Vedi tutti

Supreme e "Kids"

La skate culture newyorkese degli anni '90

Supreme e Kids La skate culture newyorkese degli anni '90
Aaron Bondaroff

Aaron Bondaroff

Justin Pierce e Harmony Korine

Justin Pierce e Harmony Korine

"Daddy Never Understood" dei Deluxx Folk Implosion, pezzo che apre uno dei film più controversi degli anni '90, "Kids", scritto da Harmony Korine (dalla sua penna arriveranno altri film destinati a destabilizzare la critica e l'opinione pubblica come "Gummo" del 1997, di cui sarà anche regista e "Ken Park" del 2002), diretto da Larry Clark, fotografo e regista americano, (esordio per lui alla regia, dirigerà poi anche "Ken Park") e pietra miliare del cinema indipendente americano, è un inno alla rabbia adolescenziale. Perché il filo conduttore che ho scelto per raccontare in modo diverso la storia delle origini di Supreme è la rabbia, che permeava la skate culture newyorkese degli anni '90, catturata in maniera perfetta nel film "Kids", appunto, del 1995. Le due storie sono una dentro l'altra: entrambe sono espressione della controcultura skate di New York di quegli anni e ne rappresentano a pieno l'estetica. 

 

La questione era tutta nell'essere incazzati. 
Era incazzato Harmony Korine, che nel 1994 aveva 19 anni e skateava a Washington Square in una New York che stava cambiando faccia (il Washington Skate Park era il cuore dello skateboarding newyorkese). Rudolph Giuliani è appena diventato sindaco della Grande Mela puntando tutta la sua campagna elettorale sulla "pulizia" della micro-criminalità che aveva tenuto in ostaggio New York per tutti gli anni'80. Ci fu un vero e proprio giro di vite che colpì soprattutto chi faceva della strada la propria casa e non parlo degli homeless. Parlo di quei ragazzi che passavano le loro giornate seduti a terra sui marciapiedi a bere, a fumare erba e a skatare. Harmony Korine definisce la scena skate newyorkese di quegli anni "incazzosissima". 

Justin Pierce e Harmony Korine

Justin Pierce e Harmony Korine

Era incazzato Aaron Bondaroff - o come viene definito nella serie di fotografie dedicata ai personaggi più rappresentativi della Grande Mela Marvels in New York, "A-ron the Downtown Don" mentre da Vogue viene apostrofato come la "quintessenza del newyorkese che grazie al suo lavoro ha influenzato e indirizzato la sottocultura di Downtown" - per anni volto non ufficiale di Supreme e uno dei ragazzi che "lavorava, ci passava il tempo e addirittura ci viveva" in quel negozio al 274 di Lafayette St, tra la Prince e la Houston.

Aaron Bondaroff

Aaron Bondaroff

E lo erano anche tutti gli altri che insieme a lui avevano fatto di Lafayette la loro casa, skateavano e giocavano a calcio o a whiffle-game (una variante del baseball che si gioca con una pallina bucherellata) in mezzo al traffico, non si allontanavano mai dal quartiere: non era un negozio come gli altri, era "l'ultimo social club" rimasto in piedi a Little Italy, Downtown, Manhattan. Non era adatto a tutti, infatti i ragazzi che ci lavoravano avevano creato un modello di business che nonostante i modi rudi e maleducati funzionava, perchè il giorno dopo arrivavano il doppio dei clienti. Chi entrava nel negozio non poteva per nessun motivo toccare la merce esposta, se lo facevi venivi buttato fuori, e fuori ci trovavi gli altri che nel frattempo skateavano e facevano casino e a loro volta ti trattavano pure peggio; eri uno straniero in un territorio che non ti apparteneva e in cui nessuno ti voleva; non eri uno di loro. Loro erano lo skateboard team orginale di Supreme. Era quello il loro modo di stare al mondo. Quel modo di stare al mondo che Larry Clark voleva raccontare.

