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Cosa significa la collaborazione di Virgil Abloh con il Louvre?

Come la black community sta riprendendo il proprio spazio nel mondo dell’arte

Cosa significa la collaborazione di Virgil Abloh con il Louvre? Come la black community sta riprendendo il proprio spazio nel mondo dell’arte
«Sono sempre stato affascinato dal lavoro di Leonardo Da Vinci - già dagli anni dell’università, in Wisconsin, durante le lezioni di arte. Mi interessavano molto non solo i suoi dipinti ma anche l’influenza che aveva in diverse discipline che non erano l’arte: scienza, ingegneria, architettura».

Sono le parole di Virgil Abloh, che si è laureato proprio in architettura, pronunciate in occasione del lancio della collezione realizzata da Off-White™ per il Museé du Louvre per i 500 anni dalla morte del genio italiano, la cui influenza su Abloh non è né recente né tanto meno sorprendente, considerato il modo polivalente in cui il designer ha sempre approcciato l’arte e la moda. 

Nel dare la notizia della collaborazione Adel Ziane, direttore delle Pubbliche Relazioni del Louvre, ha detto:

«La nostra collaborazione con Off-White e questo artista dai diversi talenti ci da l’opportunità di raggiungere un nuovo pubblico e incoraggiarlo ad interessarsi al Louvre».

Queste parole lasciano intendere come sia l’istituzione la parte più interessata dalla partnership, una situazione che non si verifica spesso, e che fa riflettere sulla grande rilevanza raggiunta da Abloh in questi anni. Inoltre, è interessante e per certi versi contro-intuitivo che istituzioni classiche come gli enti museali si rivolgano al mondo della moda per provare a coinvolgere audience che gli sarebbero estranee e che anagraficamente e culturalmente sono loro lontane. Permettere alle persone di “indossare” le loro opere preferite attraverso lo streetwear di lusso fa parte di quel processo di avvicinamento al nuovo concetto di lusso e di contaminazione tra alto e basso che sta pervadendo ogni comparto di moda e arte.

Le foto ufficiali della release di Off-White e Louvre sono state scattate nella Grand Galerie del Louvre, la sala più famosa dell’intero Museo - fatta eccezione per quella che contiene la Monna Lisa - e che rappresenta una sorte di Sacro Graal per l’arte classica museale. La stessa sala in cui, nel giugno del 2018, Beyoncé e Jay Z girarono una buona parte di “APESHIT”, il video del primo singolo estratto dal loro album collaborativo. Il video non aveva solamente avuto un grande impatto mediatico - tale che lo stesso Louvre decise di realizzare un percorso tematico per la visita delle opere coinvolte nel video - ma anche pubblicitario (il direttore del Louvre annunciò che “APESHIT” aveva attivamente contribuito al grande 2018 del museo). Il più grande risultato del video fu la nascita di una conversazione positiva attorno alla riappropriazione degli spazi museali da parte degli afroamericani. Luoghi da sempre eurocentrici, dai quali gli afroamericani sono stati storicamente esclusi, se non fosse per le eccezioni brillanti di artisti come Basquiat o Kehinde Wiley - l’artista che Obama ha scelto per il tradizionale ritratto presidenziale conversato alla a National Portrait Gallery. Ma pure in questi casi, l’arte nera è spesso stata goduta dal pubblico bianco, magari estraneo ai significati più profondi dell’opera, o alla sua rilevanza socio-politica. Il paradosso è ben rappresentato da una delle prime scene di Black Panther, in cui la guida del museo londinese che accoglie Killmonger non è a conoscenza del valore (il vibranio) dell’opera a cui il personaggio interpretato da Micheal B Jordan si mostra interessato. 

Da qualche anno invece questo processo di riappropriazione delle arti da parte dei creativi è sempre più forte ed evidente. I prodotti della black culture hanno conquistato il mainstream musicale, le copertine delle riviste di moda, le riviste di moda stesse.

«L’incorporazione della “blackness” è molto importante in spazi che non solo hanno escluso i soggetti neri, ma spesso sono pieni di oggetti che hanno una diretta relazione con la storica soggiogamento dei corpi neri attraverso la schiavitù e lo sfruttamento dei salari. É raro trovare esempi, al Louvre, di arte di figure nere che non sono usate solo in modo decorativo», ha scritto Theodore Barrow, professore d’arte e curatore, su The Fader parlando di APESHIT.

La letteratura attorno al video dei coniugi Carter è stata così forte perché il lavoro è arrivato nel periodo in cui il possesso e la riappropriazione di opere d’arte da parte degli afroamericani è stato normalizzato. Nel 2013 Jay Z ha comprato Mecca di Basquiat - un iconico quadro raffigurante New York - per 4.5 milioni di dollari. Qualche anno dopo, Sean Combs aka Diddy ha comprato per la cifra record di 21.1 milioni di dollari Past Times di Kerry James Marshall, il prezzo più alto mai pagato per l'opera d’arte di un afroamericano. E ancora nelle scorse settimane, durante l’Art Basel di Miami Travis Scott pareva essersi interessato all'acquisto di un'opera raffigurante Krusty il Clown dei Simpson realizzata da Tom Sachs e quotata circa 225 mila dollari.

Il tema del possesso dell’arte nera è stato anche al centro di una esposizione che si è tenuta a Miami proprio durante l’Art Basel ma fuori dal suo programma ufficiale, Who Owns Black Art?.

«Per la società va bene che siamo i produttori e generatori di cultura. Ma quando arriva il momento di ricevere il giusto premio, o essere riconosciuti per il genio della nostra creatività, lì sembra sempre esserci un problema».

Il discorso di Tia Oso non vale solo per l’arte, ma può essere allargato al mondo dell’intrattenimento americano, da quello musicale, a quello televisivo e ovviamente quello della moda. O meglio, poteva. 

Tyler Mitchell, il primo fotografo nero nonché il più giovane in assoluto a scattare una cover di Vogue - nel numero di settembre 2018 che ritraeva Beyoncé in copertina - è entrato lo scorso agosto nella collezione dello Smithsonian, proprio con un ritratto di Bey. Ovviamente, la nomina di Virgil Abloh, e cioè di un afroamericano di Rockford, Illinois, a direttore creativo di Louis Vuitton rappresenta il culmine in questo processo, così come il fatto che un brand di streetwear - dello stesso direttore artistico afroamericano - entri al Louvre dalla porta principale: «Voglio mettere insieme questi due mondi che sembrano così diversi tra loro: la moda e l’arte classica. É una parte cruciale del mio lavoro essere capace di dimostrare che un pezzo, non importa quanto esclusivo sembri essere, è accessibile a tutti», ha detto Abloh in occasione dell’annuncio della nuova collezione, ribadendo una volta di più l’intenzione di modificare le vecchie regole della distribuzione e del possesso dell’arte, oltre che la definizione di cosa possa essere inteso oggi come arte o come lusso.