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Diversi e uguali: la storia nel fashion di Allen Iverson & Shaquille O'Neal

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Diversi e uguali: la storia nel fashion di Allen Iverson & Shaquille O'Neal New Sport Side

A guardarli così, Allen Iverson e Shaquille O’Neal, sembrano provenire da due galassie diverse. Uno è nato a Hampton, in Virginia, l’altro nella bella ma sfigata Newark, nel New Jersey. Uno ha fatto del fisico la sua fortuna, il punto di forza attraverso cui demolire gli avversari, l’altro, alto poco più di un metro e ottanta (poco per gli standard NBA) da quel limite ha tratto la forza interiore per dominare i parquet di mezza America. Uno faceva il playmaker, l’altro il centro, i due opposti indispensabili per costruire un roster di successo. Uno, Shaq, ha vinto tutto quello che c’era da vincere, l’altro, Allen, è stato uno dei più straordinari perdenti nella storia del gioco. A descriverli così, i punti di contatti sembrerebbero nulli.

E invece, quando l’altro giorno la Hall of Fame della NBA ha annunciato che li avrebbe introdotti entrambi nella classe del 2016 (insieme a un'altra leggenda, il cinese Yao Ming), tante similitudini sono affiorate alla memoria degli appassionati. Entrambi ad esempio sono entrati in NBA dalla porta principale, quella della prima scelta assoluta al Draft, a 4 anni di distanza l’uno dall’altro ed entrambi hanno rivoluzionato l’NBA sia dentro che fuori il campo. In quel modo così diverso che avevano di approcciarsi alla Lega, Shaq e Iverson sono stati testimoni ideali dei magnifici 90s vissuti dall’NBA, quando il basket schizzò nelle case di americani e non con le signature sneaker, i buffi commercial in tv e le mode non proprio da passerella.

Shaq e Iverson hanno condiviso prima di tutto lo sponsor, quella Reebok che dal 1989 aveva provato a combattere l’incombente monopolio della Nike e del figlio prediletto d’America Jordan, opponendogli le iconiche Reebok Pump disegnate da Paul Brown e indossate da Dominique Wilkins

Il matrimonio tra Shaquille O’Neal e la compagnia britannica è immediato. Passa poco, pochissimo tempo dal primo piede messo in campo tra i pro prima che quello sia customizzato Reebok. Shaquille O’Neal è responsabile della prima signature della Reebok di sempre: la Shaq Attack.

"All I want to do is play basketball, drink Pepsi and wear Reebok", con questo slogan si sancisce l’ingresso di quella sneaker (che introdurrà anche la tecnologia speed lacing) nel mainstream americano, e se le Pump miravano a ostacolare la Nike sul versante tecnico, con l’approdo di Shaq e del suo faccione la Reebok è abbastanza forte da vestire anche chi, il basket, l’ha visto solo in qualche cartolina.

Il connubio con Pepsi è perfetto, le quotazioni dell’azienda sono eccellenti. Arriva poi il 1996, per certi versi l’anno perfetto per Reebok. Viene rilasciata la nuova (quinta) signature di Shaq e la sua scarpa preferita in assoluto, la Shaqnosis, particolarissimo pezzo di design a cui lo stesso O’Neal collaborò, rendendola la sua sneaker simbolo per tanti anni. L’ha indossata addirittura la scorsa settimana, durante la sua clamorosa irruzione sul ring di Wrestlemania. Ma nel 1996 arriva nella lega anche l’altro asso nella manica della Reebok, quel ragazzino che oramai già tutti chiamano The Answer, e Reebok ha già pronta in magazzino quella che diventerà la sua prima signature, simbolicamente chiamate "The Question".

Dall’edizione successiva, “The Answer”, ci sono novità importanti, che consistono nell’introduzione del logo I3 e della tecnologia DMX, che contagia in fretta tutte le linee di produzione. Il rapporto tra Reebok e Iverson va ben al di là della singola sponsorship. L’accordo firmato tra le due parti infatti, prevedeva una sorta di stipendio di 800 mila dollari, e l’accesso di Iverson ad una fondo “pensione” di 32 milioni una volta compiuti 55 anni. Iverson ha incasinato tutto, promettendolo alla moglie per convincerla a non divorziare dopo l’ennesimo litigio. Lei ha da prima accettato, ma poi, per farla breve, ha avuto accesso a circa metà di quel patrimonio.

Allen Iverson ha vissuto così, sempre sul filo, ogni aspetto della sua vita. Anche quella stilistica. Rese celebri in NBA le bandane, trasportò nei backstage e nelle sale stampa il look da gangsta che i rapper cominciavano a imporre ai media. Allen Iverson fu il primo a sdoganare l’utilizzo dei cornrow (“le treccine”), rendendo cool una roba che prima d’allora s’era visto solo nei ghetti.

The Atlantic una volta lo definì “eroe anticulturale”, a sottolineare l’indole ribelle di AI. Anche il moderno look dei più fashion giocatori di basket viene indirettamente da lui. Nel 2005 infatti viene introdotta quella che tra i giocatori viene chiamata “Allen Iverson Rule”, ovvero il dress code dell’NBA. Vietati i cappellini, i baggy, le collane d’oro e ogni riferimento troppo marcato alla cultura hip hop dell’epoca. David Stern, il commissioner, deve affrontare pesanti accuse di razzismo, che ancora una volta ricordano come una lega di neri regolata da bianchi è sempre ad un passo dall’implosione. Il “Malice At The Palace”, la più grande rissa della storia NBA, contribuì pure a quella scelta, e spinse l’NBA a voler ripulire la sua immagine e imporre abiti in conferenza stampa. Da lì alla svolta hipster dei più importanti esponenti moderni della lega, il passo è stato più breve del previsto.

E ha coinvolto anche Shaq, che si era appena trasferito a Miami (per vincere un altro anello). Lui, che un rapper lo era anche stato, non ne aveva tuttavia mai sposato a pieno lo stile, preferendo un “Al Capone style” non per forza più lusinghiero per Stern e compagnia. La passione per gli abiti di alta sartoria Shaq se l’è portata appresso anche dopo il ritiro, e unendola alle sue iconiche dimensioni ha dato vita ad una collezione di abiti sportivi e di lusso con la Peerless Clothing, così che «nessun atleta debba più avere la difficoltà che avevo io a trovare un vestito che non fosse sartoriale». È abituato a prendersi tutto Shaq, anche lo scettro di opinionista più simpatico di tutta la pay per view americana con il suo Shaqtin’ A Fool.

La perfetta fotografia dei due, di Shaq e di Iverson, e del loro rapporto con tutto quello che riguarda la moda, lo stile, la Reebok, è in un video di due anni fa, quando appaiono entrambi nel commercial di presentazione delle nuove Reebok "Kamizake", le storiche scarpe di Shawn Kemp, ambientato in un tipico barber shop americano. Shaq gioca al vecchio trombone, criticando i pantaloni troppo bassi e troppo stracciati di alcuni giovani presenti; la discussione si scalda, spostandosi su basket e rap (tra i protagonisti dello spot c’è anche French Montana, oltre che lo stesso Kemp). Ad un certo punto Allen Iverson fa girare la sua poltrona, e guardando tutti con sdegno chiede al barbiere di togliergli il grembiule. Con un inspiegabile cappellino in testa, attraversa la porta, uscendo e continuando ad  esclamare: “stiamo davvero parlando di pantaloni?”. Quintessenza di The Answer e di Shaquille O’Neal, gli ultimi iscritti all’albo delle leggende.