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Bolsonaro, Ronaldinho e il cortocircuito della politica brasiliana

Perché molti ex giocatori stanno appoggiando il Trump brasiliano?

Bolsonaro, Ronaldinho e il cortocircuito della politica brasiliana Perché molti ex giocatori stanno appoggiando il Trump brasiliano?

Proprio in questi ultimi tempi è divenuto abbastanza attuale in Italia il dibattito sul perché gli atleti italiani più in vista non fossero minimamente impegnati politicamente, come accade ormai ogni giorno di più negli Stati Uniti. Neanche il tempo di far sviluppare la discussione pubblica in modo più esteso che dal Brasile ci arriva una risposta: perché non sempre scelgono il lato 'giusto'. Se negli USA per adesso le manifestazioni sono state di dissenso contro Trump, in Brasile Jair Bolsonaro, che viene proprio definito “il Trump brasiliano” sta invece incassando il consenso da alcuni dei nomi più in vista del calcio brasiliano - di conseguenza mondiale - e al primo turno delle presidenziali ha stracciato Fernando Haddad, il suo avversario, assestandosi su circa il 47% dei voti contro i 28% di quest’ultimo.

 

Chi è Bolsonaro

Jair Bolsonaro è un fascista ed un populista. Nato sessantatré anni fa nello stato di San Paolo da genitori di origine italiana, ha passato 17 anni nelle forze militari brasiliane, fino a raggiungere il grado di capitano. Parliamo degli anni della dittatura militare brasiliana, iniziata nel 1964 e conclusa nel 1984, periodo che Bolsonaro non ha mai perso occasione di rimpiangere, come quando affermò che l’unico errore di quelli anni fu quello di “torturare e non uccidere”. Nonostante ciò in realtà Bolsonaro vanta un lunga carriera politica, per lo più passata ai margini: eletto deputato dello stato di San Paolo nel 1988 con il Partito Democratico Cristiano, tre anni dopo diventa deputato federale e da quel momento è una presenza stabile nel Senato brasiliano. La svolta per lui avviene probabilmente nel 2016, quando Dilma Rousseff decade dalla carica di presidente del Brasile, grazie al voto del Senato brasiliano, in seguito alle accuse di aver falsificato il bilancio del paese per essere rieletta: fra i 61voti a favore della deposizione c’è ovviamente anche il suo. A Gennaio del 2018 la mossa decisiva: abbandona il suo partito storico, e passa al Partito Social-Liberale Brasiliano, di orientamento di estrema destra e nazional-conservatore e si presenta con questo alle presidenziali. È subito dato per favorito, in particolare dopo che durante un comizio viene accoltellato al fegato da uno squilibrato; la risposta emotiva di un paese al totale sbaraglio è tutta con lui. In più nelle stesse ore dell’avvenimento veniva respinta la candidatura virtuale dal carcere, dell’ex presidente Lula, un uno-due da k.o. per la sinistra brasiliana.

 

Come osservato da più parti, Bolsonaro non ha mai illustrato un programma elettorale, si è limitato a fare una politica dai toni aggressivi e tesi contro la sinistra, contro le minoranze, contro la criminalità, insomma una politica dei 'contro' e nient’altro. In pratica il consenso di Bolsonaro si è sviluppato in modo molto simile a quello di Trump negli Stati Uniti o di Matteo Salvini da noi: una campagna demagogica che ha fatto leva sull’emotività di un popolo che, soprattutto nelle sue classi medio-basse, si è sentito tradito dallo storico Partito dei Lavoratori di Dilma e Lula, con questi ultimi invischiati negli scandali di tangenti venuti a galla nel 2014 e incapaci di farsi da parte in tempo per far riguadagnare fiducia nel partito agli elettori. Insomma, a meno di clamorosi ribaltoni al prossimo turno, andrà al potere un individuo omofobo (“preferirei un figlio morto ad uno gay”), guerrafondaio, violento (“un bandito morto è un bandito buono” per anni il suo slogan), dispotico e sessista (“le donne devono guadagnare di meno perché rimangono incinte” e rivolgendosi a una collega del senato “non ti violento perché non te lo meriti”) ormai reso, secondo uno schema ormai fin troppo riconoscibile, paladino dell’incorruttibilità e onestà, depositario della molare e di quei valori persi per colpa delle precedenti gestioni politiche.

Porque Dinho?

Se pensiamo a Ronaldinho sul campo non possiamo che sorridere. L’elastico, il no-look, i tacchi, i doppi passi e le rovesciate, quei capelli ribelli e i dentoni sempre fuori a formare un'espressione fra le più contagiose mai visti. Non c’è una persona sulla faccia della terra che riuscirebbe a pensare al Ronaldinho giocatore e a provare anche solo il più piccolo briciolo di antipatia, perfino gli stessi tifosi del Real Madrid dovettero riconoscere la sua grandezza, con una standing ovation del Bernabeu che passerà alla storia, riservata solo ai più grandi campioni della storia (l'ultimo giocatore a riceverla è stato Francesco Totti). Il suo modo di giocare, la pura gioia, l'incoscienza e il divertimento senza badare quasi a nient’altro erano ciò che hanno fatto innamorare di lui tutto il mondo, sono anche stati per anni il biglietto di presentazione del suo Paese all’estero, ma nel tempo sono diventati anche la sua debolezza, fino a mostrare tratti caricaturali.

