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Le campagne di moda in quarantena sono tutte uguali?

Un trend che ha fatto presto a mostrare i propri limiti

Le campagne di moda in quarantena sono tutte uguali? Un trend che ha fatto presto a mostrare i propri limiti

Se c’è un genere fotografico che la quarantena ha fatto prosperare è quello dell’autoscatto. Gli ultimi anni, del resto, avevano visto la nascita e l’ascesa del selfie – ascesa parallela a quella a della telefonia mobile – che, in una puntata di The OC, Paris Hilton aveva profeticamente definito “l’autografo del ventunesimo secolo”.  Ma se nel mondo pre-quarantena il selfie era considerato al più una manifestazione di narcisismo e leggerezza, il lockdown lo ha reso l’unico tipo di fotografia possibile. Senza set, senza stylist, senza truccatori e, soprattutto, senza fotografi professionali, tutti quegli individui, quelle riviste e quei brand che sopravvivono e si promuovono tramite la moltiplicazione e diffusione di immagini si sono trovate costrette ad arrangiarsi con i mezzi che avevano a disposizione: cellulari e webcam

A partire da aprile, brand come Paloma Wool e Zara hanno realizzato i primi shooting DIY, ricevendo un certo apprezzamento dalla stampa e dal pubblico. Ma è stata la campagna di Jacquemus, che ha inizialmente coinvolto Bella Hadid (e in seguito anche Steve Lacy e Barbie Ferreira), a ottenere la maggiore risonanza mediatica. La semplicità e la relativa novità della campagna, presentata senza messaggi o manifesti altisonanti e trainata solo dallo star power di Bella Hadid, sono state il suo elemento vincente. Pur non realizzando campagne vere e proprie, invece, Miu Miu e Moschino hanno lanciato le proprie challenge su Instagram, rispettivamente #MiuMe e #MoschinoAtHome, che richiedevano a follower e dipendenti di ritrarsi in casa propria mentre indossavano gli abiti dei brand. Jeremy Scott ha inoltre postato una lunga serie di fotografie scattate nelle case di artisti e amici del brand ma non in forma di challenge aperta né di campagna commerciale vera e propria. Si è trattato in entrambi i casi di un buon esempio di community-driven content che, nel caso di Moschino, ha funzionato bene accostato agli scatti selezionati e pubblicati da Scott – contenuti più “costruiti” ma comunque sempre coerenti fra loro.

A fine aprile, poi, anche Pierpaolo Piccioli di Valentino ha annunciato il progetto #ValentinoEmpathy invitando un variegato cast di celebrity come Gwyneth Paltrow, Ghali, Anwar Hadid, Naomi Campbell e Christy Turlington a farsi ritrarre nella propria casa. Le modalità del progetto, presentato fra l’altro con una lunga lettera firmata da Piccioli stesso, sono rimaste comunque poco chiare, avendo ricevuto copertura dalle principali testate di settore senza che una singola foto venisse mostrata al pubblico tranne un generico poster con i volti dei partecipanti. Al momento, quella di Valentino è una campagna-fantasma: la data in cui le foto saranno pubblicate non è stata specificata, col rischio che arrivino in ritardo rispetto ai tempi, quando l’emergenza non sarà più attuale e tutti vorranno mettersi il pensiero del lockdown alle spalle. Più complesso ancora è il caso della campagna di Gucci, The Ritual, che, seppur con immagini migliori di tutte le precedenti,  arrivando a maggio inoltrato, è apparsa fuori tempo massimo oltre che ammantata dal brand da un’aura di intellettualismo poco consona a un concept così semplice e già visto.

É bastato poco perché il format dello shooting DIY mostrasse la corda. Nonostante gli sforzi fatti dai brand, si direbbe che, venuti meno i fattori della novità e dell’immediata attualità, questi shooting non abbiano molta ragione d’essere - non fosse altro che per la loro ripetitività. Il trend, dopotutto, non è nato per durare ma per adattarsi a un’emergenza - terminata una, sparirà anche l’altro. All’inizio però il concept funzionava: quelle immagini un po’ sgranate dei glitterati chiusi in casa propria erano una piacevole deviazione dai soliti, artefatti servizi fotografici. Tutt’al più, allora, il trend ha palesemente mostrato quanto la moda sia rimasta ferma alle proprie dinamiche di sempre: produrre il maggior numero di contenuto possibile e provare a rimanere rilevante con ogni mezzo a disposizione. Rimane da vedere se il pubblico che emergerà dall’esperienza del Covid-19 sarà ancora legato a quelle stesse dinamiche o aiuterà l’industria della moda ad attuare quei grandi cambiamenti strutturali invocati da molti dei suoi maggiori esponenti.