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Al timone del marchio sperimentale parigino Y/Project, direttore creativo del brand di lifestyle italiano Diesel, secondo stilista ospite per la Couture di Jean Paul Gaultier: a soli 39 anni Glenn Martens è sulla vetta dell’Olimpo dei designer più acclamati dal fashion system. Quando fa il suo ingresso nella stanza dimostra molti meno anni di quelli che ha. Il suo look thriftato, boots e camicia a quadri neri, ricorda l’uniforme dei giovani berlinesi a passeggio la domenica, eppure è gioviale. Mentre parla del suo lavoro in un mix di passione e pragmatismo, si intravede l’estro dietro a quegli abiti sempre sublimamente in bilico tra decostruzione e rigore sartoriale, intrigo e sensualità esplicità. «La bellezza non mi interessa - afferma gesticolando - non è il mio scopo, è sempre il processo che porta al prodotto e l'effetto sorpresa. Mi piace stupire le persone e stupire me stesso con qualcosa di inaspettato». Un bomber legato in vita abbinato a un paio di jeans in denim dalla tela a zig zag da Y/Project, una gonna/cintura inguinale targata Diesel, un abito verde smeraldo increspato per la Couture di Gaultier: inaspettato, in effetti, è un termine calzante. Ma per capire meglio questo approccio bisogna fare un passo indietro, viaggiare nel tempo, alla sua infanzia a Bruges, nella terra che ha dato i natali a Raf Simons, Martin Margiela, Dries van Noten: «Il Belgio non è un paese bello come l'Italia, dove anche le città più piccole sembrano uscite da una fiaba. Il Belgio è fiorito durante la rivoluzione industriale, quindi è grigio, ostile, brutalista. Per questo motivo il popolo belga tende a ricercare la bellezza in luoghi inaspettati: decostruire ciò che vediamo e ricostruirlo altrove per trovare bellezza in qualcosa di meno ovvio. Questo è il mio approccio alla moda.»

Con Diesel, la concettualità ruota principalmente intorno al tessuto e ai trattamenti a cui viene sottoposto, un gioco di trasformismi che si concretizza nel denim, il materiale che ha determinato il successo del brand nei primi ‘2000, tanto da spingere un Glenn adolescente a mettere da parte i primi soldi per comprarsi un paio di jeans Diesel. Forse un segno del destino. «Innanzitutto, il denim è una tela molto semplice da monipolare perché la struttura è molto rigida e stabile, ma allo stesso tempo trasformabile. È adatto ad ogni occasione, a secondo di come lo si abbina, con un tacco alto si può andare a un cocktail party, con gli scarponi da arrampicata si può fare trekking, con le sneaker partecipare ad un rave. È molto democratico, ed è per questo che lo amo, per la sua versatilità.» C’è in effetti una certa verve democratica nel lavoro di Martens per il brand, tanto nel design dei capi quanto nell’urgenza di trasmettere un messaggio globale, passando dall’inclusività alla sostenibilità. «Ovviamente non siamo Madre Teresa» commenta ridendo. «Ma in termini di responsabilità, inevitabilmente oggi non è più come negli anni '90. Specie quando si tratta di un marchio di lifestyle come Diesel. È una responsabilità che deriva dalla consapevolezza di parlare a tante persone.» Ad un certo punto il discorso cade sul Y2K, su come le sue creazioni abbiano contribuito a riabilitare un’epoca estetica che credevamo morta e sepolta e che ora invade in egual misura strade, feed e passerelle. A quanto pare, non era intenzionale. «Non so cosa ci sia di strano in questa storia degli anni 2000. Posso solo dire che per me è successo in modo molto naturale, perché Diesel è radicato in quell'epoca. Ogni direttore creativo intelligente che approda a un marchio dovrebbe impegnarsi a capire il motivo per cui tale marchio è diventato famoso. Per Diesel è stato più uno stile di vita, un atteggiamento "no bullshit" che sto cercando di rappresentare attraverso il marchio, molto diretto e un po' sfacciato, radicato nell'era di MTV e del divertimento.» 

Il metodo è la firma apposta a realtà molto diverse tra loro ma in qualche modo riconducibili a Martnes tramite una certa idea di design: «Devi rimanere fedele a te stesso, è la cosa più importante che ho imparato: l’integrità. All’Accademia di Anversa mi hanno insegnato a rifare le cose, mi dicevano sempre di rifare qualsiasi progetto scolastico. Non spiegavano mai cosa ci fosse di sbagliato nè il motivo. Questo mi ha permesso di trovare un linguaggio, connettermi realmente con me stesso.» Se con Diesel la sfida è stata portare alla ribalta uno storico brand di lifestyle interagendo con un pubblico sempre più ampio, con Jean Paul Gaultier si trattava di «un grande sogno, di vestire dee con abiti che hanno poco a che fare con la realtà», per Y/Project, il brand fondato da Yohan Serfaty di cui Martens è il direttore creativo dal 2013, c’è di mezzo l’avanguardia. Eppure anche «per Y/Project, la mia aspirazione come designer, non è quella di compiacere me stesso. Il mio ego creativo non è sempre legato alla sensazione di successo. Non è una questione di cosa voglio io. A volte mi sento estremamente felice anche solo nel vedere persone che indossano una maglia Diesel basica, bianca, organica e con il logo, un logo che non ho di certo ideato io ma che ho reinterpretato. Penso che sia già molto bello sapere che la gente per strada indossa una maglietta sostenibile e che ne stiamo vendendo a milioni, così come mi rende felice vedere Rihanna con un total look dei miei modelli più folli, sono solo sensazioni diverse.»


Credits:

 

Photographer: Anna Adamo

Photographer Assistant: Veronica Brunoni

Interview: Maria Stanchieri

MUA: Cristina Bonetti

Social Media Coordinator: Ilaria Grande

Editorial Coordinator: Elisa Ambrosetti, Edoardo Lasala