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Zara chiuderà oltre 1000 store

In un piano più ampio che punta tutto sull'e-commerce

Zara chiuderà oltre 1000 store In un piano più ampio che punta tutto sull'e-commerce

Alla fine di aprile il gruppo H&M annunciava la chiusura di sette store su suolo italiano, in un tentativo più ampio di abbattere i costi, non solo a causa della difficile situazione in cui il gruppo versa da tempo, ma anche a causa delle perdite subite con l'emergenza Coronavirus. Il gruppo spagnolo Inditex, che possiede Zara, Bershka, Stradivarius e Massimo Dutti, ha da poco svelato un piano simile, ma su scala maggiore, e dettato da obiettivi diversi. 

Con quasi il 90% degli store chiusi nelle settimane di lockdown, il gruppo ha registrato un calo nelle vendite del -44% nel periodo che si estende da febbraio ad aprile 2020, per una perdita netta nel primo trimestre dell'anno pari a €409 milioni di euro. Molto più positivi sono invece i numeri relativi all'e-commerce, che vanta un +50% di vendite online nel trimestre appena conclusosi, e, soprattutto, un +95% di acquisti online solo nel mese di aprile

Il piano che il gruppo si accinge a mettere in atto si muove proprio nella direzione del potenziamento del digitale a discapito dello store fisico, tanto che Inditex prevede che entro il 2022 l'e-commerce rappresenterà più di un quarto delle vendite complessive del gruppo, contro il 14% che ricopre oggi. Con un investimento da €900 milioni all'anno per i prossimi tre anni, l'azienda intende concentrarsi sui suoi flagship store più grandi e nelle aree più strategiche e di prestigio, e contestualmente progetta di chiudere circa 1.000 - 1.200 store nei prossimi due anni. Nel breve termine, questo tipo di piano renderebbe più facile l'applicazione delle norme di sicurezza legate al COVID, mentre sul lungo termine il piano è senza dubbio dettato dall'intenzione di tagliare i costi, e di potenziare ulteriormente un metodo di shopping cresciuto in modo sensibile durante le settimane della quarantena, e che difficilmente perderà il suo appeal nei prossimi mesi. L'e-commerce permette inoltre di vendere e quindi di guadagnare anche in territori in cui il gruppo non ha store fisici. 

C'è poi un'altra pratica che il gruppo Inditex ha messo in atto in questi mesi, cioè il cosiddetto integrating stock. Da sempre una delle questioni più spinose e dibattute in materia di fast fashion, sia a livello pratico che dal punto dell'immagine e della brand reputation, è il problema della merce invenduta. A causa di volumi di merce enormi e di cicli troppo veloci, che non riescono ad esaurire tutti i prodotti che vengono realizzati e venduti, per molto tempo la soluzione è stata bruciare tutto l'invenduto. L'integrating stock risolve in parte il problema, di fatto rendendo disponibile nello store online tutta la merce che non è stata venduta in store. 

Nelle prime settimane di quarantena, Zara era stato uno dei primi brand a sperimentare con gli shooting homemade, una soluzione per ovviare al problema del distanziamento sociale presto adottata da molti altri marchi, da Jacquemus a Gucci, risultando poi in campagne tutte molto simili. L'intuizione di Zara dimostra la sua grande sensibilità e l'intelligente uso del mezzo digitale, componenti fondamentali per la riuscita di un e-commerce di successo. 

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Oggi il gruppo Inditex può contare su oltre 5.700 store aperti in 79 mercati diversi, e in particolare in Cina, Corea e Giappone, le vendite in store stanno tornando sul livello di quelle dello stesso periodo del 2019.