 

Se c’è però un mondo che non riusciamo sicuramente ad associare all’immagino del Gaucho è quello della politica. Per questo quando a marzo scorso è stata resa ufficiale la sua iscrizione al Partito Repubblicano, e seriamente presa in considerazione una sua candidatura al congresso brasiliano, la notizia non ha suscitato più clamore del solito: d’altronde Dinho da quando ha smesso di giocare non è mai stato fermo e si è impegnato in mille e nessun impegno più o meno inerente al mondo del calcio. Insomma era sembrata solo l’ennesimo capitolo della vita di un ragazzo di trentasette anni che, ad oggi, non ha ancora ben capito cosa vuole fare da grande. La situazione è però cambiata poco tempo fa nel momento in cui Ronaldinho ha cominciato a manifestare il proprio supporto nei confronti di Bolsonaro, posando prima in foto con il libro scritto dall’ex capitano dell’esercito, e solo in questi giorni con un tweet eloquente in cui posa con la maglia numero 17, codice di Bolsonaro per il voto elettronico. “Per un Brasile migliore desidero la pace, la sicurezza e qualcuno che ci ridia gioia. Ho scelto di vivere in Brasile e voglio un Brasile migliore per tutti”.

 

Non si riesce a capire il perché di questo endorsement. Al di là delle due opposte figure pubbliche che i due incarnano per il Brasile, soprattutto in sede extra nazionale, ci sono due ulteriori questioni: Ronaldinho è nero, Bolsonaro è un noto razzista, che negli anni si è lasciato andare a commenti disgustosi, per i quali è stato anche indagato; Ronaldinho è nato povero ed è orfano di padre dall’età di otto anni, Bolsonaro è simbolo di un establishment di ricchezza e spietatezza nei confronti delle classi più povere e disagiate. Ma il Gaucho non è il solo 'insospettabile' sostenitore di Bolsonaro, che fra i calciatori ha trovato supporto in primis da una vecchia conoscenza del calcio italiano, quel Felipe Melo ora in forza al Palmeiras che mesi fa ha postato un video in supporto del candidato e poi il 17 Settembre, dopo un gol siglato contro il Bahia, nel post partita lo ha esplicitamente dedicato al politico.

Ci sono poi Jadson del Corinthians, Rivaldo, che lo ha definito “il candidato ideale per il Brasile”, e per ultimo, ma secondo per clamore solo a Ronaldinho, Lucas Moura, ora al Tottenham. Anche Lucas ha affidato a Twitter i suoi complimenti e il suo sostegno al candidato dell’estrema destra, in particolare dopo l’attentato di cui si parlava sopra.

L’unica voce fuori dal coro per ora è provenuta dal re dei calci di punizione, Juninho Pernambucano, che ha scelto anche un media più istituzionale come El Paìs Brasil a cui affidare le proprie parole, riassumendo perfettamente tutte le perplessità che sono nate fin qui: 

“Divento matto quando vedo giocatori ed ex giocatori di destra. Noi veniamo dal basso, siamo il popolo. Come possiamo schierarci dall'altra parte? Appoggerai Bolsonaro fratello mio?” 

Un’intervista di rara lucidità e interesse durante la quale l’ex giocatore del Lione affronta diversi temi scottanti della giovane democrazia del suo paese, snocciolandoli in modo chiaro e conciso, e in cui si sbilancia anche in una previsione che sembra si stia avverando: “La nostra democrazia è molto giovane, ma le basi sarebbero capire che il voto di ognuno ha lo stesso peso. Nero, bianco, povero, ricco: nessun voto vale più di un altro. Il problema è che, dopo così tanto tempo di un governo di sinistra, la disperazione per la ripresa del potere ha accecato alcune persone. Hai avuto bisogno di quanti, prima di avere Dilma? Aécio, Eduardo Cunha, Temer e ... La stampa, poi! Ha strappato i nostri voti e ci ha portato a questo terrore. Sostenete Dilma adesso, alle urne! Per quanto pessimo fosse il paese prima, non siamo mai arrivati  in questa situazione, dove un estremista viene votato come presidente. Puoi scrivere lì: i media mainstream supporteranno Bolsonaro se andrà al secondo turno.”

Per altro il Brasile ha anche diverse figure profondamente di sinistra all’interno della storia del suo calcio. Basta pensare a Sòcrates e all’esperienza della Democrazia Corinthiana o all’allenatore della nazionale brasiliana campione del mondo nel 1970, João Saldanha, giornalista e comunista, in tempi più recenti abbiamo Romario, dal 2010 deputato in Parlamento eletto nelle fila del Partito Socialista. Più in generale la maggior parte dei grandi club brasiliani, a partire dal già citato Corinthians ma anche il Palmeiras (la squadra di Bolsonaro) e il Flamengo, hanno preso le distanza dal candidato presidente.

Il discorso sembra essere molto 'semplice': pur essendo le origini di questi giocatori umili, ora fanno parte anche loro di una minoranza di ricchi che deve salvaguardare prima di tutto i propri interessi. Forse è la paura di tenersi stretti le proprie ricchezze, forse la voglia di accrescerle ulteriormente o semplicemente la totale inesperienza in ambito politico e l’ingenua passione per una figura che passa per essere onesta e pulita, che promette mari e monti facendo leva su sentimenti quasi pornografici nel loro essere così grafici e netti, senza sfumature. Fatto sta che questa faccenda ci ha mostrato l’altro lato della medaglia quando si parla di atleti e politica, un connubio che riserva belle e brutte sorprese.

Grazie a Valentina Bernardi per l’aiuto con il portoghese