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Il sacro legame tra calcio e street art

Cinque murales di cinque leggende del calcio

Il sacro legame tra calcio e street art Cinque murales di cinque leggende del calcio

La sacralità delle cose impone necessariamente delle raffigurazioni, la manifestazione opulenta di una rappresentazione grafica, come sfogo di una incontenibile fede. E maggiore è l’ortodossia rappresa, maggiore è il bisogno di trasferire in modo superficiale – in senso letterale, come superficie – l’oggetto della venerazione. In questo ossequioso rituale tutto ciò che conta è tramandare con qualsiasi mezzo il dogma in oggetto: preghiamo, fratelli.

E la liturgia calcistica permette, per fortuna, di circoscrivere l’istinto fideistico a un unico soggetto degno di adorazione, senza il timore di un Dio all’infuori di lui; quando si è scelto chi adorare, non c’è nuovo orientamento che tenga. E se abbiamo coscientemente trasformato le chiese in campi d’erba ed i canti sacri in cori collettivi, allora non c’è volta o parete che debba essere contenuta all’interno di un palazzo, per quanto ricco di ori ed incensi. Nessuna deposizione di Cristo, né adorazione della Vergine Maria.

Solo la salda roccia, quella nuda e cruda, che attende pazientemente di essere mitizzata; come qualcuno che mostra orgogliosamente il simbolo della propria appartenenza, perché si è fortunati anche ad essere un muro, ad essere eretto in quel preciso luogo, in quell’esatto momento storico.

E non può esservi migliore tela di un palazzo in perenne attesa di interventi di ristrutturazione, ne migliore pigmento acrilico di una bomboletta spray. L’evoluzione della fede passa attraverso l’evoluzione delle manifestazioni della fede stessa, dei modi di tramandare l’adorazione, e lungi da noi, adoratori del pallone, virare verso la non ecumenica e clerical-sorrentiniana “assenza è presenza”. La chiesa di cui parliamo accoglie tutti e culla tra le sue braccia forti, purché, una volta optato per il credo calcistico, non ci si tiri indietro.

George Best


Best è l’incarnazione stessa di un duplice conflitto, quello tra talento e tendenza all’autodistruzione, nonché di giocatore legato a una squadra inglese e alla sua nazionale e il suo paese, un paese dove il sangue ha riempito per decenni le strade. Il rosso di Manchester, il verde dell’Irlanda del Nord. Questa perenne oscillazione non ha mai trovato una sintesi perfetta, “Tu sei il più forte di tutti ma solo perché io non ho tempo”, avrebbe detto a Cruijff durante un match con l’Olanda, e che sia vero o meno sarebbe comunque coerente con un personaggio tanto aulico nelle sue giocate quanto blasfemo nei suoi atteggiamenti, in particolare quando canzonava un Dio come Johan.


Francesco Totti


Checché se ne dica, e per quanti ottavi Re di Roma si annuncino, provate a chiedere in giro, per i vicoli trasteverini, quale sia l’unico, quella rarità che nasce una volta per secolo. Non vi faranno nemmeno finire la domanda, perché: “Totti nun è pe tutti. Totti è come quei grandi intellettuali incompresi che vengono apprezzati solo dopo cento, ducentanni. La sua grandezza andrà vista ala luce da storia da ribbellione dei popoli oppressi che vedono in lui n’esempio, capito come?”. Popoli oppressi, se non Gesù, quantomeno Mosè, ed effettivamente, questa cosa qui è un po’ come dividere il mare.


Gary Medel


Non facciamo i fenomeni, perché serve anche gente che corre, prende e – soprattutto – da qualche legnata. I cileni stanno vivendo due generazioni dorate di giocatori, ma Sanchez ed il genio sprecato Valdivia poco avrebbero potuto senza lavoratori instancabili come Medel. Se poi ci metti che il giocatore si sia adattato subito al tatticismo italiano, migliorando anche la propria tecnica, un posto nel nostro cuore ci sarà sempre. “La vita è piena di belle cose. È vero, ma la riconoscenza è la più bella di tutte”, ed i cileni non se ne sono dimenticati.


Marco Van Basten


Il lutto in me per il suo precoce ritiro non si estingue ancora e mai si estinguerà”, disse Carmelo Bene. Ma se giochi fino a 28 anni e anche chi non mastica calcio ti mette tra i dieci giocatori più forti della storia, un motivo ci sarà. E diciamo che il motivo è questo. La street art è fatta anche di entropia, da cui però spesso vien fuori una figura chiara e definita, che attira gran parte della nostra attenzione anche se non è l’unico elemento che abbiamo di fronte. Proprio come questo murales, e proprio come faceva Marco Van Basten in campo: una forma elegante in mezzo alla confusione.


Diego Armando Maradona


Se quello che cerchiamo è il monoteismo, allora non c’è stato altro Dio. Non per preferenze di sorta o giudizi aprioristici ma semplice intensità della devozione che due popoli hanno avuto verso questo piccolo uomo. “Il più grande campione che ho visto giocare è Diego Armando Maradona. Credimi, figlio mio, non esisterà mai più, nei secoli dei secoli, un altro come lui. Ha fatto dell'imperfezione la perfezione. Piccolo, gonfio, dedito ad albe stanche, svogliate e sbagliate, vittima di falsi amici e della volontà di andare oltre ogni regola, Maradona ha trasformato un semplicissimo pallone di cuoio in uno scrigno di bellezza”, disse di lui Darwin Pastorin, giornalista, brasiliano – per la cronaca. Se c’è un riverbero di divinità, questo va cercato nella capacità del giocatore di modificare la realtà circostante a proprio piacimento.

La bellezza, quella grande, è questo che il calcio ci da. Come un abbraccio, di quelli caldi e consolatori, come quello che questo tifoso del Boca Juniors ha chiesto senza pretese di raffigurazioni o colori, in onore di un apostolo del calcio elegante e meraviglioso che tanto amiamo, Roman Riquelme.