Vedi tutti

La moda ha bisogno di un nuovo modello

4 temi da affrontare per immaginare il futuro della moda

La moda ha bisogno di un nuovo modello 4 temi da affrontare per immaginare il futuro della moda
Fotografo
nss magazine

I modelli ad elementi finiti (FEM) sono un tipo di sistemi matematici che analizzano figure complesse attraverso una serie di aree finite - ossia caratterizzate da elementi di cui si conoscono le proprietà matematiche. L’utilizzo di questi modelli consente di descrivere in maniera lineare il comportamento complesso di un certo sistema. È chiaro che se scegliamo un elemento finito, ad esempio il motore o l’ala di un aereo, le cui proprietà non descrivono i gradi di libertà e gli spostamenti che il corpo può compiere, staremmo commettendo un errore. In altre parole, la scelta del modello da utilizzare è fondamentale per far sì che, in fase di progettazione, l’aereo non collassi. 
Quello che sta succedendo oggi al sistema moda è qualcosa di analogo a ciò che in Ingegneria viene definito “fatal error 5004”, che si verifica quando il comportamento di un corpo è descritto a partire da un elemento erroneo.

La pandemia ha messo a nudo le storture della struttura stagionale su cui gira il business della moda: un modello antiquato e antieconomico che influenza tutta la filiera della moda, dalla produzione fino alle Fashion Week.
Nelle ultime settimane, mentre Londra sta organizzando una fashion week interamente digitale, gli attacchi al sistema moda sono arrivati da più parti: Giorgio Armani in una lettera aperta pubblicata su WWD, invitava i brand ad abbandonare i ritmi folli delle collezioni stagionali e semi-stagionali. Il primo segnale concreto di un cambiamento concreto è stato la decisione di Saint Laurent di abbandonare la canonica schedule della moda parigina – mossa che non rimarrà di certo isolata.
La redazione di nss magazine ha selezionato quattro aree tematiche definiranno il futuro della moda del prossimo decennio.

 

Fast Fashion e Luxury Fashion: chi subirà i danni peggiori?

Dati alla mano, è il settore del fast fashion a stare subendo i maggiori danni della pandemia. H&M ha annunciato la chiusura di sette punti vendita in Italia dopo il  primo trimestre dell'anno - trimestre in cui ha registrato un calo delle vendite pari al -24% anche in territorio cinese. Il problema principale, che accomuna anche altre realtà come Zara e Uniqlo, è la gestione della merce in giacenza nei magazzini e dei dipendenti. 

Il mercato del lusso, invece, sembra aver resistito meglio alla crisi. Kering ha riportato un -15% sui profitti del primo trimestre del 2020, mentre LVMH ancora non ha diffuso dei dati ufficiali. I grandi conglomerati sono più attrezzati nel gestire la rete di retail e il problema delle giacenze, che comunque colpirà anche i grandi fashion brand del lusso: saranno moltissime delle loro nuove collezioni a non vedere la luce delle vetrine. Quello che preoccupa è lo sviluppo della questione su lungo termine, in particolare riguardo la Cina, che prima della pandemia costituiva da sola il 35% del mercato del lusso primario. Gran parte degli acquisti nel campo del lusso infatti avvengono attraverso lo shopping dei turisti, che giustifica la presenza capillare del retail  nelle maggiori città mondo. Ma dopo la pandemia,  il retail non sarà più al centro dell’esperienza fisica e il rapporto brand/consumatore cambierà radicalmente accelerando il cambiamento della concezione stessa di lusso: allontanandosi sempre di più dalla materialità e dallo status symbol e muovendosi verso nuovi standard come l’esclusività di un’esperienza e la condivisione di valori comuni. I brand dovranno insomma prepararsi a comunicare e operare sulla base di una nuova definizione di lusso.

Il futuro delle Fashion Week e della moda dal vivo

“Ora più che mai, il brand controllerà la sua periodicità e legittimerà il valore dei tempi seguendo il proprio ritmo, privilegiando il rapporto fra persone e la loro vita quotidiana" Dal comunicato di Saint Laurent sull'abbandono della Fashion week

Le fashion week sono state l’elefante nella stanza della moda da almeno tre anni e ben prima di Armani fu Tyler, The Creator uno dei primi a uscire dal sistema e criticarne le storture. Le fashion week faticano a essere attraenti o, nel caso delle minori, veramente rilevanti e questo è dovuto alla loro natura di spettacolo anacronistico, inadatto a un’epoca in cui  Instagram e i social media in generale possono sostituirli con notevole risparmio di denaro ed energie – denaro ed energie che vengono invece riversati senza fine in show roboanti che durano appena una decina di minuti.