Le due storie si intrecciano a tal punto che quattro degli skater più rappresentativi della crew originale di Supreme: Gio Estevez, Peter Bici, Mike Hernandez e Justin Pierce, che nel film interpreta Casper - co-protagonista assieme a Leo Fitzpatrick che invece recita la parte di Telly, vero protagonista del film, sieropositivo e ossessionato dalle adolescenti vergini - appaiono nel film. Questo perchè Harmony, trasferitosi a New York da Nashville dopo il diploma per frequentare un corso di scrittura creativa alla New York University, andava in skate, passava il tempo andandosene in giro senza meta, dormiva sui tetti della Grande Mela proprio con loro. Erano i suoi amici, quegli stessi amici che ispirarono - Harmony scrisse "semplicemente" la verità di ciò che succedeva mentre era in giro con i ragazzi - la sceneggiatura del film, scritta in 10 giorni, ebbe una sola e unica stesura. E infatti il film è immediato, diretto, forte e semplice allo stesso tempo che racconta in stile quasi documentaristico la cruda realtà di cui erano protagonisti Korine e gli altri.
Il film racconta una giornata tipo di un gruppo di adolescenti dediti all'alcol, all'uso di droghe, al sesso promiscuo senza protezioni, alla microcriminalità, alla violenza e con l'ombra incombente dell'Aids. Sullo sfondo i video di skate - gli stessi mandati in loop all'interno dello store Supreme di Lafayette - bighellonare a Washington Square fumando erba e facendo skate fino a quando hai forza nelle gambe. 

Larry era affascinato da quei ragazzi che andavano in giro come "cani randagi" e con la sua Leica cercava di catturare pezzi delle loro vite. I ragazzi non vedevano di buon occhio gli adulti ma con Larry era diverso. Clark pensava che il loro modo di affrontare la vita fosse fico e valesse la pena raccontarlo e ci fu un momento che cambiò la vita di tutti: Larry un giorno si sedette accanto ad Harmony e gli disse che voleva fare un film e Harmony rispose che anche lui voleva fare un film, dato che fin da ragazzino girava video e portava sempre con se le videocassette e gliene diede una. 

A quel punto Clark capì che l'unico modo per rendere il film davvero autentico era quello di farlo scrivere a chi quel modo lo viveva quotidianamente e ne conosceva ogni situazione, ogni sfaccettatura e soprattutto il linguaggio - elemento fondamentale di cui parla anche Bondaroff nella prefazione del libro "Supreme: Downtown New York Skate Culture" edito da Rizzoli New York. 
Gli anni '90 a New York sono stati un grosso calderone dove le controculture nascevano e prolificavano grazie alla casualità e alla confusione del momento. Le feste del mercoledì sera al Tunnel di Funkmaster Flex erano un evento, le più importanti feste hip-hop della città dove skater, artisti, fotografi, musicisti, rapper, si incontravano, si mescolavano influenzandosi a vicenda. L'estetica di Supreme e di "Kids" è infatti il risultato degli "ingredienti" all'interno del calderone. 

Le riprese del film iniziarono nel 1994, proprio quando James Jebbia aprì il primo shop Supreme a Lafayette. Quello non era soltanto un negozio, come ho provato a spiegare prima, era un luogo autentico - così come la sceneggiatura del film - tutti gli item in vendita erano disposti tutti intorno al negozio e il centro era vuoto perché così ci si poteva entrare con lo skate; più vero di così non si poteva: da skater per skater. Già nel 1995 quel negozio fu oggetto di un interessante articolo di Vogue che provava a paragonare il negozio di Chanel al 57 della Fifth Avenue e quel nuovo skate shop a Downtown che aveva catturato l'attenzione di tutta la città e che ben presto avrebbe condizionato il mondo dello streetwear con un impatto talmente devastante che nessuno avrebbe potuto prevedere. 

Ho parlato di rabbia e di essere incazzati, gli adolescenti lo sono sempre. Chi più chi meno manifestano questa insofferenza nei confronti del mondo che sfocia e si placa ascoltando musica, facendo sport seguendone la disciplina, studiando, suonando uno strumento o semplicemente crescendo. Io quella rabbia l'ho provata, così come la provavano tanti adolescenti in giro per il mondo, e l'ho provata negli stessi anni e alla stessa età di quei ragazzi che a metà degli anni '90 massacravano le loro tavole da skate. Io provavo a fare lo stesso, in un contesto diverso ma difficile allo stesso modo, quello della provincia del Sud Italia che all'epoca e tuttora tanto prende e poco restituisce. Mettevo i miei baggy jeans, le mie airwalk, le mie magliettone Independent e provavo ad imitare ciò che loro facevano per davvero.