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Il Nuovo Lusso minimale di Bottega Veneta

Daniel Lee si riconferma come uno dei designer più interessanti sulla scena

Il Nuovo Lusso minimale di Bottega Veneta Daniel Lee si riconferma come uno dei designer più interessanti sulla scena

Fra gli imponenti e luminosi teatri creati da brand come Moncler, Gucci e Versace, con ampio dispiegamento di cabine rotanti, megaschermi e plateali installazioni, lo show della collezione FW20 di Bottega Veneta è stato elegante e contenuto. Non ha cercato di creare colpire con la magnificenza della location, nè è stato più intellettualistico di quanto un fashion show richieda di essere. La passerella bianca correva in mezzo a una serie di separé semiopachi su cui era proiettata l’immagine di un portico neoclassico popolato di statue. Ad accompagnare i modelli in passerella c’era una musica d’archi sensuale, ostinata e a tinte fosche, che insieme al richiamo architettonico al porticato immerso nell’ombra e alle sottili animazioni per cui le statue in lightpainting si muovevano ricordava certe atmosfere gotiche dei romanzi di Thomas Harris e del film Intervista col Vampiro di Neil Jordan. Ma a contrasto di questo oscuro romanticismo, l’intero spettacolo si basava su una forte presenza della tecnologia e della sua capacità di rievocare il sentimento. Si trattava però di una tecnologia non ostentata né ansiosa di stupire con gadget futuristici, ma discreta al punto da nascondere macchinari e proiettori, elaborata senza iattanza, con un effetto etereo quasi da lanterna magica. 

Questo set era la cornice più adatta per la collezione che ha sfilato in passerella. A dominare la palette di colori è stato, come è immaginabile, il nero, in una serie di silhouette rigorose e aderenti, ma con twist drammatici improvvisi dati dalle sottili svasature di maniche e pantaloni, dall’uso controllato eppure plateale delle frange, dai baveri enormi e affilati su giacche e knitwear e dalle improvvise iniezioni di verde neon e rosa shocking sia in veste di inserto sui look più scuri che come esplosioni di colore all-over su alcuni dei look massimalisti. La seconda metà della sfilata, invece, ha presentato una serie di colorazioni più “diurne” sui toni del verde, del beige, del rosso e del cioccolato. Il virtuosismo tecnico della maglieria, degli abiti femminili e dell’intrecciato (che è stato riproposto anche in un ibrido fra vest e puffer jacket oltre che negli accessori) è estremo, ma non arriva mai a denotare esclusivamente i capi, a ridurli a pura esibizione di talento. L’amore che Lee nutre per la danza è molto visibile dall’utilizzo di tessuti elastici nei capi che insieme ai tagli creativi e alle frange che decorano gli orli inferiori di maniche e gonne definiscono ed esaltano la figura umana e il suo movimento, insieme anche all’aspetto visivo e alla texture dei materiali.

Daniel Lee, il meritatamente celebrato direttore creativo del brand, è uno dei portavoce di quel nuovo lusso che ha caratterizzato la moda degli ultimi anni – uno dei cui elementi chiave è il valore dell’esperienza. Il suo show è stato il secondo più visto dell’intera fashion week, con l’8,8% di share e, subito dopo, la parola “fringe” ha avuto un aumento del +198% di ricerche online. E in una fashion week in cui le sfilate sono rimaste fra il tradizionale, il già visto e il pomposo, il suo show è stato in grado di coniugare, con il talento tipico dei britannici per l’understatement, estetica e spettacolo senza superare mai il segno nè sbilanciarsi ma portando avanti una visione precisa e complessa – una visione giustamente celebrata dall’archivio digitale @newbottega curato da Laura Rossi e anche dalle cifre del mercato con una crescita del +9,8% nelle vendite nel quarto trimestre del 2019, come riportato dal motore di ricerca Lyst, il cui approccio al luxury contemporaneo, a giudicare dai feedback che ha ricevuto, influenzerà la moda che vedremo sempre di più nei prossimi mesi.