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Che cos’è il digital fashion?

Sono vestiti come gli altri, solo che non esistono

Che cos’è il digital fashion? Sono vestiti come gli altri, solo che non esistono

La scorsa settimana, il CEO di Quantstamp, Richard Ma, ha regalato a sua moglie un vestito da 9500$ che non esiste fisicamente. Si tratta di un vestito haute couture digitale, creato dalla compagnia olandese The Fabricant. Quest'azienda è specializzata nella creazione di digital fashion, ossia vestiti iperrealistici che esistono nella realtà aumentata ma non fisicamente. Una volta che il vestito è stato ideato, invece che i sarti, lo creano programmatori e animatori, come se si trattasse di un effetto speciale, un filtro Instagram ad personam. Richard Ma ha commentato:

“Di sicuro è molto costoso, ma è un investimento... Fra dieci anni tutti indosseranno il digital fashion. È un ricordo unico, un segno dei tempi”.

Il prezzo del processo creativo per una collezione digitale è enorme. I vestiti digitali non devono rispettare le leggi della fisica e gli unici limiti sono solo l'immaginazione del creatore e la sua capacità tecnica. Come riporta Vogue, The Fabricant accetta solo progetti che garantiscano un ritorno minimo di 25.000€ e durino almeno sei settimane. Tutti i pezzi devono essere disegnati manualmente e poi animati in 3D, un tipo di lavoro troppo elaborato perché i brand decidano di incorporarlo adesso nella propria produzione  corrente. Ciò che si può dire è che molti sviluppi tecnologici in campo fashion tendono verso l’obiettivo della realtà aumentata e delle sue diverse applicazioni.

Il digital fashion rappresenta la connessione fra realtà virtuale e sartoria. Ma è davvero diverso dalla versione glorificata di un filtro Instagram? Pur con tutta la sua elaborazione tecnica, accostabile all’arte vera e propria, la moda digitale rimane comunque limitata alla sfera dei social media e dell'e-commerce. L’azienda svedese Carlings ha rilasciato la collezione “limitata” di diciannove capi digitali Neo-Ex facendo il tutto esaurito in una settimana. Il direttore di Carlings, Ronny Mikalsen, ha commentato:

“Suona stupido dire ‘tutto esaurito’, che è teoricamente impossibile quando si lavora a una collezione digitale che si può riprodurre all’infinito. Ma avevamo messo un limite a quanti prodotti avremmo creato per rendere la cosa speciale. Lavorare solo in digitale permette ai designer di creare oggetti che spostino i confini dello stravagante e del possibile”.

In un mondo in cui l'abbigliamento diventa sempre di più una "forma d'arte per social media", come lo ha definito Daria Simonova, non esiste reale differenza tra la foto di un abito reale e quella di un abito virtuale.  Tranne forse che l'abito virtuale è stato adattato digitalmente al corpo dell'utente con l'AR e non ha imperfezioni o pieghe. A conti fatti, per l'influencer che monetizza le proprie foto, è superfluo che l'abito in cui è stato fotografato esista davvero: l'importante è che esista la fotoIn un futuro, l'abito digitale potrebbe diventare tanto esclusivo quanto quello reale e gli utenti pagherebbero per essere ritratti con indosso capi digitali "limitati" che, agli occhi dell'utente medio di Instagram, sarebbero indistinguibili da quelli fisici. 

Anche se, nelle parole di Mikalsen, l’intero concetto “suona stupido”, bisogna ammettere che la realtà aumentata si è lentamente infiltrata nel mondo della moda e del retail. Basti pensare alle skin di Louis Vuitton per i personaggi di League of Legends recentemente disegnate da Nicolas Ghesquiere o la capsule per The Sims creata da Moschino. I grandi brand hanno iniziato a sperimentare con la realtà aumentata già da qualche tempo. Levi’s introdusse i body scanner Intellifit nel 2005. Nel 2011 Chanel  ha creato un’app per “provare” in AR gli orologi della collezione J12 e lo stesso fece Tissot un anno prima e Tiffany nel 2014 con i suoi gioielli. Di recente, Selam X ha creato una app di AR per Vetements.

Utilizzare la realtà aumentata per migliorare l’esperienza del cliente è avveniristico, ma non inaudito: in molti casi il virtual fitting e le virtual dressing room sono già realtà. Zara le ha introdotte nell'Aprile 2018, Sephora possiede specchi con tecnologia "Virtual Try On" anche nei suoi negozi di Milano e nell'app Visual Artist. Altre app simili sono Virtual Catwalk di Asos, DressingRoom di Gap, ModiFace di L’Oreal, i filtri Instagram di Dior per provare gli occhiali da sole e l’app di Balmain che permette di accedere a contenuti in realtà aumentata. Nel mondo delle sneaker, Nike ha creato NikeFit, un’app che usa un body scanner per trovare i modelli di sneaker, e la Puma LQD Cell Origin Air, coperta in QR Codes che sbloccano contenuti AR tramite la app dedicata. Anche Facebook e Amazon stanno creando diverse app di realtà aumentata per indossare digitalmente vestiti prima di acquistarli. Persino il mondo dell’arte sta esplorando il digital con l’opera “Celestial Cyber Dimension” di Guile Gaspar, unione di arte visiva e tecnologia blockchain, che a Maggio è stata venduta per 140.000$.

Questa spinta verso la realtà aumentata possiede però delle contraddizioni. L’esperienza del retail, dell’acquisto fisico in un negozio fisico, con tutto il suo potenziale sensoriale e relazionale non può diventare obsoleto dall’oggi al domani. L’acquisto di un bene è il culmine di un processo che inizia con il desiderio e continua con il tempo speso in negozio. Questo processo include una serie di elementi che possono essere soltanto reali e tangibili. Sono l’estetica della boutique, la comodità dei camerini, la qualità del servizio ricevuto sul posto e via dicendo. Cose che un e-shop non può replicare. Il lusso, proprio per la sua connaturata esclusività, non può ridursi a un blando click. Se così fosse, l’unica differenza fra acquistare lusso e fast fashion sarebbe il costo. Per i brand è ancora importante fidelizzare i propri clienti alla vecchia maniera, cioè tramite l’esperienza sensoriale e il contatto umano. Brand immuni alle oscillazioni dei trend e all’effimera fama dei social, come Hermés e Goyard con il loro deliberato anti-marketing, lo hanno capito da anni. Ed è per questo che nel futuro, il vero lusso continuerà ad essere offline.