad esempio. Le persone stanno vendendo le sneakers perché vogliono spazio in casa per comprare arte». Una frase estremamente vera e sulla quale si fonda un processo di riposizionamento del mondo dell’arte estremamente rilevante e soprattutto, irreversibile.

Daniel Arsham’s - Color Palette
 
Pick a color
 

Daniel Arsham è magari solo la punta dell’iceberg di questo cambiamento, ma decisamente quella più visibile. In un'intervista, una volta, il candidato alle primarie americane Rubio aveva spiegato in maniera convincente il suo rapporto con un certo tipo di pop culture. Secondo Rubio la sua vicinanza al rap o la sua passione per il basket non erano “strane” o simbolo di una particolare visione innovativa, erano semplicemente generazionali. Lui e Barack Obama erano parte di una generazione che era nata e cresciuta nel momento in cui l’hip hop si affermava come una religione. Le influenze culturali dei Millennials sono state estremamente differenti da quelle della generazione successiva, e ora che i Millennials arrivano nelle posizioni apicali della nostra società ci sembra strano che a uno dei più celebri artisti al mondo possano piacere i Pokémon:

«Fin da quando ero alla scuola d’arte avevo l’obiettivo di creare cose che avrei voluto esistessero. All’inizio era difficile perché io stesso stavo provando a esistere nel mondo dell’arte - un mondo che al tempo non aveva nessun punto di contatto con tutta la cultura con cui ero io in contatto, e quindi l’hip hop, le sneaker, lo stesso streetwear.»

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«Anzi quello era un mondo che guardava dall’alto al basso, quello dell’Arte con la A maiuscola. Ancora non mi sento pienamente parte di quel mondo, che continua ad essere molto pretenzioso, un mondo intenzionalmente chiuso. Credo che piuttosto tutto il mondo della creatività in generale debba essere aperto a tutti. Io in genere collaboro con mondi che sono accessibili a tutti, che permettono di creare cose che tutti possono vedere senza andare in un museo, quello è lo spazio che cerco e che mi interessa», ha raccontato Arsham. In modo simile alla pop-art, l’arte di Arsham è orizzontale, è fatta di reference e di moodboard, di sketch e dell’intenzione di trovare il modo artisticamente migliore di raccontare una storia. È catchy ed è profonda, ma è parte di quella esigenza intima di tutte le generazioni dopo (e compresa) quella dei Millennials di voler raccontare la propria storia. Le fondamenta culturali dell’arte di Arsham sono pressappoco le stesse che hanno portato alla creazione dello streetwear, è anche per questo che il suo matrimonio con StockX funziona così bene, perché è mirato a mescolare assieme community che non dovrebbero avere punti di contatto, per generare poi una community tutta nuova. Un'esigenza che genera - come è stato anche nel caso di Virgil Abloh – una sorta di iperattività creativa. Provate, ad esempio, a fare una cernita a prova di Instagram Post dei settori in cui opera l’arte di Arsham. È impossibile: «So di produrre tanto, è una cosa abbastanza oggettiva. Ma in un certo senso ho questa costante sensazione di dover sempre fare di più, di dover continuamente soddisfare la mia curiosità, che è il motore principale di quello che faccio. Vale per tutto, dal design all’arte, dalla parte di furniture alla moda, fino agli accessori; sono tutte cose che stimolano la mia creatività. Le due attività realizzate al Salone del Mobile ne sono un'ulteriore dimostrazione: ho collaborato con Kohler, una realtà molto grande nel plumbing supply, una cosa che può sembrare non così sexy ma che nasconde un mondo davvero interessante. Allo stesso modo il progetto realizzato con StockX rientra sempre nella stessa ottica: avere nuove idee che entrano e gravitano nel mio studio».

Con il mondo della moda Arsham condivide una certa fame per la novità, la volontà e la possibilità di mostrarla in tutto il suo splendore su Instagram e la capacità di raccogliere feedback condivisi e di auto-generare una narrazione su se stessi. Non è stato raro, negli ultimi anni, vedere attraverso Arsham i leak di nuove collezioni e ultime collabo. Qualche mese fa è diventato, assieme a Lil Yatchy, protagonista principale dello spot che annunciava la collaborazione tra HIDDEN e Clarks, oltre che collaboratore e ispiratore di Dior e Kim Jones. Una passione, prima ancora che un lavoro, derivativo: «È ironico: sono andato in una scuola d’arte e sono stato circondato da artisti e architetti, ma la maggior parte dei miei amici sono nel mondo della moda. Molte delle mie scelte estetiche sono influenzate da quello che fanno questi miei amici: da Ronnie Fieg a Teddy Santis o Kim Jones, tutto questo gruppo di persone che ho conosciuto anni fa, come anche Virgil (Abloh) o Matthew Williams ed Heron. Conoscevo tutte queste persone da prima che diventassero delle icone quindi ho potuto apprezzarne tutto il processo e sviluppo creativo. Ho lavorato segretamente per i due anni passati a un fashion project, Objective 4 life, e questo è un modo per me per – come accade nell’arte – creare cose che mi piacerebbe indossare. Ci sono poi molti concept che reputo interessanti nel progetto, dal fatto che gran parte dei tessuti bric che utilizziamo derivino da deadstock – il che rende i capi tutti diversi – a una certa ricerca dell’idea di uniforme. Ho tantissimi vestiti nell’armadio e spesso la mattina è complesso scegliere cosa indossare. Questa collezione è invece minimale, ha circa 20 capi e una chiara ispirazione al mio lavoro e più in generale al mondo dell’arte e delle gallerie».

Una costante ricerca di ispirazione che ha portato Daniel Arsham a diventare una presenza costante nel feed Instagram di ognuno di noi. La dimostrazione, vivente, di come l’arte e il design abbiano oggi assunto il rango di sneaker e apparel. Il gusto intero di una nuova generazione che forse si è stancata dei social e dei feed perfetti, ma che non può fare a meno di continuare a cercare ispirazione in ogni cosa.

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Photographer: Adriano Cisani
Photographer Assistant: Luca Gasparro
Art Director: Alessandro Bigi
Video Editor: Giada Giacomazzo
Words: Francesco Abazia
Editorial Coordinator: Edoardo Lasala
Production: nss factory

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