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L'apertura di Supreme a Milano potrebbe rivelare la nuova direzione creativa del brand

Un ritorno alle origini con gli skater in centrale e l'abbandono dell'hype

L'apertura di Supreme a Milano potrebbe rivelare la nuova direzione creativa del brand Un ritorno alle origini con gli skater in centrale e l'abbandono dell'hype
Laurent Bentil ©2021 nss factory
Laurent Bentill ©2021 nss factory
Laurent Bentil ©2021 nss factory
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Era il 25 febbraio di due anni quando Supreme presentava il lookbook della SS19 grazie al quale i primi rumors trovarono finalmente delle prove concrete: il brand stava per aprire una store a Milano. Si trattava di una notizia criptica, basata su un indizio un po' cerebrale, nel miglior stile del brand di James Jebbia: nelle trame di tessuto della Metallic Jacquard Crewneck si leggevano alcune delle location fisiche degli store di Supreme fra le quali,in mezzo a Paris, London, New York, e Tokyo, compariva anche Milano. Oggi, a distanza di due anni, dopo una pandemia, dopo il cambio di proprietà di Supreme e la fine della battaglia legale sul legit fake, lo store di Milano è ancora un progetto in sospeso anche se i rumors sembrino concordare sul fatto che la location sarà in uno spazio di Corso Garibaldi

VF Corp, nuovo proprietario di Supreme, sembra intenzionata a portare avanti la strategia di allargamento territoriale degli store fisici, anche se sono cambiati molti fattori che rendevano logica l’apertura nel 2019 ma che creano dei dubbi per un arrivo del brand a Milano nel 2021. Nel corso di questi anni, lockdown a parte, è cambiato radicalmente il meccanismo dell’hype sul quale il brand fondò il suo esplosivo successo di qualche anno fa, ma è cambiata la percezione generale del brand stesso e anche la geografia sociale della città di Milano. Ma la prima apertura italiana ha ancora senso per Supreme e potrebbe rappresentare un'opportunità di dare una nuova direzione alla sua narrativa.

Laurent Bentil ©2021 nss factory
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Per prima cosa è importante sottolineare il ruolo dello store fisico nella mistica di Supreme. Al numero 274 di Lafayette Street nel cuore di Manhattan nella primavera del 1994 James Jebbia ospitava skater, intellettuali ed artisti in quello che più che un negozio era uno squat in cui i clienti/consumatori casuali non erano tendenzialmente i benvenuti. Eppure l’estetica non era quella di un classico skate store di quartiere con vestiti accatastati e un generale disordine: i prodotti erano piegati e disposti in maniera quasi maniacale, i gadget allineati alla perfezione sugli scaffali, le tavole da skate occupavano le pareti e dei televisori trasmettevano video musicali o di skate nelle vetrine. L’impostazione era insomma simile a quella di una galleria d’arte dove chi entrava provava non tanto soggezione quanto un immediato rispetto per quell'aspetto, intangibile eppure percepibile, di estrema curation culturale che emergeva dalla precisa esposizione dei prodotti. Proprio questo aspetto immateriale ha creato un immaginario magnetico, che ha soggiogato tre diverse generazioni di skater e ha plasmato l’estetica di Supreme.

Fast forward ai giorni nostri. Lo store di Supreme - che si tratti di Londra, New York, Parigi o Osaka - ha mantenuto quell’aura sacrale, cambiando però la sua funzione: da spazio creativo a luogo para-religioso, da fucina di una cultura in fieri a santuario dove si toccava con mano un heritage. I fedeli fan del brand si radunavano di settimana in settimana in affollati camp out per notti o pomeriggi interi - momenti nei quali nascevano amicizie, si concludevano affari di resell, si commentavano i drop e la cultura che circondava intorno al brand cresceva in una maniera diversa: con la storia del brand già ormai fisse e stabilite (New York, gli anni '90, la scena degli artisti e degli skater), iniziò a prendere forma il suo mito, un mito creato intorno a Supreme e fatto di post Instagram, gruppi di resell e box logo false. In questo senso il varcare la soglia del negozio dopo aver passato ore in fila ed avere il privilegio di comprare uno prodotto nuovo di zecca, con il suo corredo di etichette, sacchetti e adesivi, avendo a che fare direttamente con i commessi assunse un che di rituale per i fan, un incontro con una dimensione appunto mitologica, che rifletteva quell’idea di esclusività su cui Supreme ha costruito il proprio modello di business e implicava, se non per il viaggio fino alla città almeno per file e attese, un vero e proprio pellegrinaggio

