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Per l'industria della moda il problema non sono le mancate vendite, ma la perdita di brand value

La pandemia da COVID-19 avrà conseguenze importanti anche sulla reputazione e il valore dei grandi marchi

Per l'industria della moda il problema non sono le mancate vendite, ma la perdita di brand value  La pandemia da COVID-19 avrà conseguenze importanti anche sulla reputazione e il valore dei grandi marchi
Fotografo
nss magazine

Ci sono ormai pochi dubbi sull’impatto che il COVID-19 avrà sull’industria della moda. Oltre al dibattito e alle polemiche su un modello, primo fra tutti quello delle Fashion Week, divenuto ormai insostenibile e quindi da ripensare nella sua interezza, restano i primi, drammatici numeri delle perdite che la pandemia globale sta causando al settore. 
Se nello specifico adidas ha annunciato un crollo dei profitti del 97% e H&M ha annunciato la chiusura di sette punti vendita sul territorio italiano, esempi diversi ma che restituiscono il quadro complesso e sfaccettato che l’industria si trova ad affrontare, più in generale i brand fashion e le maison del lusso si trovano ad affrontare un momento senza precedenti. 

Finora le analisi e le previsioni si sono concentrate su un aspetto fondamentale del settore, quello delle vendite, ma non è l’unico fattore da tenere in considerazione quando si parla di brand e del loro valore. Brand Finance stima oggi che in seguito alla diffusione del COVID-19 i brand dovranno aspettarsi anche un calo nel proprio valore, con perdite fino a $1 trilione di dollari in totale

Brand Finance, società di consulenze con base a Londra, stila ogni anno il Global 500 Ranking, la classifica che raccoglie le più grandi aziende del mondo per determinare le più solide e quelle con più valore. Il brand value di un marchio è il risultato della somma di elementi diversi, non solo il trademark dello stesso brand e le proprietà ad esso associate, ma anche asset intangibili, primo fra tutti la reputazione, la brand awareness (il riconoscimento), la brand loyalty (la fedeltà), il miglioramento della qualità percepita, e le associazioni positive legate al brand. Tutti questi elementi, emozionali ed esperienziali, sono quelli che guidano il consumatore all'acquisto finale. 

È la stessa società londinese a sottolineare che i brand più colpiti saranno quelli di apparel, una categoria che comprende tra gli altri Nike, adidas, Louis Vuitton, Gucci, ma anche Zara e H&M, che potranno riportare una perdita fino al 20% nel loro brand value. Come altri settori, la loro ripresa, anche a livello di reputazione, dipenderà dalla durata della pandemia, da quanto saranno in grado di operare innovazioni e miglioramenti alla luce di questa situazione, potenziando innanzitutto il settore dell’e-commerce, e quanto efficacemente saranno in grado di ripensare il loro modello di retail. 

Per quanto riguarda il settore apparel, Nike conquista il titolo di most valuable brand per il sesto anno di fila, grazie ad un brand value stimato intorno a $34.8 miliardi di dollari. Segue in seconda posizione Gucci, mentre sul gradino più basso del podio troviamo adidasLouis Vuitton e Cartier occupano rispettivamente il quarto e il quinto posto. 

In termini di fast fashion, invece, il retailer spagnolo Zara scende in sesta posizione a causa di una perdita nel brand value del 21%, una parabola simile ad un altro retailer di proprietà Inditex, Bershka, che ha perso il 26% in brand value, arrivando ad un valore di $1.6 miliardi. E' sceso invece di quattro posizioni rispetto allo scorso anno H&M, che si trova ora in settima posizione, con un valore di $13.86 miliardi di dollari. 

Il Global Ranking è guidato per il terzo anno consecutivo da Amazon, la prima società ad aver mai superato il valore di $200 miliardi di dollari, un successo destinato a confermarsi anche nei mesi a venire, vista la posizione strategica che il gigante di Jeff Bezos si è ulteriormente guadagnato in questi mesi di lockdown. 

E' ipotizzabile che, sebbene non verrà totalmente stravolto, il Global Ranking del prossimo anno premierà le realtà che meglio hanno resistito e che più hanno prosperato durante i mesi della pandemia, prime tra tutte le aziende tech, i servizi di streaming e le industrie farmaceutiche.