Un fittissimo calendario di impegni e appuntamenti trascina il circo della moda in un estenuante pellegrinaggio che non tocca solo Parigi, Milano, Londra e New York, ma anche le fiere di settore più importanti, come capita a Firenze con Pitti Immagine; le città delle fashion week minori e le location sempre più lontane ed esotiche delle pre-collezioni che quest’anno, fossero le cose andate normalmente, avrebbe toccato Capri, Lecce, Tokyo, Dubai e San Francisco solo per citarne alcune – con spese organizzative e di viaggi non indifferenti, per non parlare della loro impronta ecologica.

Le dinamiche della fashion week sono antiquate quanto i valori che riflettono: l’ansia di non essere in front row, il cambio d’abito nelle limousine tra una sfilata e l’altra, gli inviti sempre più stravaganti e concettuali recapitati personalmente per l'after party. Per molti versi, le fashion week rappresentano l’ultimo baluardo di una moda esclusiva, inaccessibile e lontana dall’uomo comune nonostante - e molto ironicamente - lo streetwear abbia preso il controllo delle passerelle. Tuttavia, gli show sono ancora oggi il palcoscenico più potente dove un designer può dare corpo alla propria visione, spesso con un approccio coinvolgente e innovativo come nelle ultime sfilate di grandi brand come Gucci, Balenciaga e Louis Vuitton. Le sfilate rimangono il momento capitale della notizia – occasioni in cui la moda si mostra fisicamente in tutta la sua ostentazione e interagisce con le città che le ospitano.

Oggi davanti al blocco forzato delle fashion week a causa della pandemia, il sistema moda ha l’opportunità di cambiare tutto ciò, riflettere su se stessa e su cosa è diventata e aggiornare i propri eventi allo spirito dei tempi. Per questo la decisione di Londra di creare una fashion week digitale e democratica, che grazie alla tecnologia saprà dare a tutti un insight sulle mente creative dietro ciascuna collezione rappresenta un’iniziativa esaltante, che rompe questo circolo vizioso.

Resta vero che la tecnologia può aiutare fino a un certo punto e non è certo in grado di sostituire al 100% un momento fisico – né la moda dovrebbe rinnegare la fantasia e la magia che i suoi eventi sanno ispirare ed esprimere e che le hanno dato quel fascino irresistibile che ha mantenuto attraverso i decenni. Una possibile soluzione potrebbe essere una riorganizzazione di questi eventi, con una serie di fashion week meno istituzionali e un aumento degli eventi cross settoriali legati alle singole realtà cittadine.

Che fine farà la sostenibilità?

Anche se la discussione sulla sostenibilità è passata in secondo piano rispetto all’abbondare di notizie sulla pandemia, il desiderio di una moda più pulita e rispettosa della natura non si fermerà, specialmente nel caso delle generazioni più giovani la cui coscienza civica uscirà rafforzata dall’esperienza della quarantena e che, in special modo, costituirà fra qualche anno una porzione sempre più grande della clientela dei brand di lusso. 

L’opportunità presentata dalla pandemia e ventilata anche da Giorgio Armani – quella cioè di un fashion system più quantitativamente contenuto a livello di produzione, di collezioni e di eventi – andrebbe colta al volo e sfruttata per cavalcare l’inevitabile cambiamento che coinvolgerà non solo la sfera del lusso sul piano economico ma la sua stessa ragione d’essere. Ora più che mai bisognerà abbandonare le pratiche di green-washing e la consolante retorica dell’impegno nella sostenibilità e passare ai fatti: il destino trascina chi non lo segue e se non sarà la moda a ridimensionarsi da sé, la pandemia lo farà da sola.

 

I mercati paralleli e secondari

La Cina rappresenta il cliente più importante da un punto di vista economico per ogni brand del lusso, tuttavia le modalità di penetrazione nel mercato non sono sempre perfettamente trasparenti. Molti brand e buyer infatti usano mercati paralleli o secondari rispetto ai canali ufficiali dei retail.  Per fare un esempio: un buyer italiano compra un milione di merce da un brand, non riuscendo a piazzarla interamente sul mercato ne vende una parte a un compratore cinese a prezzo maggiorato – quel compratore possiederà una rete di distribuzione fuori da quella ufficiale del brand della merce stessa. 

La pratica del parallelo è ormai largamente implementata nel sistema della moda, anche se tuttavia si tratta di una pratica che nasconde rischi notevoli per un brand: Vetements e Buscemi ad esempio rimasero vittime di un mercato parallelo invaso dal prodotto e di una conseguente danno di immagine. Oggi esistono degli strumenti tecnologici sviluppati e interconnessi per evitare queste pratiche o almeno per normalizzarle. Uno di questi è il sistema blockchain, usato dalle criptovalute che è in fase di implementazione in ogni genere di mercato e che, se verrà impiegato come deve nel sistema-moda, garantirà una maggiore sicurezza e trasparenza per tutte le parti interessate. La moda in questo caso potrebbe ripartire dalla tecnologia ed evitare operazioni condotte nell’ombra che, a lungo termine, danneggiano non solo il cliente finale, ma anche i singoli brand e gettano discredito sul industria in generale.