In questo senso Supreme ha usato in maniera brillante lo store fisico come strumento di branding, l’attitudine e l’estetica di sole undici location sparse in tutto il mondo ha contribuito ai due miliardi di dollari sborsati da VF Corp per comprare il brand da James Jebbia. Allo stesso tempo però le pochissime location e l’assenza di distribuzione hanno rappresentato un problema pratico non da poco per il brand, tra mercati potenziali inesplorati e la clamorosa vicenda del legit fake, iniziata in Italia e poi continuata in Spagna, Germania e Cina - tutti paesi in cui il Supreme non aveva una presenza fisica. Insomma l'espansione territoriale ponderata e minimale era la conseguenza naturale dell’esplosione di popolarità del brand nel mondo pre-pandemia. Milano era la città candidata perfetta in Europa grazie a quel mix di alta moda e streetwear, locali, spazi creativi e una comunità piccola ma in crescita di skater. La città era pronta ad accogliere il capostipite dello streetwear che avrebbe completato il “quadrilatero dell’hype” insieme a Slam Jam, One Block Down, Patta e quel network di appassionati e retailer che proponevano uno streetwear sempre più “alto” e consapevole. Inoltre l’apertura in Italia avrebbe cancellato la macchia di Supreme Italia, il brand di legit fake fondato in Puglia che per anni ha impegnato gli avvocati di Supreme in una laboriosa epopea legale che nutrirà per anni i manuali di giurisprudenza.

Oggi però il Covid-19 ha accelerato drasticamente alcuni cambiamenti nell’industria della moda che Supreme deve tenere in considerazione: il declino dell’hype (inteso come logomania, resell, camp out e compagnia cantante), il ritorno del minimalismo e di una moda che vive più di valori che di estetica. Supreme è sempre stato estremamente resiliente e adattabile ai cambiamenti esterni del mercato e del gusto rimanendo comunque fedele al gusto di Jebbia e dei primi prodotti pensati per gli skater. Oggi il ruolo del negozio fisico è un punto interrogativo per tutta l’industria della moda, ma in particolar modo per il brand americano può essere il passaporto per entrare in una nuova fase di sviluppo e crescita archiviando l’era dell’hype, che lo stesso fondatore James Jebbia non apprezzava troppo. Secondo esperti e osservatori, il futuro del retail fisico avrà a che fare più con la sfera esperienziale che l’acquisto. Il ruolo dell'e commerce avrà un peso crescente nei prossimi anni, ma il retail fisico rimarrà comunque un asset fondamentale per colpire il consumatore e comunicare i valori dei prodotti. Lo store di Milano (che dalle foto sembra pronto per l’apertura, è già stato montato anche il supporto per l’insegna) può essere l’opportunità per confermarsi un passo avanti al resto dell’industria. Le idee sono molte: vista la grandezza dello spazio in Corso Garibaldi (circa 450 metri quadrati), Supreme potrebbe rilanciare il format dei concept store à la Fiorucci, dove più che i prodotti il focus sta un un’estetica cross-settoriale del brand. Allo stesso modo, lo store può ospitare una pista da skate diventando un luogo di aggregazione per skater nel cuore posh di Milano, tra Brera e Moscova. Diverse strategie, diversi target e diversi obietti.

L'evento, insomma, sarà un momento carico di opportunità e l’apertura sarà anche la prima della nuova proprietà di VF Corp quindi difficilmente sarà ordinaria amministrazione. Piuttosto indicherà la direzione che il brand prenderà nei prossimi anni a partire appunto dal target di riferimento. Noi rimaniamo a guardare con la speranza di tornare a guardare un Box Logo rosso con gli stessi occhi sognanti di dieci anni fa.