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La relazione intrinseca tra calcio e fisica

Cinque modi di ribaltare le leggi della fisica

La relazione intrinseca tra calcio e fisica  Cinque modi di ribaltare le leggi della fisica
Fotografo
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Diciamoci la verità, le teorie di fisica classica come la legge di gravitazione universale di matrice newtoniana o le equazioni di Maxwell, sono diventate estremamente sfigate, trattate come gli amici tonti che restano sempre dietro anni luce, quelli che ancora devono vedere Breaking Bad, per chiarire; una sorta di Internet Explorer delle scienze. Se non disserti di meccanica quantistica o multiversi sei un disgraziato miserabile, che non ha la minima idea di quello che sta succedendo, sei come qualcuno che utilizza ancora il camouflage, ben due anni dopo la riesumazione di stile. Già il semplice riferimento alla sola teoria della relatività generale è al limite dell’accettabile, in bilico tra l’obsoleto ed il moderatamente gradito, che sopravvive solo grazie all’immagine arci-pop di Einstein, che fa gran parte del lavoro; altrimenti sarebbe sommersa da un mare di stringhe vibranti e “Bazinga!” di Sheldon Cooper. 

Il punto è che sarebbe bello poter lasciar perdere la “precessione del perielio di Mercurio”, o “l'effetto fotoelettrico”, ed altri processi inspiegabili con le teorie classiche, ed andare a bere qualcosa, solo che - e senza scomodare i moti dei pianeti o l’interazione del fotone con l’elettrone – ci sono una marea di fenomeni fisici a noi più prossimi che possiamo guardare e riguardare e non capiremo mai come sia stato possibile produrli in una realtà percepibile. A quel punto, senza paturnie, dobbiamo scendere a compromessi, abbandonare il camouflage, iscriverci a Netflix. Se la realtà circostante non è immutabile e separata dall’osservatore, allora vuol dire che è proprio quest’ultimo a modificare ciò che ha attorno grazie alla propria percezione delle cose, e perciò è necessario chiedere aiuto ad Heisenberg. Quello vero, però, non quello di Albuquerque. 

 

Roberto Carlos 

 

È dura scegliere tra le volte in cui Roberto Carlos ha deciso di plasmare violentemente la realtà contigua, quindi meglio optare per la più celebre. Le caratteristiche di questa punizione sono più simili ai preparativi per il lancio di uno shuttle, la rincorsa presa è quasi di venti metri e l’impatto con la palla è così esplosivo che il corpo coriaceo e compatto del terzino brasiliano si alza di mezzo metro dal terreno dopo aver colpito la palla. Ma il vero capolavoro estetico lo vediamo dall’inquadratura di spalle: Carlos mira verso la tribuna al lato della porta, e difatti l’effetto subito dal pallone alcuni metri dopo aver preso quota – grazie al famoso colpo a tre dita - lo porta un metro fuori dall’area visiva della porta difesa da Barthez, che non può fare altro se non guardare il pallone – o almeno provarci –  che tocca il palo e si insacca. 

 

Ronaldinho 



Non ci interessano tanto i goal spettacolari – per quanto nei colpi surreali e distorsivi della realtà ci sia una buona dose di spettacolarità – quanto le reti che suggeriscano davvero la capacità di alcuni individui di piegare le contingenze alla propria volontà: “questa cosa non si può fare? Me ne infischio e la faccio comunque”. Dei funamboli calcisitici Ronaldinho è stato quello ad aver coniugato meglio concretezza e grandiosità delle giocate. In questo caso specifico fa una cosa non semplicemente complessa dal punto di vista fisico, ma addirittura insensata: ovvero, sapendo di dover rubare un tempo di gioco al portiere, che altrimenti avrebbe facilmente intercettato il pallone, decide di impattare la sfera a metà altezza e, udite! Udite!, con il piede d’appoggio (il destro), cosa non impossibile di per se, ma che richiederebbe la sforbiciata, cioè un movimento ad incrociare delle due gambe (che gli farebbe riperdere il tempo di gioco), invece Ronaldinho colpisce il pallone senza dare forza con il movimento di bacino. In pratica salta con il piede destro, colpisce con il piede destro, segna con il piede destro. Un saluto alla forza di gravità


Diego Armando Maradona

 

Questo è un tipico caso in cui la realtà deve cedere il passo alla volontà. Bruscolotti – spalla di Maradona in questa punizione a due in area – racconta che per alcuni minuti provarono anche a spiegare all’arbitro che la barriera fosse troppo vicina, senza grandi risultati. A quel punto Diego disse al compagno: “va be', tiro, tanto gli faccio goal comunque”. Lo spazio non c’era. Non era poco o millimetrico, non c’era proprio. La palla non aveva il tempo per salire, sorvolare la barriera – che al fischio era anche avanzata ulteriormente, arrivando in pratica a poco più di un metro dal pallone – e riscendere per centrare una parte dello specchio della porta che non fosse difeso da Tacconi. Se lo riguardiamo, è come se Maradona, nell’accarezzare la sfera, la induca con l’effetto a prendere la rincorsa tornando leggermente indietro, in modo da recuperare in modo autonomo lo spazio per prendere quota. Invece di disegnare una semplice curva, in pratica, ha disegnato una “U”invertita. Cinque metri sono diventati quindici, e solo perché lo voleva lui. 


Pelé

Paragonato agli altri, questo di Pelé sembrerebbe meno incoerente rispetto alle leggi della fisica: un colpo di testa con la scelta di tempo migliore del difensore avversario. Tutto qui, giusto? No, per niente. “Sembrava caduto da un ramo e non saltato da terra”, scrissero il giorno dopo la partita con l’Italia.  Riguardando le immagini, Pelé salta prima di Burgnich e nonostante questo resta in aria per il doppio del tempo, come se decidesse lui quando ritornare a toccare il suolo. E la cosa ancora più inverosimile è che il salto avviene senza rincorsa e slancio, ma da fermo, ed il colpo di testa si serve della sola forza dei muscoli del collo. Una chimera, niente da dire. “Prima della partita mi ripetevo che era di carne ed ossa come chiunque, ma sbagliavo”, disse il difensore italiano dopo il match. 


Shunsuke Nakamura

In questo caso l’effetto che nella punizione di Roberto Carlos era stato “moderatamente” dosato viene utilizzato dal centrocampista giapponese sino all’ultima goccia. La palla colpita in controbalzo con il mancino disegna una curva così piacevole esteticamente da nascondere la pressione mentale impressa da Nakamura alla realtà. Perché è evidente che sia stato lui a decidere, pallone in volo, di cambiare la traiettoria, una volta visto il portiere spiazzato. In questo caso altro che “tre dita”, la sfera viene colpita con tutto il collo esterno, perché è necessaria la potenza massima. 

Non sappiamo se l’energia sia in particelle o onde, o addirittura entrambe. Magari siamo in Matrix ed è tutto irreale, oppure la nostra galassia è una biglia usata da alieni per giocare. Può darsi qualsiasi cosa, anche che l’universo sia davvero formato da stringhe e la vita sia una sorta di risultato musicale. E visto che può essere tutto, a noi piace pensare che l’energia abbia la forma di un pallone da calcio.